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Gli studenti del 7 in condotta
Alessandro Rabbone
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Leggo su una e-mail postata nel Didaweb la seguente domanda:
Cosa può comportare come massima conseguenza un 7 in condotta? .…da noi determina contraccolpi sul credito formativo ....
Chissà attraverso quali associazioni mentali, questa domanda, avanzata con tono molto pratico ed in un contesto molto quotidiano, mi spinge a riflettere sul tema del 7 in condotta. E la spinta a riflettere arriva solo ora, nonostante negli ultimi giorni fior fior di giornalisti, intellettuali e politici ne abbiano largamente discusso sui quotidiani nazionali.
Forse la risposta è semplice.
La domanda in questione mette allo scoperto un aspetto che è passato, tutto sommato, inosservato: la relazione tra "disciplina" e "profitto" (come si diceva quand'io ero studente).
Ai miei tempi il 7 in condotta all'ultimo trimestre significava "portare tutte le materie a settembre". Io ero tra quelli che tutti gli anni avevano sette in condotta per i primi due trimestri e poi (per bontà professorale) al terzo e decisivo trimestre se la cavavano con otto. E così per tutto il gruppo dei miei amici-compagni. Si favoleggiava perfino di un compagno più grande che un anno avrebbe avuto addirittura il 6, ma forse era solo una leggenda...
Ad essere onesti, non erano solo motivi politici (scioperi, assenze, manifestazioni...), c'entrava anche, in buona misura, il gran casino di tipo goliardico che facevamo (soprattutto scherzi grandiosi che spesso coinvolgevano tutta la scuola).
Ma quale che fosse il motivo del 7, ricordo ancora adesso la mia sensazione di trovarmi di fronte ad una pratica profondamente ingiusta. Che c'entrava il modo in cui mi comportavo, la condotta, con quello che imparavo e quello che sapevo, cioè con il "profitto"? Non poteva darsi che un indisciplinato, ribelle e casinista come me fosse bravo nell'imparare e nel capire?
Ma la scuola tendeva a dimostrarmi l'esatto contrario... E l'equazione "7 in condotta" uguale "riparare a settembre tutte le materie" era per me la materializzazione di questa ingiustizia.
Nel gruppo di amici-compagni di classe che frequentavo era molto ben visto e considerato chi aveva 8 o meno in condotta e allo stesso tempo 7 o più in storia e filosofia... (matematica, inglese, latino erano del tutto ininfluenti...).
Anche se ribelli e casinisti c'era tra noi la considerazione della cultura come di un valore (o almeno di una sua parte). Detestavamo la scuola come organizzazione repressiva e autoritaria, ma "amavamo" in qualche modo il sapere.
Che succede invece ai giovani di oggi? La prima impressione è che non apprezzino l'autorità, ma che non siano neppure antiautoritari, semplicemente che se ne freghino e, quel che è peggio, che se ne freghino anche dei contenuti propri della scuola, della storia, della filosofia, della scienza, dell'arte... Semplicemente che siano con la testa da un'altra parte.
Ma allora perché non porre la questione precisamente in questi termini?
Il problema più grosso della scuola italiana non è che i suoi ragazzi sono indisciplinati, ma che non "amano" la cultura ed il sapere.
Invece, sollevando polveroni e facendo una gran confusione, si preferisce porre la questione del 7 in condotta, come se un problema di ordine squisitamente culturale potesse essere risolto con misure disciplinari e come se l'obiettivo fosse quello di ritornare all'ordine nelle classi e non quello di far scaturire una qualche scintilla d'interesse.
Intanto... della "cultura giovanile" (o subcultura, non saprei) la scuola non sa proprio nulla.
Che ne sappiamo del perché la musica metal, le chat, gli SMS piacciono tanto ai ragazzi?
Consumismo? Come le merendine Kinder e McDonald? Forse.
Forse però bisognerebbe approfondire senza anatemi preventivi.
Gli SMS, ad esempio, sono costantemente condannati perché disturbano le lezioni o perché con quell'ibrido mostruoso tra orale e scritto rappresentano una "cultura" aliena?
31 gennaio 2001
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