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La piccola editoria e la cultura
Amerigo Iannacone
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Una differenza sostanziale fra la piccola e la grande editoria –non parlando del volume di affari– è data dal fatto che nella prima esiste l’“editore”, mentre nella seconda esiste la Casa Editrice. Mi spiego meglio: nella grande editoria non c’è più la figura dell’editore che decideva in prima persona le scelte editoriali da farsi, così come potevano essere per esempio Valentino Bompiani o Giangiacomo Feltrinelli (cito questi due per non andare molto più indietro nel tempo) ma esiste un’azienda, una società, dove oltre al direttore editoriale —anzi prima del direttore editoriale— c’è un direttore commerciale che deve pensare all’aspetto economico e rispondere del successo o dell’insuccesso commerciale dei libri dati alle stampe. Questo comporta che generalmente la decisione di pubblicare o non pubblicare un libro dipende da fattori estranei alla sua qualità, ma dipende dalle sue prospettive di vendita. Prospettive che, a loro volta, dipendono da elementi quali i risultati di sondaggi di mercato, l’attualità dell’argomento che il libro propone, e, soprattutto, la notorietà dell’autore. Si badi bene, non parlo della notorietà acquisita come autore, ma notorietà in senso generale.
Qualche tempo fa si diceva che quasi non esiste più l’editore puro, ovvero quello che fa solo l’editore e che non ha altri interessi commerciali. Oggi possiamo dire che praticamente non esiste più lo scrittore puro, quello che fa lo scrittore e basta. La grande casa editrice pubblica o classici, o opere di scrittori già noti al grosso pubblico, oppure testi di autori il cui nome circola sui rotocalchi o il cui volto compare regolarmente sugli schermi televisivi. Non importa perché. Importante è la notorietà, comunque essa sia stata acquisita. Eventualmente -e il caso non è raro- anche in senso negativo.
«Possiamo essere tutti d’accordo —dichiara Edoardo Sanguineti in un’intervista uscita l’altro ieri sul Corriere della Sera— sul fatto che i libri che entrano in classifica sono, tranne qualche eccezione, opere poco raccomandabili dal punto di vista della qualità. E questo vale un po’ per tutti i generi: satirico, comico, saggistico, narrativo. Da quando esiste l’industria culturale, d’altronde, al centro del problema c’è il ricavo, l’obiettivo di ottenere il massimo del profitto. Di qui l’ossessione del bestseller».
Industria culturale, quindi. Ma che vuol dire? Significa che anche il libro è condizionato dal mercato, un po’ come era già successo con la televisione, i cui programmi sono condizionati dalla pubblicità e la pubblicità è legata all’auditel. E se anche il libro è condizionato dal mercato, il mercato è condizionato dalla televisione. Conseguenza del sillogismo è che le scelte editoriali sono condizionate dalla notorietà televisiva di chi si propone alla casa editrice.
Chi sono quindi oggi gli autori in testa alle classifiche? Sono proprio coloro che hanno raggiunto una notorietà, soprattutto attraverso la televisione, appunto: quindi presentatori, cantanti, giornalisti televisivi, politici ed anche personaggi equivoci, ma le cui facce si vedono costantemente sul piccolo schermo.
Nella classifica dei libri piú venduti pubblicata su Tuttolibri della Stampa di sabato scorso troviamo il comico televisivo Giorgio Faletti, al primo e all’ottavo posto, il giornalista televisivo Bruno Vespa, le conduttrici televisive Clerici e Moroni, la giornalista televisiva Lilli Gruber e la comica televisiva Luciana Littizzetto, per non citare che qualche nome.
Ma è capitato di vedere libri scritti –o almeno firmati– da Adriano Celentano, da Vasco Rossi, da Berlusconi, da Andreotti, da Califano, da Angela Cavagna (che ha pubblicò le lettere degli ammiratori), ecc. ecc. Senza entrare nel merito dei libri –probabilmente se Faletti vende un milione e mezzo di copie del suo primo libro delle qualità le avrà pure– voglio dire che la base di lancio è comunque una popolarità precedentemente acquisita in campi diversi, da qui l’approdo alla grande casa editrice, quindi un lancio pubblicitario martellante. Abbiamo visto Bruno Vespa ospite di tutti i programmi televisivi di ogni ordine e grado. Mancava solo che andasse ospite delle previsioni del tempo.
Ma torniamo al neoautore che è in cerca di un editore. Siete —mettiamo— al vostro primo libro, che vorreste pubblicare, ma non siete mai stato ministro, non siete un cantante di grido, non siete un presentatore di giochi televisivi a quiz, non siete un calciatore di serie A, non siete un reduce di grandi fratelli, non siete mai stato su isole di famosi, non avete ammazzato vostro padre e vostra madre, non avete messo una bomba sotto Montecitorio, non siete nemmeno omosessuale dichiarato. Ebbene avete ben poche possibilità di aspirare a far entrare il vostro libro nel catalogo di un grande editore e di vederlo distribuito nei circuiti nazionali.
Allora anche voi vi rivolgerete alla piccola editoria. A una di quelle migliaia di case editrici che sono disponibili a portare alla luce il libro. Ma ci vuole qualcuno che si accolli le spese vive di stampa o che almeno vi contribuisca. Potrete essere voi stessi o un ente, un’associazione, uno sponsor. È ovvio che vi potrà capitare di incappare in un ciarlatano, in un imbonitore o in uno sfruttatore di illusi. Ma non starò ad esaminare questi casi.
Vorrei invece dire che proprio per le condizioni che si presentano, il titolare di una piccola casa editrice, può fare l’“editore” (ma non è detto che sempre lo faccia) nel senso che dicevo prima ed è quindi sufficientemente libero di scegliere i libri da inserire nelle collane della sua casa editrice e quindi può pubblicare un libro principalmente in base al suo valore.
Nasce da qui il fatto che il piccolo editore può fare cultura più di quanto ci si aspetti e a volte più di quanto non faccia la grande casa editrice. E anche il mondo accademico credo non guardi più con sufficienza i libri provenienti dalla provincia.
Moltissimi scrittori divenuti poi noti, sono approdati alle grandi case editrici, partendo da una prima pubblicazione uscita con piccoli editori di provincia e pagati di tasca propria.
È ovvio che anche il piccolo editore aspira a vendere i suoi libri, ma i problemi non sono pochi. Egli non riesce a puntare sulle vendite e non riesce ad ottenere una grande visibilità perché, come si può intuire, non ha i mezzi adeguati per farlo.
Ci vogliono infatti due condizioni non facili da raggiungere: 1) la distribuzione; 2) la pubblicità.
Distribuire un libro non è cosa facile. I distributori chiedono sconti assurdi (generalmente tra il 50 e il 60 per cento) e già questo è un problema, perché se –mettiamo– il 57 per cento del prezzo di copertina deve andare al distributore, perché l’editore rientri con le spese di stampa e perché ci sia un margine di guadagno sia per l’editore sia per l’autore, il prezzo deve necessariamente crescere e quindi diventa poco allettante per l’ipotetico acquirente. Spesso, poi, in considerazione del fatto che le vendite previste sono scarse, i distributori chiedono, in aggiunta allo sconto, un compenso forfetario, una tantum, indipendentemente dal numero di libri venduti.
Il secondo problema riguarda la pubblicità. Per aspirare non dico al successo commerciale, ma anche a una mediocre vendita, è necessaria una pubblicizzazione che il piccolo editore, non avendo la possibilità di accedere ai mezzi di informazione e soprattutto alle televisioni, non si può permettere.
Per cui succede che, se fa distribuire un libro, avrà una resa, non del 30%, così come succede mediamente con i grandi editori, ma del 95%, o giù di lì, e quindi la distribuzione ha comportato una perdita, anziché un guadagno.
I piccoli editori operano con queste difficoltà e con altre di cui non sto a parlare ma che si possono intuire. E però hanno una loro funzione culturale, e anche, se volete, sociale.
Nelle piccole case editrici troviamo di tutto, storia, saggistica, manualistica, ecc., ma soprattutto troviamo opere letterarie e in particolare la poesia. Probabilmente è anche difficile districarsi fra tanti libri che si stampano in qualche migliaio di copie o anche poche centinaia, che difficilmente arrivano alle masse. Ma attenzione: fra quei libri c’è sicuramente del buono, che non va ignorato.
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