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Il Maestro è serio
Francesco Di Lorenzo
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Pesa o non pesa sulle spalle del maestro e della maestra una lunga storia che non è poi una bella storia?
C'è qualcosa di tetro di arido di opprimente
che si snoda storicamente,
ti arriva dentro, nella mente,
e si insinua nelle cellule placidamente.
( Come filastrocca tiene. Forse si poteva trovare qualcosa di meglio).
Però, diciamolo, non è bello sentirsi maestri, al di là delle filastrocche. C'è un'oppressione storica che ti opprime.
Domanda: Ma cos'è l'oppressione storica?
Risposta: L'oppressione storica la devi sentire per conoscerla, ma se non la conosci cercheremo di dare qualche informazione.
Dunque, tanto per cominciare, I MAESTRI DALLA LORO STORIA NE ESCONO MALCONCI.
Di conseguenza se si sente un lamento del tipo, "ahi, la scuola ... mi fa male la scuola elementare", è di sicuro qualche maestro che confonde la sua condizione personale con quella generale della scuola. O forse il contrario. (Ma, si può confondere la propria condizione con quella della scuola? Non si tratta della stessa cosa?).
Dicevamo del lamento. Perchè si lamentano i maestri? Di chi è la colpa? ( Entro dieci minuti voglio il colpevole, anzi, il colpevole entro cinque minuti si alzi in piedi.
Scusate .... mi sto confondendo.)
Qualcuno poco più di cento anni fa, ritraeva l'educatore italiano in questo modo: "Corporatura gracile, viso scarno, colore terreo, occhi affossati, andatura che rivela un fisico in sfacelo, abbattuto e avvilito". C'era poi l'elenco delle sue malattie : "Laringiti dovute all'eccessiva vociferazione in ambienti d'aria viziata e che, purtroppo, finiscono in bronchiti e in tisi, e conducono giovanissimi al sepolcro i meno forti." In aggiunta diceva:, "Quelli che resistono alla tisi sono prima o poi inesorabilmente colpiti da malattie dell'apparato digerente, da debolezza generale, nevrastenie acute, accompagnate dai sintomi delle malattie più disparate e penose, e spesso seguite dall'insonnia."
Certo la situazione oggi è cambiata. Ma c'è, si sa che c'è, un odore-un profumo-una puzza, un alone (un diadema o una ghirlanda?) -mettiamola così- che ci portiamo dietro.
I maestri sono ambigui; sanno tutto su stipendi, scatti, progressioni di carriera, e nello stesso tempo covano, per lo più velleitariamente, ambizioni letterarie come certe maestre poetesse. C'è da scusarli, provengono da famiglie molto povere, e se hanno scelto gli studi magistrali, è a causa di questa povertà che gli ha impedito di perseguire mete più elevate. (La cosa si è aggravata in seguito quando molti hanno ripiegato sugli studi magistrali perchè al liceo erano stati bocciati, ma questo non si dice).
Ancora oggi la classifica del valore delle scuole, per chi non la sapesse, è questa: al liceo classico ci vanno i migliori, allo scientifico quelli così così, al magistrale i mediocri, tutti gli altri agli istituti tecnici o giù di lì. (Ancora per poco, poi non si sa!)
La nostra memoria storica, l'hard-disk del nostro cervello, la piastra madre della nostra mente sta lì, non si cancella.
I maestri hanno sempre qualcuno a carico, la maestrina con la penna rossa mantiene con il proprio lavoro una madre e suo fratello e per questo non si sposa, anche se per la verità nessuno l'ha mai chiesta in moglie. D'altra parte ci sono maestre che per mantenere i loro papà respingono tre o quattro domande di matrimonio. Ad ogni modo, anche i pochi maestri che si sposano avranno dei matrimoni infelici; la causa è il cattivo stipendio.
La legge Casati del 1859 affidava la scuola elementare ai Comuni, così le maestre dovevano respingere gli assalti sessuali di quegli amministratori comunali, per lo più attempatelli, con la pancia, e con la vena amorosa per la classe magistrale, come ci sono uomini che ce l'hanno per le ballerine, o per le attrici, o per impiegate, o per qualsiasi altra famiglia del gentil sesso.
Una maestra era stata oggetto d'una ferocissima persecuzione da parte di un signorotto campagnolo, assessore comunale e tirannucolo dei dintorni, il quale, offeso a sangue dai rifiuti sdegnosi e dalla manifestazione pubblica del suo disprezzo, l'aveva calunniata, diffamata, torturata, fatta sospendere dalla scuola e dallo stipendio e ridotta alla miseria e alla disperazione, suscitando ad arte contro di lei le ire di tutto il paese. La maestra dal canto suo, prima tentò il suicidio, poi quando la stampa diede la notizia (?), emigrò al sud. Qui, passati alcuni giorni e diffusesi le voci, ci fu un altro assessore comunale e signorotto del luogo che iniziò ad importunarla ..... fin quando non dovette spostarsi di nuovo. Insomma questa maestra si fece tutta l'Italia, pardon, si spostò per tutta la penisola, a nord a sud, a est, a ovest.( E dobbiamo dire che negli ultimi due punti ci furono delle difficoltà aggiuntive dovute alla nostra configurazione geografica).
A nome di tutte le donne ( è una licenza) vogliamo sperare che la maestra in questione avesse un amante meno arrogante con il quale passare le notti e dimenticare i torti subiti.
Ma non è finita.
Una giovane del pistoiese fu eletta maestra in una frazione di un piccolo comune. Fu costretta dal sindaco, noto donnaiolo, ad abitare accanto a casa sua. Messe in giro anche ad opera del sindaco le inevitabili maldicenze, a nulla valsero in sua difesa le deliberazioni del consiglio comunale, nè il trasferimento ad altra provincia. La maestra si annegò e lasciò alcune lettere in cui protestava la sua innocenza, come risultò poi dall'autopsia.
Dentro la nostra mente ci sono storie di povertà, sofferenza, rassegnazione. Riferisce una cronaca di quattro maestre ex compagne di studi morte, di cui una suicida e una di miseria e d'abbandono, dopo che per il freddo le è morta la madre di bronchite.
Ma passiamo ai maestri. Dal nord al sud la situazione non cambia (è vero); se si domanda chi è il maestro?, la risposta è questa, " è un affamato che, col pretesto di insegnare ai fanciulli ciò che i loro genitori non sanno nè si curano di sapere, fa crescere la tassa sul bestiame".
Si narra la storia di un maestro che perseguitato, al solito, dai clericali e dalle autorità comunali, e trasferito, ridotto alla miseria, rinuncia a sposarsi, s'ammala di tubercolosi e muore mentre la gente ne parla come di un parassita. Quando lo stanno mettendo nella bara, un messo gli recapita l'avviso del prefetto che gli annuncia un sussidio di 60 lire.
Sono cose che non si dimenticano facilmente, un'idea di sfortuna difficile da cancellare.
Controcanti non ci sono; canti, canti, solo canti...
"La scuola fatta in locali di fortuna, ricavati spesso dalla trasformazione di stalle, legnaie e fienili, maestri pagati male o non pagati affatto, abbandonati all'arbitrio e spesso al malvolere del sindaco o dell'assessore; disprezzo di ogni cura igienica, di ogni innovazione pedagogica ecc.".
All'inizio di questo secolo, riportano le cronache, un maestro si trovò in una situazione molto critica. Egli aveva la moglie malata e cinque figli da accudire. Un collega che ebbe l'occasione di visitare la famiglia nella squallida dimora, alla vista dei poveri infelici laceri, emaciati, smunti, pavonazzi, per il freddo e per la fame, confusi, avviliti per le recondite sofferenze, ebbe l'animo riempito di dolorosa commozione, e tornò a casa molto triste.
È questo che fa male; il sentire che il collega si riempì di commozione e se ne andò a casa. Che altro si può dire?
Siamo la nostra storia, quello che ci tramandano le nostre radici.
Ancora qualche anno dopo l'inizio del secolo, lo stipendio dell'applicato, il grado più basso degli impiegati statali, superava di 650 lire lo stipendio del maestro urbano di prima categoria. Gli stipendi, a quell'epoca, si aggiravano sulle 1500-1600 lire al mese. I maestri erano dunque poveri, molto poveri, i più poveri tra i lavoratori intellettuali. Questo succedeva quando già era finito il tempo in cui si nominavano maestri i sagrestani, i sarti, i calzolai, ma rimanevano ancora molti maestri preti perchè costavano di meno.
Si temeva che i maestri avessero un'istruzione troppo ampia, troppo superiore a quella che dovevano trasferire ai propri allievi. Il maestro doveva avere solo qualche cognizione in più di quelle che doveva impartire ai suoi allievi. Ciò avrebbe impedito che gli insegnanti primari si facessero agitatori della società (un timore del tutto infondato). "IL MAESTRO NON SAPPIA TROPPO AFFINCHÉ IL POPOLO NON SAPPIA TROPPO."
Qualche anno dopo Gramsci rivolge ai maestri una critica durissima, ahi!!! Partiva dalla constatazione della loro inadeguatezza culturale e professionale, e li annientava.
Ma se un maestro aveva paura, non era colpa sua. O meglio, non del tutto colpa sua. La legge Casati richiedeva ai maestri la patente di idoneità e un attestato di moralità rilasciato dal sindaco. I maestri erano eletti dai municipi per un triennio al cui scadere potevano essere licenziati o confermati per un altro triennio o a vita. Fra le cause di licenziamento rientravano l'aver fatto, tra gli alunni, propaganda di principii contrari all'ordine morale ed alla costituzione.
Alla fine del secolo scorso il maestro veniva nominato per un periodo di prova di due anni, che potevano essere portati a tre o a quattro; se non era licenziato sei mesi prima della fine del periodo di prova, si intendeva confermato per sei anni. Dopo il sessennio il maestro era confermato a vita se il Consiglio scolastico provinciale concedeva l'attestato di lodevole servizio, altrimenti poteva restare in servizio per tre anni e poi ricevere l'attestato o essere licenziato definitivamente.
I maestri e la religione. Il dibattito sulla legge Coppino (1877) si impiantò sulla religiosità delle masse. La religione, si diceva, è la migliore arma del maestro per convincere i teneri pargoletti, per abituarli a sopportare le disuguaglianze sociali che purtroppo non si possono eliminare. La religione, ancora nei programmi del 1955, finì con l'essere il fondamento e il coronamento dell'istruzione elementare. Il ragionamento che fece pendere l'ago per questa soluzione fu questo:
" Dite ad un fanciullo non rubare perchè lo vieta il codice penale, e ditegli non rubare pel settimo comandamento di Dio, e gli farete tutt'altra impressione".
La categoria resta mal retribuita, mal preparata, male amministrata, professionalmente debole, ma acquista coscienza civile e sociale. Il primo sciopero dei maestri avvenne nel 1919 e durò nove giorni.
Qualcuno poi introdusse tra i maestri la corruzione. Ad un certo momento indossarono anche la camicia nera e così vestiti fecero propaganda fascista verso i bambini, i quali, intelligentemente, non li presero neanche in considerazione.
La storia dei maestri dal dopoguerra ad oggi, salvo rari momenti, è storia bianca, bianchissima (come sa chiunque segue la politica), ed è meglio tralasciarla.
Se da alcuni anni la situazione è mutata o sta in via di mutamento, questo non lo si può negare. Si sente però la pesantezza di questa bella storia. E quindi, se i maestri hanno l'aria così seria e pensosa, che si sappia, non hanno niente da ridere.
(QUESTO SCHERZO È DOVUTO AL SACCHEGGIO TOTALE DI UN SAGGIO BEN PIÙ AMPIO, ARTICOLATO E SERIO DI GIORGIO BINI, "ROMANZI E REALTÀ DI MAESTRI E MAESTRE".
LO SCHERZO È STATO INVIATO A GIORGIO BINI CHE NON LO HA DISAPPROVATO. )
maggio 2001
in attualità/discussione:           |
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