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Commozione mediatica e “prossimo tuo”
Mario Amato
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Scrivere a proposito della morte del Santo Padre Giovanni Paolo II subito dopo l’evento non sarebbe stato corretto, perché la differenza tra scrittura ed immagini risiede nel fatto che la prima necessita di riflessione e di maturazione.
I potenti della terra conoscono la forza delle immagini ed è anche diritto di tutti, soprattutto dei cattolici, assistere all’ultimo atto di ossequio al capo della Chiesa Cattolica, ma vi è anche da sottolineare che ogni eccesso è pernicioso.
In questi ultimi giorni i programmi televisivi hanno gareggiato nella durata di trasmissioni dedicate all’analisi della figura storica e morale del Pontefice appena scomparso.
Qui non si vuol discutere su tali questioni, forse troppo recenti, bensì sull’aspetto relativo alla folla che si reca a Roma per dare l’ultimo saluto al Papa. Diritto sacrosanto e per chi crede anche un dovere. Ma perché portare i bambini? Perché costringere dei piccoli uomini, i quali dovrebbero giocare, ad ore di fila, senza bere, senza possibilità di andare al bagno e soprattutto allo spettacolo della morte?
Gesù non rimproverò forse gli apostoli quando volevano impedire ai bambini di andare dal Rabbi, volendo imporre loro il silenzio?
Le immagini più belle del Papa Giovanni Paolo II sono quelle in cui lo si vede giocare con i bambini.
Lasciamo che facciano il loro lieto romore.
Credo che lo stesso Stato Vaticano dovrebbe consigliare di non portare i bambini.
Esiste anche un altro aspetto della questione: la figura del Pontefice è degna di lode per l’attenzione rivolta ai deboli, agli affamati, ai reietti, alla pace, a tutti coloro che hanno avuto meno opportunità nella vita, è degna di grande rispetto per la condanna di ogni dittatura; ognuno può avere una sua opinione sulle idee della chiesa sull’aborto, sui preservativi, sulla fecondazione assistita, sull’eutanasia, sulla fecondazione assistita.
Il punto qui in discussione è la commozione che la televisione veicola, spesso in modo strumentale.
Omaggio ai morti di Nassirya, a Calipari, ma perché lo stesso omaggio non viene reso a bambini, donne e uomini che muoiono in silenzio o che vivono, nel nostro democratico mondo, in stato di schiavitù? Perché ci commuoviamo dinanzi al televisore e non vediamo coloro che soffrono accanto a noi, nei sobborghi delle metropoli, nelle strade, negli angoli delle città?
Da cristiano e da laico mi pongo una domanda: prossimo tuo non significa forse colui che è più vicino?
6 aprile 2005
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