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Fiaba del bosco
Fiaba didattica ed ecologica per bambini
Mario Amato
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Il giorno di sabato volgeva alla fine, il sole lentamente s’adagiava dietro i monti lontani e colorava di rosso vermiglio intenso le finestre della piccola nuova camera del bambino Frenzifré. Un lieve vento moveva le cime degli alberi del bosco dinanzi a quella serena abitazione ed iniziava a cadere qualche fiocco di neve.
Nella stufa l’arrosto era quasi dorato ed il pane lievitava nel forno alimentato da un fuoco crepitante.
La mamma andava di stanza in stanza con velocità ma senza agitazione, il grosso cane bianco sonnecchiava aprendo di tanto gli occhi per controllare che nessun male intenzionato si avvicinasse, il gatto ronfava sulla poltrona, Frenzifré guardava con i suoi occhi meravigliati di bimbo il panorama.
L’antico orologio a pendolo faceva il suo dovere come aveva sempre fatto da anni ed anni, suonando i tocchi dei quarti d’ora e poi delle ore, che iniziavano a trascorrere una dietro l’altra. Sembrava che il tempo passasse velocemente, perché il papà di Frenzifré non tornava e mamma si era seduta accanto al camino con il viso preoccupato, ma quando guardava il suo piccolo Frenzifré il sorriso le illuminava gli occhi. Il bambino però comprendeva che quell’espressione lieta gli era rivolta soltanto affinché egli non stesse in ansia.
Frenzifré tuttavia ascoltava il fruscio delle cime degli alberi, che gli rivelarono che il caro papà si era perso nel bosco e non riusciva a ritrovare la strada di casa, poiché gli adulti non comprendono il linguaggio delle piante e degli animali. Allora il bambino chiese una dolce ninna nanna, ma non per lui, bensì per la mamma.
La dolce musica della foresta iniziò ad insinuarsi nelle fessure delle finestre e della porta ed insieme al tepore del fuoco cullò la donna che intendeva certamente restare desta, ma le palpebre si appesantivano e la bocca si spalancava in sbadigli.
Frenzifré attese che la mamma fosse completamente vinta dal sonno, indossò un pesante giubbotto, mise gli scarponi ai piedi, non dimenticò di proteggersi la testa con un cappello di velluto munito di paraorecchi ed uscì alla ricerca del padre.
Il viottolo che conduceva al bosco era ancora visibile a causa della neve ancora soffice e lenta sulla quale i piedi del bambino lasciavano piccole tracce.
All’inizio della foresta s’ergeva maestoso un vecchio castagno, che sempre aveva donato i suoi frutti con generosità, che l’inverno saltavano sulla padella bucata messa sul fuoco. La secolare pianta vide quel piccolo ometto avvicinarsi e quando fu abbastanza da presso così gli rivolse la parola :
«Dove vai, bambino? È una sera fredda ed ancor più gelata sarà la notte. La neve cadrà abbondante, come farai a scaldarti?»
Frenzifré rispose: «Vado in cerca del mio papà; i tuoi fratelli mi hanno detto che si è smarrito nel bosco.»
«Ti chiedo ancora come farai a scaldarti?»
«Non so»
«Torna indietro. Prendi le castagne che sono ancora accanto al camino e mettile in tasca. Per un po’ di tempo ti scalderanno, ma soprattutto quando avrai fame mangiane una alla volta e masticala a lungo, perché ti sembrerà di saziarti».
Frenzifré fu incerto, ma poi si convinse a seguire il consiglio di quell’amico e quando passò nuovamente dinanzi al maestoso esponente della famiglia delle Fagacee – per dirla in breve..al castagno - accennò un sorriso, sebbene l’animo fosse oppresso dal tormento.
La neve ora cadeva più copiosamente e non lasciava più intravedere i sentieri che traversavano la foresta disegnando un intricato labirinto, che tuttavia Frenzifré ben conosceva, perché quello era il luogo dei suoi giochi.
Quante volte aveva corso fra quelle piante nei giorni di primavera, allorché tutta la natura freme di gioia! Quanti giorni aveva trascorso a nascondersi dietro i secolari tronchi o aveva giocato durante l’autunno fra le foglie rosse e gialle che il vento faceva cadere gioiosamente! E conosceva il piccolo rivolo che sgorgava da una roccia per potersi rinfrescare durante i giorni estivi! Ecco, là sotto quella quercia – sorella del castagno ma dalla chioma imponente e con le foglie seghettate - aveva trovato una volta un cucciolo di lupo e lo aveva portato a casa e abbeverato con il latte; poi una volta cresciuto gli aveva donato la libertà. E per ore aveva contemplato quell’altra quercia sui cui forti rami nelle sere tiepide gli scoiattoli giocavano rincorrendosi e saltando!
Dov’erano le colorate farfalle che egli amava seguire? Non s’udiva nessun rumore all’infuori del respiro del vento. Gli scoiattoli dormivano in attesa di destarsi per la nuova stagione, e nonostante ciò Frenzifré si accostò alla quercia e chiamò i piccoli animali: «Scoiattoli, amici di giochi felici, sono il bambino che mai vi ha fatto del male. Potete aiutarmi?». Aspettò, ma nessuna voce, nessun verso conosciuto provenne dalle cavità dell’avita pianta. Frenzifré comprese che il vento aveva coperto la sua voce ed allora parlò più forte; un piccolo scoiattolo si sporse dal foro di un ramo stropicciandosi gli occhi :«È già primavera? Mi sembra di aver dormito così poco! Fa ancora freddo! Perché nevica in questa stagione?»
«Scusami, amico, non è primavera. Non mi riconosci?»
«Lasciati guardare! Un bambino che mi disturba! Questa non l’avevo mai vista! Che cosa vuoi?»
«Non avrei mai interrotto il tuo sonno, ma è un’emergenza. Ti prego di scusarmi. Sono in cerca del mio papà che si è perso nel bosco. Non lo hai visto passare di qua?».
«Bambino» disse lo scoiattolo «come potevo vederlo se dormivo?»
«Non puoi aiutarmi allora?» replicò ansioso Frenzifré
«Lasciami pensare» continuò l’animaletto con aria intelligente «Voi umani non credete che noi siamo in grado di pensare, ma io ti dico che abbiamo una mente brillante».
E detto ciò lanciò un verso che echeggiò in tutta la foresta. In quello stesso momento la forza del vento era cresciuta ed il bambino non avrebbe saputo dire se fosse stato il grido appena emesso dallo scoiattolo oppure dall’incessante soffio aereo, ma l’atteggiamento fiero dell’animale era più che eloquente.
Nell’aria s’udì un frullare multiforme d’ali ed ecco comparvero gufi, civette e barbagianni e si accomodarono sui rami della quercia.
Cominciarono a parlare tutti insieme protestando con lo scoiattolo per averli distratti dalle loro occupazioni notturne. Anche lo scoiattolo urlava, lamentandosi di quell’invasione e del chiasso che i pennuti facevano senza attendere che egli spiegasse la ragione della sua chiamata.
Frenzifré ebbe allora comprensione per le maestre che rimproveravano i bambini quando invece di ascoltare la lezione chiacchieravano e giocavano. Ricordando quei momenti Frenzifré urlò «Zittiiii!!!» e si sentì anche lui un po’ maestro.
«Ascoltate in silenzio e poi uno solo risponda ».
Le risposte purtroppo vennero subito, perché tutti gli uccelli gridarono “Io”.
«Solo tu!» disse Frenzifré indicando un bianco barbagianni che quasi si confondeva con la neve e che subito gonfiò il petto.
«Mio padre si è perso nel bosco. Io sono qui per cercarlo. Dimmi se qualcuno di voi lo ha visto da qualche parte ed anche da quanto tempo.»
Di nuovo un chiacchiericcio indistinto riempì il luogo e finalmente, dopo quel confuso consulto, il prescelto dal bimbo parlò : «Quella civetta lassù afferma di aver sentito i lupi parlare di un uomo che se n’andava per la foresta a raccogliere legna, ma sai, quella è una civetta e non bisognerebbe darle retta!».
La parola lupi destò agitazione nel bambino per la reminiscenza di molte storie in cui quegli animali erano sempre descritti cattivi e famelici, ma subito rammentò anche il suo piccolo amico al quale aveva dato prima rifugio e poi libertà.
«Può darsi che tu abbia ragione, ma non ho molte speranze. Lasciami parlare con lei. Dille di avvicinarsi » insistette Frenzifré.
Da uno dei rami più alti della quercia la civetta in questione volò fin sulla spalla del bambino, dove si appollaiò – e possiamo proprio dirlo! – civettando alquanto.
«Ciao, bella civetta. Puoi dirmi quando e dove hai sentito i lupi?» chiese Frenzifré.
«Li ho uditi poco prima che giungesse la notte. Erano diretti verso la montagna.»
«Puoi accompagnarmi da loro?»
«Visto che mi hai chiamato “bella” e che sei un bambino, ti accompagnerò. Esiste però un problema. Io vedo bene di notte, ma come farai tu. La luna non brilla in cielo, e le stelle sono nascoste dietro il cielo.»
«Scoiattolo! Ti vanti di avere una gran mente: trova una soluzione» chiese Frenzifré.
«Certo che ho un cervello io!» rispose il piccolo animale e mandò un altro possente grido.
Lo stesso narratore di questa fiaba stenta a prestare fede a quanto accadde, ma le fiabe sono fatte per essere credute ed alle volte è necessario prendere lucciole per lanterne, nel senso letterale dell’espressione, perché un nugolo di coleotteri appartenenti alla famiglia dei Lampiridi – insomma lucciole! – si avvicinarono alla civetta ed al bambino. È senz’altro vero che non è stato mai dato di vedere lucciole in pieno inverno, ma non vogliamo ripetere ancora altre frasi sulla veridicità delle fiabe.
La civetta spiegò ai nuovi amici volanti la situazione e li pregò di seguirla e di stare sempre dinanzi agli occhi del bambino in modo da illuminare il suo cammino.
Iniziò nel bosco questo strano e numeroso corteo, perché anche lo scoiattolo e tutti gli uccelli si erano appassionati alla storia – come spero facciate anche voi, miei piccoli lettori! – e non volevano perdersi la fine, sì che anch’essi seguivano Frenzifré, la civetta ed il nembo di lucciole.
Il vento non smetteva di sferzare il viso del bambino, che era più che mai bianco e rosso, la neve continuava a scendere ed anche il nostro piccolo amico ogni tanto cadeva e sprofondava in quel soffice manto, ma certamente non si scoraggiava, sebbene lo scoiattolo facesse apprezzamenti ironici. La civetta, le lucciole, i gufi e tutti gli altri invece, quando Frenzifré cadeva, gli volavano intorno esortandolo a non perdere tempo. Qualcuno degli animali diceva un po’ seccato “Guarda come sono goffi gli umani!”, ma il bambino non s’offendeva e continuava la sua marcia, mangiando di tanto in tanto una castagna, che dentro la tasca del suo comodo giubbotto aveva conservato un tiepido calore.
Di caduta in caduta, di passo in passo, giunsero ai piedi del monte quando era quasi l’alba e un tenue chiarore vinceva a poco a poco l’oscurità.
Qui il piccolo roditore della famiglia degli Sciuridi – vale a dire lo scoiattolo – si avvicinò a Frenzifré e lo salutò: «Questo è il territorio dei lupi e per me non è conveniente proseguire. Scusami se ti ho un po' deriso per i tuoi scivoloni, ma volevo anche che tu non fossi eccessivamente triste. Con questo ti saluto» e non aspettò la risposta e si allontanò con i tipici veloci e allegri salti.
Lucciole, gufi, civette, barbagianni salutarono a loro volta il bambino, perché oramai la maggior parte del cammino era stata percorsa ed il giorno s’avvicinava.
Frenzifré si voltò a guardare quella strana compagnia e rivolse un cenno di saluto, ma dentro di lui strani sentimenti convivevano: si sentiva triste ed impaurito per essere rimasto solo ed allo stesso tempo aumentava la speranza.
Il bosco era qui meno fitto, ma gli alberi erano più alti e maestosi ed un silenzio sacro caratterizzava il luogo.
Frenzifré si trovò sotto un regale ontano e lo guardò con rispetto. Ebbe quasi paura di disturbare la pianta, ma si fece coraggio e con voce tenue chiese: «Signor ontano, posso parlarle?».
«Oh, guarda!» rispose l’albero «un bambino che conosce il mio nome! È un buon modo per iniziare una conversazione»
«Sono alla ricerca del mio papà. Lei lo ha visto?»
«Conosci anche i nomi degli altri alberi?»
«Conosco i nomi di tutti gli alberi del bosco»
«Come mai? »
«Li conosce anche il mio papà»
«…che però li taglia per scaldarsi!»
Frenzifré comprese che il discorso stava per diventare pericoloso, ma non poté trattenere le lacrime, perché per la prima volta dall’inizio di quella strana avventura sentì che la speranza stava per abbandonarlo.
Il vecchio albero delle Betulacee, con la chioma larga, le foglie ovate – insomma l’ontano - si commosse e dimenticò immediatamente ciò che stava per dire. Parlò ancora: «Sì, ho visto un uomo che passava qui sotto. Era in compagnia di un lupo. Non so davvero dove andassero. Ascolta! Cammina per un’altra ora circa… No, con i tuoi piedini per altre due ore, seguendo sempre una linea diretta. Troverai un altro ontano molto più alto di me; egli è il padre di tutto il bosco, ma non fermarti a parlare. È troppo vecchio e quasi non sente più. Giunto là, volta verso destra, scendi per una piccola valle folta di abeti, poi ricomincia a salire; a metà del tragitto vedrai dinanzi a te una grande roccia coperta di muschio. Gira intorno alla roccia e troverai la tana del lupo».
Frenzifré sentì che le forze tornavano a rinvigorire ed iniziò con gran lena il restante cammino. Fece appena in tempo ad udire l’ontano che gridava «Tuo padre aveva un’ascia con sé!».
Durante il faticoso cammino –ma la stanchezza non la sentiva ormai e spero che anche i piccoli lettori non la sentano, anche perché la fiaba volge al termine -pensò alla mamma e si chiedeva se ella fosse ancora addormentata o se invece fosse già desta e preoccupata di non vedere i suoi uomini in casa, e se in tale caso avesse chiamato aiuto. Questi pensieri facevano sì ch’egli accelerasse il passo di modo che ben presto si trovò a passare sotto l’avito ontano, che mugugnò qualcosa di incomprensibile, a scendere la valle e ad incontrare la roccia che così bene gli era stata descritta.
Frenzifré si fermò dubbioso sul da farsi; dopotutto era pur sempre la tana di un lupo. Si accostò all’entrata, tese l’udito: si udivano respiri profondi, ma d’improvviso tacquero. Il bambino sapeva che la sua presenza era stata avvertita, perché aveva visto molte volte come gli animali intuiscono ciò che non vedono. Mentre stava così immobile sentì alle spalle un alito, ma non era il vento, perché era caldo. Mosse appena la testa e riuscí a vedere un giovane esemplare di mammifero della famiglia dei Canidi – insomma un lupo - con il muso allungato, le orecchie erette e grosse, il pelo grigio-fulvo, le mascelle molto robuste, il collo grosso e la coda pendente.
«Che fai qui, bambino? Non sai che io sono un lupo? Non leggi le fiabe?».
«Leggo le fiabe, ma non ho mai creduto che i lupi siano cattivi»
«Bravo bimbo! Come ti chiami?»
«Mi chiamo Frenzifré»
«In verità lo so come ti chiami. È tutta la notte che percepisco il tuo odore. Sei tu che non riconosci me. Forse eri troppo piccolo. Come tuo padre mi ero perso e tu mi hai dato una casa e mi hai sfamato, poi mi hai lasciato libero.»
Frenzifré allora guardò meglio l’animale e lo riconobbe e lo abbracciò. Si rotolarono felici sulla neve. Per un momento il bambino dimenticò la sua missione, ma era un bambino e dobbiamo avere comprensione
«Tu fosti ospitale con me ed io lo sarò con te. Entra nella mia casa e troverai colui che cerchi».
Nella tana entrava debole la luce rosea dell’alba, ma Frenzifré riuscí a vedere una bella scena familiare: c’era accovacciata una bella femmina di lupo che scaldava due cuccioli grassottelli e assonnati e, appoggiato alla lupa, stava il papà.
L’uomo spalancò gli occhi nel vedere il suo bambino e temette, ma un sorriso sul viso di Frenzifrè fugò ogni preoccupazione.
Il lupo disse «Tuo padre ed io ci siamo trovati l’uno davanti all’altro, ho visto che aveva un’arma, ma per uno strano caso ha pronunziato il tuo nome. Mi sono avvicinato e mi sono comportato da amico, ricordandomi dei modi dei nostri fratelli cani ed ho chinato la testa per farmi carezzare; poi ho tirato la giacca del tuo papà e lo ho condotto nella mia tana dove si è scaldato».
Frenzifré non finiva più di ringraziare il lupo, però la scena d’amore familiare rappresentata dalla lupa e dai cuccioli gli aveva richiamato alla mente la sua mamma. Forse si era svegliata e cercava in casa i suoi uomini, forse aveva pianto o aveva chiamato aiuto. Queste erano le domande che il bimbo e suo padre si ponevano, ma non le pronunziavano.
Era proprio vero! Giunta l’aurora, il vento era ormai stanco di cantare la stessa melodia e aveva deciso di andare a soffiare in altre regioni. La mamma si era destata e aveva girato per tutta la casa e nei dintorni, aveva pensato di chiamare aiuto, ma era indecisa, perché sperava di vedere comparire i suoi due uomini.
Nella foresta anche il lupo aveva intuito i pensieri del bambino e dell’uomo e lo aveva invitato ad incamminarsi verso casa e a non agitarsi come come come …un lupo in gabbia.
Frenzifré ed il babbo si avviarono dunque e sarebbe difficile anche per il narratore dire chi dei due guidasse l’altro.
Il viaggio durò quasi l’intera giornata e la mamma poté vedere stagliarsi nella luce del tramonto le note figure del marito e del bambino.
Un bel fuoco ardeva ospitale, la cena fu riscaldata in men che non si dica, e subito dopo la mamma iniziò a narrare una fiaba.
Frenzifré ascoltava la dolce voce, guardava il riverbero del fuoco e non poteva fare a meno di pensare ai suoi amici alberi, ma presto si addormentò e …- scegliete voi, bambini, la fine di questo racconto –
sognò di essere ancora nel bosco oppure sognò ancora di essere ancora nel bosco…
aprile 2005
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