|
Viaggio da Vienna a Berlino a Praga
Mario Amato
|
Nella pagina culturale di La Repubblica del 7 novembre 2000, Mario Vargas Llosa difendeva una piccola libreria di Manchester, che lottava per non cedere alle direttive del mercato globalizzato. Vargas ricorda i librai, che “gli sembravano usciti dai libri di Dickens”, con i quali i lettori stabilivano rapporti di conoscenza e, a volte, perfino d’amicizia.
Ricordo di aver acquistato molti libri in una grande libreria di Roma, ma non v’erano più librai che consigliavano un’edizione più vecchia o un libro appena edito dell’autore preferito. Vi erano solo commessi, che trattavano, e trattano, la vendita di un volume alla pari di quella di un vestito o di un paio di scarpe, dimenticando che i libri parlano all’anima.
Forse in qualche cittadina vive ancora qualche libraio, che instaura una relazione umana, perché sa che colui che compra un libro è innanzitutto un lettore e poi un cliente.
Viaggiare nel nostro mondo non è più un’avventura, non è più allontanarsi non solo dalla propria città o dal proprio paese, ma anche dalla propria vita, come scrive Thomas Mann nella Montagna Incantata. Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e dei mezzi di trasporto, sempre più veloci, ha reso facile viaggiare, ma ha anche rimosso il fascino della partenza. Chi viaggia vuole scoprire e al suo ritorno vuole narrare, ma è ormai difficile trovare novità in un mondo che tutto comunica e tutto annulla senza riflessione.
Perfino le tragedie delle guerre appaiono, a chi ne ha soltanto notizia, prive di pathos.
Che senso ha viaggiare, quando a Londra, Berlino, New York, Tokio, Roma, Sidney si possono trovare i medesimi prodotti, si può entrare in un ristorante e ordinare lo stesso identico menù? I centri della città si somigliano tutti. Sembra in atto non soltanto la globalizzazione commerciale, ma anche culturale, che trasfigura il mondo in una enorme anonima metropoli.
Il fascino del viaggio è annullato da questo processo, ma per ritrovare l’antica seduzione delle città possediamo ancora i romanzi. Essi ci aiutano inoltre a comprendere gli sviluppi storici del nostro mondo.
Possiamo trasferirci a Vienna insieme a Heimito von Doderer con “I demoni”(1). È la Vienna di Sigmund Freud, Robert Musil, Joseph Roth, dei Café dove gli scrittori entravano e bastava consumare una sola tazza di caffè per restare ore seduti ad un tavolo a scrivere, è la Vienna della pittura innovativa di Gustav Klimt e disperata di Egon Schiele, ma è soprattutto la città che induce al ripensamento sull’ordine della vita, non basato sulla legge di causalità, bensì sulla casualità.
Lontano dalla città la vita era ordinata dal tempo delle stagioni, dal rintocco delle campane, dalla conoscenza reciproca degli uomini, da mestieri che si tramandano di padre in figlio. Nelle città la vita ed il tempo si disperdono in innumerevoli forme: “…nel nostro passato ci sono periodi che ci appaiono di volta in volta più vicini o più lontani; e gli ultimi anni non sono necessariamente i più vicini; o lo sono soltanto nel senso più grossolano del tempo>”(2); e “Eppure in verità basterebbe tirare il filo in un punto qualsiasi del tessuto della vita, e lo vedremmo correre per tutta la trama e, nel più vasto sentiero così aperto, anche gli altri, separandosi, diverrebbero visibili uno ad uno. Perché nel più piccolo settore di ogni vita è contenuta la sua totalità; anzi si potrebbe quasi dire: essa è racchiusa in ogni singolo momento, sia voluttà, disperazione o noia o trionfo quel che riempie, come in una draga, il secchio oscillante, nel ticchettio dei secondi. ”(3).
Nella dispersione metropolitana gli ismi possono divenire una soluzione, dando un senso alla vita. Scriveva Joseph Roth che è il verde il colore del desiderio, non il rosso. Il verde è il colore dominante delle campagne, dello spazio aperto, della vita accanto alla natura.
Nelle metropoli gli altri non sono separati, ma sono sconosciuti, ed è la città a incuriosirci sulla loro vita. Vienna era la capitale dell’Impero austro-ungarico, anzi una delle capitali, perché Praga, Trieste, Budapest non erano periferie. A Vienna ogni luogo è centro e periferia, come nell’Impero.
I veri centri di Vienna erano i Café: “…in questo enorme Café che occupava tutta la lunghezza di una vasta piazza sul canale del Danubio e per giunta due piani – proprio qui, per l’esagerazione stessa delle proporzioni, appena entrati, si aveva subito un’immagine esatta delle riunioni odierne, un’immagine di allucinante chiarezza. Perché il vocio era così forte che non ci si poteva sottrarre all’impressione che tutti parlassero e nessuno ascoltasse. Ed era più stupefacente constatare poco dopo che all’incirca era proprio così; come dimostrava con assoluta evidenza il veder senza posa in moto a parlare tutte le bocche e tutte le mani, che l’occhio poteva sorprendere vicino e lontano. ”(4)
Nella moltitudine vociante la vita di ogni singolo individuo si frantuma, così come nel nostro tempo è difficile dare un senso alla storia e alla vita individuale tra la massa di informazioni che giungono da ogni parte del mondo. In tale situazione si possono abbracciare i demoni, che sono, secondo Doderer, i grandi sistemi idealisti, la tecnica e la civiltà di massa, sono gli “ismi”, che pretendono di ordinare la vita e offrono una falsa felicità.
Non mancano nel libro di Doderer passi di alto lirismo, che sono un invito a schiudersi alla vita naturale senza riserve: “La sera poggia alla parete il suo spesso mantello rosso-oro, l’ampio panorama, qui limpidissimo, là evanescente, è meraviglioso come non mai, da questa elevata dimora. Le travi inclinate e la gran vetrata obliqua mi coprono di un tetto lucente e fuori, sotto di me, tra la folta cupola degli alberi, fuggono i tetti di case e ville, illuminate dal solo vespertino o splendenti ancora di un bianco calcareo, fino alla linea ondulata dei colli, fino al limite del cielo, laggiù, dove l’orizzonte grevi vapori, perché ormai siamo d’estate. ”(5).
Tali brani sono riferiti in genere al Graben, periferia collinosa di Vienna, ma non tutte le città possiedono la dolcezza della periferia della capitale austriaca, perché nelle zone marginali delle metropoli apparve, agli inizi dell’Ottocento, un nuovo soggetto di storia: il proletariato. Nei sobborghi, ove gli operai vivevano in condizioni indicibili, fu possibile sviluppare la coscienza di classe.
Nella nostra società il problema non è più il proletariato, bensì il sottoproletariato. Le lotte socialiste hanno migliorato le condizioni di vita della classe proletaria, ma il capitalismo ha creato sacche di indicibile povertà, che sono difficilmente avvicinabili da organizzazioni politiche, perché i miseri delle città occidentali hanno provenienze culturali, etniche e sociali diverse. Non quindi è possibile parlare di coscienza di classe.
Tale situazione è prefigurata nel romanzo di Alfred Doblin “Berlin Alexanderplatz”(6). Franz Biberkopf esce di prigione, dopo aver scontato la pena per un reato commesso. Vive in una stanza alla periferia di Berlino, dove viene avvicinato da piccoli criminali. Commetterà un altro reato e si troverà nuovamente solo in Alexanderplatz. Solo, tra lo sferragliare del tram ed il vocio assordante della folla! La storia di Biberkopf è anche quella della crisi economica della Germania di Weimar, della pauperizzazione del ceto medio, che in gran parte, non sopportando l’assimilazione a tutti i Biberkopf, aderì alla follia del nazionalsocialismo.
Esistono tuttavia zone misteriose e affascinanti nelle città, come il ghetto ebraico di Praga, nei cui labirintici vicoli possiamo entrare, con cautela, in compagnia del “Golem”(7) di Gustav Meyrinck, che si ispirò ad un’antica leggenda ebraica, la quale narra la vicenda di un homunculus creato da un rabbino in tempi antichi. Il Golem riappare ogni trentatre anni e reca disgrazie, poiché l’atto della creazione è soltanto di Dio. Gli uomini hanno il compito di cercare il mostro e fargli pronunziare il proprio nome al contrario per renderlo nuovamente privo di vita.
Il libro racconta questa ricerca, alla quale possiamo partecipare, soprattutto per avventurarci nella magica Praga e possiamo camminare sulle rive del Danubio insieme a Doderer o sostare ad Alexanderplatz…
NOTE
1) Doderer, Heimito, I demoni, Einaudi, Torino, 1979
2) Ivi, pag. 98
3) Ivi, pag. Tomo primo 6,7
4) Ivi pag. 75
5) Ivi, pag. 98
6) Doblin, Alfred, Berlin Alexanderplatz, Rizzoli, BUR
7) Meyrinck, Gustav, Il Golem, Guanda
gennaio 2004
in nuovi saperi: |
|
dello stesso autore: |
|