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Cercare altrove
Aldo Ettore Quagliozzi
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E’ la direzione giusta che la scuola pubblica italiana, per quel che ne è rimasto, dovrebbe darsi, indirizzando le sue ricerche ed analisi all’interno di quel simulacro che è oggi la scuola, ché tale essa è divenuta nel corso dei decenni, e sotto tutte le coloriture politiche del bel paese.
Lo sostiene nel suo articolo Luigi Galella a margine dei fatti ben mediatizzati del Liceo ‘Parini‘ di Milano, ed apparso sul quotidiano ‘l’Unità‘ di sabato 13 novembre con il titolo ‘Vandali di una scuola disperata‘.
Sostiene ancora Galella come gli insegnanti si siano resi complici e colpevoli negli anni di un rito vuoto ed inutile operando “ una sorta di necessaria rimozione della realtà “ e recitando come da un antico canovaccio ” ancora una volta, il ruolo del nostro compito ‘ formativo ‘, della nostra essenziale ‘ funzione sociale ‘. Ma è un rituale stanco. E i ragazzi avvertono la nostra marginalità. “
A questo proposito, mi pare giusto allora riportare quanto affermato dal professore Raniero Regni, professore della facoltà di Scienze della formazione della LUMSA di Roma che, parlando dello "stato motivazionale" degli insegnanti della scuola italiana ha scritto, sulla base di una indagine I.A.R.D. :
"( ... ) un quarto di essi sembra avere introiettato profondamente alcuni tratti peculiari della marginalità: perdita dell'autostima, depressione, pessimismo etico, impoverimento del senso della partecipazione sociale, relativa deresponsabilizzazione, asservimento alle logiche burocratiche.
Un altro quarto è composto da docenti di una certa età e di grande esperienza che hanno mantenuto un elevato impegno scolastico ed extrascolastico ( ... ).
Gli altri due quarti sono costituiti dalla massa del corpo docente , che ha perso la sua tradizionale identità professionale ma che non ne ha acquistata ancora una nuova, che oscilla, con comportamenti ambigui e contraddittori, tra l'impellenza del cambiamento e il timore di perdere le poche ma sicure garanzie che potrebbero essere messe in discussione".
E’ bene a questo punto dedicare una attenta, rispettosa ed appassionata lettura alla sintesi dell’articolo di Luigi Galella.
“( … ) La scuola è moribonda, e non risponde ai colpi. Se ci si chiede, dopo il celebrato caso del ‘Parini‘ e i tanti altri che ogni giorno lo richiamano, se ci sia qualcosa di nuovo, se i comportamenti vandalici di alcuni ragazzi siano la spia di un più profondo disagio del mondo adolescenziale, la mia risposta è che bisogna cercare altrove.
Non in loro, ma proprio in quell’oggetto sul quale i ragazzi esercitano la loro rabbiosa o ilare furia.
L’assassino, stavolta, è la vittima: la scuola che non c’è. Il suo progressivo disfacimento. Il suo svanire, tra una riforma e un taglio: di classi, di risorse, di investimenti, di fiducia sociale, di credibilità.
Noi insegnanti, la mattina, ci costringiamo a dissimulare la sua inesistenza. Lo facciamo per spirito di servizio, come dei soldatini addestrati e ubbidienti.
Entrando in classe e trovando i nostri alunni demotivati e apatici, operiamo una sorta di necessaria rimozione della realtà e recitiamo, ancora una volta, il ruolo del nostro compito ‘formativo‘, della nostra essenziale ‘funzione sociale‘.
Ma è un rituale stanco. E i ragazzi avvertono la nostra marginalità. E le nostre parole si fanno retoriche e lontane, come in una liturgia declamata in una lingua antica, ai più incomprensibile.
( … ) La nostra sordità oggi è quella di non capire che le violenze, piccole o grandi, e i gesti simbolici e dimostrativi rivolti nei confronti delle scuola, hanno l’inconsapevole, paradossale volontà di rianimare un corpo morto.
Sono un gesto d’amore, uno schiaffo e un bacio che ci consentano di risvegliarci da un coma profondo.
I ragazzi hanno bisogno della scuola. Della sua solidità e della sua essenza. Finiamola di ripetere che in loro si riflettono, come in uno specchio deforme, i guasti della società, inseguendo i ‘piercing‘ e la pance scoperte, scandalizzandoci dei loro comportamenti trasgressivi, dimantichi di ciò che siamo stati.
I ragazzi hanno bisogno di una scuola vera, e non di un simulacro. E’ quest’ultimo che irridono, e allagano o invadono di bigattini o di topi.
Hanno bisogno di relazioni autentiche, di maestri, di parole. Di fiducia. Che a noi adulti, ultimamente, viene meno.“
Cercare altrove, allora. Ma non tanto lontano da noi stessi, dalla nostra responsabilità di educatori, di maestri, come sostriene Galella nel suo molto amaro articolo. Mi soccorre in questa impresa una pagina tratta dal volume “Insegnanti efficaci“ di Thomas Gordon:
“( … ) insegnare può essere anche molto frustrante e deludente ( … ) Cos’è allora che rende diverso l’insegnamento che funziona da quello che fallisce e l’insegnamento che procura soddisfazioni da quello che invece provoca solo stress?
C’è un fattore che influisce in maniera rilevante sul risultato finale ed è il grado di capacità dell’insegnante nello stabilire un determinato rapporto con gli studenti.
E’ proprio la qualità di questo rapporto che è importante; ancor più di ciò che si sta insegnando, è determinante il modo in cui l’insegnamento viene impartito ( … )
Nei rapporti interpersonali il dialogo può essere sia costruttivo che distruttivo,esso può distaccare l’insegnante dagli studenti oppure creare uno stretto legame tra loro.
Infatti, l’effetto prodotto dal dialogo dipende dalla qualità del discorso e dalla capacità dell’insegnante di trovare le parole più adatte nelle diverse circostanze.
Qualsiasi insegnamento può diventare interessante se impartito da un insegnante che abbia appreso il modo corretto di rapportarsi con gli studenti, instaurando una relazione di reciproco rispetto.
Al contrario, se l’insegnante stabilisce con gli alunni un tipo di rapporto che li renda oppressi, diffidenti, distaccati, umiliati o valutati con occhio critico, qualsiasi attività o insegnamento provocherà in loro noia, disinteresse e rifiuto ostinato.
Troppo spesso le scuole vedono i loro studenti non come persone ma come dei casi senza volto: ipodotati, superdotati con problemi educativi, culturalmente depressi, economicamente depressi, con alto o basso quoziente di intelligenza, ipercinetici, emotivi, ritardati e così via ( … )
Noi crediamo invece che ci siano molte più somiglianze che differenze negli studenti.
Tutti sono esseri umani prima di tutto. Tutti hanno sentimenti umani, risposte umane ( … )
Tutti i ragazzi si entusiasmano o si scoraggiano a secondo se vengono accolti o emarginati.
Tutti i ragazzi sviluppano dei meccanismi di difesa da contrapporre all’uso di potere da parte degli insegnanti. Tutti i ragazzi danno un grosso valore alle proprie necessità e proteggono i propri diritti civili. ( … )“
Scrive Thomas Gordon nel suo straordinario linguaggio: “Qualsiasi insegnamento può diventare interessante se impartito da un insegnante che abbia appreso il modo corretto di rapportarsi con gli studenti, instaurando una relazione di reciproco rispetto.”
Penso che sia proprio questa la sintesi di quella ricerca che la scuola italiana deve necessariamente affrontare, ponendosi anche domande molto scomode ed irrituali, in una realtà senza scientificità alcuna ed improntata prevalentemente, se non esclusivamente, all’improvvisazione, in tutti i momenti didattici e pedagocici.
Chiedersi con urgenza e senza ipocrisie di casta, di gruppo e collettivamente: ‘Gli insegnanti italiani, nella loro maggioranza, hanno mai appreso il modo corretto di rapportarsi con gli studenti?’ E dando dopo delle pronte, sensate, inevitabili risposte, pena il riconoscere l’inutilità di una scuola pubblica decisamente non all’altezza dei suoi compiti di formazione delle giovani generazioni.
novembre 2004
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