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Qualcosa e qualche luogo
Antonio Limonciello
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Comincio da lontano.
Sinceramente non sono in grado di dire a cosa mi è servita la scuola che io frequentai, nel senso che non sono capace di distinguere dove e come sono venuto su per quello che sono.
Sì, so fare l'elenco di ciò che appresi a scuola, sì, so che mi è servita per trovare lavoro.
Ai miei tempi la scuola era il centro del processo educativo, ciò nonostante io non sono in grado di distinguere, forse proprio per quel mix che da sempre è la formazione di un individuo.
E oggi che la scuola arriva quasi sempre per ultima, che è costretta ad affannarsi dietro ai modelli imposti altrove, e che al massimo riesce nel migliore dei casi solo a mitigare gli effetti negativi?
Allora come oggi la scuola asseconda i bisogni formativi dei poteri della società in cui opera, su questo nulla è cambiato, neanche la domanda da porsi:
- una scuola che asseconda i comportamenti sociali dominanti, dunque che fornisce una buona preparazione ai giovani perché possano essere apprezzati dai poteri forti, o una scuola che si contrappone, che non si lascia ridurre, che garantisce con la sua azione uno dei poli della dialettica necessaria alla democrazia e al pluralismo, ovvero le basi per il progresso umano?
Ma davvero la scuola può essere polo dialettico nei confronti dei media, intesi come luoghi privilegiati di costruzione di consenso ai poteri dominanti?
Oggi cosa succede di insostituibile nelle nostre scuole, ovvero, possiamo dire che la scuola è indispensabile?
La scuola aiuta a realizzare sogni?
La scuola fornisce speranza nel futuro?
La scuola fa vivere emozioni che segnano la crescita di una persona?
Cosa ci viene a fare un giovane a scuola?
La scuola può proporsi solo come luogo per sistemare gli apprendimenti che molteplici e disordinati accadono per intervento di tanti soggetti occasionali, come specificamente dedicati? (la famiglia, le scuole di sport, di teatro, di danza, di musica, ...., le parrocchie, la televisione, il cinema, la stampa, Internet, lo stadio, i luoghi di raduno giovanili, gli scout, .....)
Certo, se non abbiamo risposte convincenti vuol dire che la scuola non è più indispensabile.
La mia ricerca è radicale, ammetto di poter scoprire che la scuola non sia indispensabile, che essa possa essere sostituta da altro.
Altro filone di ricerca parte da principi ideologici e costituzionali: la scuola rimuove gli ostacoli per offrire a tutti i cittadini pari opportunità.
Ma quali sono le nuove discriminazioni?
Dove avvengono e per effetto di quali strumenti?
Per fare qualche esempio:
Perché 2-5 anni di studi in un certo istituto universitario ti aprono le porte di tutto il mondo e gli stessi anni da un'altra parte ti rendono CoCoCo a vita?
E perché quei luoghi costano 100.000 $ l'anno e non sono aperti a tutti i meritevoli del pianeta terra ma solo a chi è meritevolmente ricco (+ la neocons carità pelosa tanto santificante)?
Perché anche la rete è luogo di discriminazione di accesso, il gratuito è quasi sempre povero e il riservato lo paghi caro?
...
Insomma si può oggi combattere per il frammento, se pur di notevole dimensioni, che è l'esperienza scolastica facendosi fregare la vita delle immense praterie che fuori sono lanciate alla conquista selvaggia della frontiera?
Non potremo essere efficaci chiudendoci dentro i tempi e i termini di un'agenda preordinata dalle priorità della globalizzazione e che i governi di tutto il mondo stanno accettando per non perdere terreno rispetto ai prepotenti emergenti.
Ecco questo è un altro filone di ricerca: il diritto di accesso a tutto e per tutti, senza distinzione di nascita, di fede e di luogo.
Cosa deve realmente accadere nelle scuole per realizzare questo diritto?
Quale parte tocca alla scuola e quale ad altri soggetti che sono già molteplici ed agenti?
Gli altri soggetti sono il terzo filone di ricerca.
Cosa accade fuori dalla scuola e che rende spesso molto più attraente ed efficace l'azione educativa?
Non abbiamo forse umilmente da imparare anche fuori dalla scuola?
O forse il tutto si spiega col fatto che ci deve essere un luogo, la scuola, dove tocca fare il lavoro sporco degli aridi strumenti, del razionale, della logica.
Agli altri soggetti i sogni, le speranze, le emozioni, come dire: fuori la vita e dentro la scuola solo rotture di coglioni.
La percezione di massa è questa.
Ma è proprio così che deve andare?
Può essere la scuola il centro della vita per un certo numero di anni, dall'infanzia all'adolescenza?
Questa domanda si traduce in due filoni, cosa si fa e come si fa.
Solo qui entra il quarto anello di sperimentazione, cioè la didattica, quella che poi molti di noi hanno esercitato umilmente senza la grancassa delle istituzioni, anzi spesso lottando contro gli sbarramenti che esse frapponevano.
Qui non siamo messi male, nel senso che ciò che è tradizionalmente scolastico ha accumulato significative esperienze per operare bene.
Il punto è che siamo analfabeti, o quasi, in tutto ciò che non è tradizione, e la tragedia per la scuola è che la maggior parte degli apprendimenti avvengono nei linguaggi e con i mezzi che noi ignoriamo.
La maggioranza degli insegnanti, nonostante tanti corsi, fatti male è vero, non usa banche dati, strumenti di ricerca, di espressione e di comunicazione che non siano la parola scritta e orale su cartaceo.
Si deve salvare la parola scritta, d'accordo, ma la sta salvando il tema scolastico oppure la posta elettronica, il blog, l'sms ....?
E se poi non ci potessimo più fidare del già codificato, che quello ci porterebbe inesorabilmente da una parte sola.
Se il primo passo fosse proprio uscire fuori da esso per girare le strade del mondo, scoprirsi e raccontarsi nuovamente innocenti?
Non toccò fare questo a tutti i movimenti che hanno segnato la storia umana?
16 aprile 2005
in scuola "extra moenia": |
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