GILGAMESH

classe 1^-scuola media - Frosinone

Personaggi

Anu, Padre degli Dei
Cacciatore
Gilgamesh
Ragazza
Enkidu
Ishtar
Dio dei Venti
Dio del Sole
Locandiera
Urshanabi
Utnapishtim









ATTO PRIMO

SCENA I

(Sipario chiuso e luci di sala spente. Lampi. Tuoni.)

Voce del Padre degli dei: Aruru, Aruru, dea potentissima della creazione! Oh tu, che nei tempi antichi già plasmasti dalla vile argilla l'uomo e lo ponesti sulla terra, ascolta, ascolta ciò che ti ordina il Signore del Cielo, il Padre di tutti gli dei. Va' e plasma dall'argilla un essere che abbia la stessa forza del tiranno di Erech, di Gilgamesh dico, l'essere grande e terribile per due terzi divino e solo per un terzo umano, che nessuno può uguagliare nel combattimento, né vincere con la lancia. Egli da troppo tempo governa la popolazione di Erech con mano di ferro, implacabile, prendendo tutti i giovani al suo servizio e facendo sua ogni donna che desideri. Alla fine, gli abitanti di Erech non ne hanno potuto più delle sue sopraffazioni e sono accorsi al mio tempio, implorando aiuto dal cielo. Va', dunque, Aruru, e plasma dall'argilla un essere che abbia la stessa forza di questo tiranno, affinché lo combatta e lo vinca, così da liberare la popolazione di Erech dal suo dominio. Costui sarà una mostruosa creatura a cui imporrai il nome di Enkidu.

(Lampi, tuoni, musica. Sul suipario chiuso si staglia l'ombra di una figura gigantesca, inizialmente sdraiata che lentamente, ma poderosamente, si alza, fino ad ergersi in tutta la sua possanza)

Fiero e violento egli sarà, come il dio della battaglia, e l'intero suo corpo sarà coperto di pelo. Avrà trecce lunghe come quelle di una donna e andrà vestito di pelli. Enkidu trascorrerà le giornate vagando per la campagna insieme con gli animali e, come questi, si nutrirà di erbe selvatiche e si disseterà all'acqua dei ruascelli. Così diventerà fortissimo e potrà affrontare e sconfiggere Gilgamesh, liberando Erech dalla sua tirannia.

(Le parole del Dio sono inframmezzate e sottolineate da una linea musicale sostenuta)


SCENA II

(Rullio di tamburi. Si apre il sipar. La scena rappresenta un'alta scalinata sulla cui sommità è il trono. Gilgamesh è regalmente assiso sul trono. Ai piedi della scalinata, il Cacciatore)

Cacciatore: Gilgamesh, potente sovrano, presta scolto all'umole suddito che si prostra ai tuoi piedi ad implorare aiuto! Ho ancora il cuore in tumulto e lo spavento cosparge ancora il mio volto di pallore. Per tre giorni, andando a caccia, a posare trappole, mi sono imbattuto, per fortuna non visto, in una creatura mostruosa, gigantesca e terribile. Il mostro -cosa inaudita- riempiva le fosse che io avevo scavate e strappava tutti i lacci che avevo teso per catturare gli animali selvatici. Gilgamesh, la creatura era intenta a liberare gli animali caduti nelle trappole! Signore, aiutaci tu! Così non possiamo andare avanti. Liberaci dalla selvaggia creatura che ostacola i lavori dei tuoi sudditi, che rende impossibile la caccia e provoca la carestia.
Gilgamesh: Cacciatore, suddito mio fedele, non temere. Provvederò io a liberarvi da questa minaccia. Confortati: io manderò alla sorgente, dove il mostro è solito andare ad abbeverarsi con le altre bestie, una fanciulla di rara bellezza. Ella lo conquisterà con le sue grazie e lo renderà uomo con l'amore. Così gli animali non lo riconosceranno più come uno di loro, anzi ne avranno paura e lo abbandoneranno, ed egli non sarà più una minaccia per nessuno.
(Il sipario si chiude. Musica.)


SCENA III

(Enkidu è seduto sul proscenio, ai piedi della ragazza. Sullo sfondo la scalinata)

Ragazza: (dolcemente) Enkidu, sei divenuto bello come un dio. Ormai sei un uomo: perché vuoi continuare ad errare in compagnia degli animali? Suvvia, vieni con me, ché io ti condurrò ad Erech, la grande città degli uomini. Io ti condurrò al tempio sfavillante, dove il dio e la dea seggono sul loro trono. È lì, appunto, che Gilgamesh infuria come un toro, tenendo tutti gli abitanti sotto il suo ferreo dominio.
Enkidu: (con gioia) Sì, non sono più come una bestia selvaggia e desidero la compagnia degli uomini. Tu mi hai fatto uomo con il tuo amore e mi hai insegnato le parole degli uomini. Guidami, dunque, alla città di Erech, al tempio sfavillante del dio e della dea. In quanto a Gilgamesh e al suo crudele dominio, io muterò ben presto questo stato di cose. Io lo provocherò e lo sfiderò, e gli mostrerò, una volta per tutte, che i giovanotti campagnoli non sono degli imbecilli.

(Tra lampi di luce e note di musica trionfale, appare sulla cima della scalinata, da un lato, Gilgamesh, dall'altro lato si manifesta la Sacerdotessa, in attesa. Gilgamesh tenta di avanzare verso la Sacerdotessa, ma con balzi veloci e arditi Enkidu si scaglia sui gradini)

Enkidu: Fermati, Gilgamesh. Dovrai prima affrontare me, Enkidu!
(sull'ultimo gradino sbarra il passo al Re. Lottano furiosamente. La luce si abbassa, tornano i lampi e i tuoni)
Voce del Dio: Ora, finalmente, Gilgamesh ha trovato un avversaio degno di lui. Guardate! Costui è il suo ritratto! Forse un poco più basso, ma forte ugualmente, piché ha succhiato il latte degli animali selvaggi. Finalmente vedremo delle novità ad Erech!
(Enkidu ha la meglio su Gilgamesh, che si abbatte al suolo)
Enkidu: Gilgamesh, tu hai coraggiosamente accettato la mia sfida, senza indietreggiare di fronte al combattimento. Non sei, dunque, un millantatore soltanto ed un tiranno, come mi avevano detto, ma anche un valoroso e fiero guerriero: tu mi hai dato chiara prova di essere stato generato da un dio, il cielo stesso ti ha posto sul trono. Non sarò dunque più tuo nemico. Stringiamo piuttosto un patto di amicizia.
(Enkidu aiuta Gilgamesh a rialzarsi. I due eroi si abbracciano. Sipario)


ATTO II


Voce del Dio: Il Re Gilgamesh era amante delle avventure, e mai si ritirava di fronte ad un pericolo. Un giorno propose a Enkidu di recarsi insieme sulle montagne, e, come atto di coraggio, di abbattere uno dei cedri della sacra foresta degli dei. L'impresa non fu facile, perché la foresta era difesa da un mostro potente e terribile: Humbaba! Ma, alla fine della dura battaglia, i due eroi riuscirono a sopraffare il mostro ed Enkidu staccò la testa dal corpo gigantesco. Mentre Gilgamesh si detergeva dalla fronte la polvere della battaglia, apparve sugli spalti della città di Erech la dea Ishtar, signora dell'amore e della guerra.

SCENA I

(Si apre il sipario. Ishtar è sulla sommità della scalinata. Sul proscenio Gilgamesh ed Enkidu intenti a rassettarsi)

Ishtar: Gilgamesh, ai miei occhi appari così splendente, per bellezza e per valore, che neppure una dea potrebbe resistere al tuo fascino. Vieni e sii il mio mante. Ti donerò un cocchio d'oro, incrostato di gemme, e le mule che lo traineranno saranno velovi come il vento. Tu entrerai nella nostra dimora profumata dalla fragranza dei cedri. La soglia e lo scalino baceranno il tuo piede. Re e principi si inchineranno dinanzi a te e ti porteranno, come tributo, i prodotti della terra.
Gilgamesh: Signora, tu mi prometti ricchezze e tesori, ma assai più mi domanderesti in cambio. E poi, hai forse mai tenuto fede ad un amante? Sei mai stata leale e sincera? No, mai! Tu non sei che una porta sconnessa, un palazzo vacillante, una bottiglia che fa acqua, una scarpa che stringe. No, mai avrai il mio amore.
Ishtar: Che tu sia maledetto, Gilgamesh, per questi insulti con cui mi ferisci. La tua arroganza ha superato ogni segno e per questo tu e il tuo amico sarete puniti. Io farò in modo che il Padre degli Dei mandi contro di voi quel potente toro divino il cui galoppo è foriero di tempeste e terremoti. Egli non potrà rifiutarsi, perché altrimenti io abbatterò le porte dell'inferno e metterò in libertà i morti, così che risuscitino e soverchino i vivi!
Voce del Dio: Va bene, Ishtar, ho ascoltato la tua minaccia. Placa la tua ira. Io manderò contro questi uomini il toro celeste. Ma rammentati che ogni qualvolta il toro scende dal cielo, ciò significa una carestia di sette anni in terra. Hai provveduto a questo? Hai raccolto scorte di cibo e di foraggio sufficienti per gli uomini e gli animali?
Ishtar: Ho già pensato a tutto. Vi sono scorte di cibo e di foraggio per gli uomini e gli animali.
Voce del Dio: Bene, allora, che il toro celeste scenda sulla terra e si scagli contro questi sacrileghi!

(Buio. Rimbombare di zoccoli al galoppo in rapido avvicinamento. Da un lato entra il Toro. Faro a seguire. Mentre Ishtar passeggia nervosamente sugli spalti, lotta aspra come una corrida, accompagnata da un'adeguata linea sonora. Enkidu afferra l'animale per le corna e gli immerge la spada nella cervice. Musica stop. Luce su Ishtar, la quale si ferma e lancia un urlo acutissimo)

Ishtar: La sciagura cada sul capo di Gilgamesh, il quale ha osato disprezzare me, e su Enkidu, che ha osato abbattere il Toro divino!
Enkidu: (strappa un corno dalla fronte del Toro e lo getta in faccia alla Dea) Se soltanto potessi mettere le mani addosso a te, e fare a te quel che ho fatto al toro! Se potessi strapparti i visceri, e appenderli accanto a quelli del toro! (e stacca la testa dal corpo del Toro)
(I due eroi sollevano la testa trionfanti. Buio sul fondo. Luce intensa sul proscenio. Musica trionfante.)
Enkidu e Gilgamesh: A Erech, a Erech, a celebrare il nostro trionfo!
(Musica. Lentamente si fa buio. Sipario)


ATTO III


(Si apre il sipario. Musica. Sulla scena c'è Enkidu dormiente. Dopo qualche istante, in una nuvola di fumo, entrano in scena gli Dei)

Anu, padre degli Dei: Chi semina vento raccoglie tempesta. L'uccisione di Humbaba e del Toro divino chiede vendetta, il responsabile deve essere punito con la morte. Ma, chi dei due, Enkidu o Gilgamesh, è il maggior colpevole? Secondo me è Gilgamesh; infatti non soltanto egli ha ucciso il mostro, ma ha anche abbattuto il sacro cedro.
Dio dei Venti: Gilgameh? È Enkidu il vero responsabile, poiché fu lui a guidarlo nel viaggio!
Dio del Sole: Ah, è così? Che diritto hi tu di parlare? Sei tu che hai spinto i venti in volto ad Humbaba, fino ad accecarlo e a renderlo impotente!
Dio dei Venti: E tu allora? E tu? Non fosse stato per te, nessuno dei due avrebbe compiuto tali misfatti! Tu li hai incitati e tu li hai assistiti nelle loro imprese!
(Gli Dei continuano a litigare, mentre lentamente si allontanano dalla scena. Silenzio. Enkidu si sveglia. Poco dopo entra in scena Gilgamesh)
Enkidu: Ho avuto uno strano sogno: gli Dei hanno stabilito la morte di uno di noi. Sono io il destinato, ne sono convinto. La punizione spetta a me.
Gilgamesh: Caro amico, forse gli Dei immaginano che, uccidendo te, lascerebbero libero me? Enkidu, tu sei stato per me la scure che avevo al fianco, l'arco che tenevo nelle mani, il pugnale che portavo alla cintura, la mia corazza, la più grande delle mie delizie! Con te vicino osai affrontare qualsiasi rischio e sopportare ogni avversità. Con te vicino, osai scalare le montagne e cacciare le fiere selvagge. Con te vicino, ho vinto il Toro divino. Oh, no, mio caro amico, senza te io trascorrerei le mie giornate seduto come un mendicante sulla soglia della Morte, attendendo che la porta si apra, per poter entrare a vedere il tuo volto!
Enkidu: La mia vita tra gli uomini non è stata tutta oscurità. Ho conosciuto giorni sereni, quando andavo errando con le mandrie nelle montagne, ho mangiato alla mensa dei re, mi sono coricato in un letto principesco. Ho conosciuto l più fedele amico della mia vita, te, Gilgamesh!
(Mentre Enkidu parla, muore. Gilgamesh piange, si lacera le vesti, geme. Poi prende un velo e copre il volto di Enkidu)
Gilgamesh: Ho veduto l volto della morte ed ho grande paura. Un giorno, anch'io sarò come Enkidu!
(si accascia sull'amico, mentre si fa buio e si chiude il sipario)


ATTO IV


SCENA I

(a sipario chiuso e luci di sala spente)

Voce del Padre degli Dei: Enkidu è morto! Ora Gilgamesh ha veduto il volto della morte e ne ha grande paura. Egli ha preso una coraggiosa decisione: andrà dal vecchio Utnapishtim, il saggio che non ha età, l'unico mortale che è sempre sfuggito alla morte; vuole apprendere da lui il segreto della vita eterna. Grandi sono i pericoli che Gilgamesh deve affrontare, poiché mai alcun mortale è potuto giungere fino a Utnapishtim. Gli impediranno il cammino mostri terribili e strade impraticabili, sarà allettato dalle più grandi delizie terrene. Ma niente potrà distogliere l'eroe dal suo proposito.

(Mentre il Dio parla, sul sipario chiuso si staglia l'ombra di Gilgamesh che compie l suo viaggio tra pericoli e delizie!?!?)
(Si apre il sipario. Sullo sfondo una locanda)

Locandiera: Gilgamesh, ciò che tu cerchi, non lo troverai mai! Infatti, allorché gli dei crearono l'uomo, a lui dettero la morte e tennero per sé la vita eterna, Perciò, godi di quanto ti è concesso: mangia, bevi, sii allegro; è per questo che sei nato!
Gilgamesh: Non riuscirai a convincermi! Voglio essere immortale! Aiutami, piuttosto, indicami il cammino per raggiungere Utnapishtim!
Locandiera: Egli vive in una remota isola e per raggiungerla devi attraversare un oceano. Ma questo oceano è l'oceano della morte e nessun essere vivente vi ha mai navigato. Però si trova ora qui, in questa locanda, un uomo, che ha nome Urshanabi. Egli è il nocchiero del vecchio saggio; forse puoi indurlo a trasportarti sull'isola.

(entra in scena Urshanabi)
Urshanabi: Potrai venire con me, ma ad una condizione: le tue mani non dovranno mai toccare le acque della morte; neppure una goccia d'acqua gocciolante dal remo deve cadere sulle tue dita. Il viaggio è lungo e pericoloso. Avrai bisogno di molto coraggio.
(Si chiude il sipario. Musica che ricorda il rumoreggiare delle onde, ma a tono sostenuto)


SCENA II

(Si apre il sipario. Sono in scena Gilgamesh e Utnapishtim)

Gilgamesh: Sono Gilgamesh, l'eroe di Erech. Sono venuto fino a te per conoscere il segreto della vita eterna, quel segreto che ha reso te simile agli dei.
Utnapishtim: Ciò che tu cerchi non lo troverai mai. Sulla terra non vi è nulla di eterno. Tempo e stagione sono stabiliti per ogni cosa. Quando gli uomini sottoscrivono un contratto, essi fissano un termine. Ciò che oggi acquistano, domani lo devono cedere ad altri. Privilegi antichissimi si estinguono con il tempo. Fiumi che oggi son gonfi e straripano, alla fine rientreranno nel loro letto. No, sulla terra non vi è nulla di eterno.
Gilgamesh: È vero, ma tu stesso sei un mortale e in nulla differisci da me, eppure sei eterno!
Utnapishtim: Ti svelerò il segreto: un segreto grande e sacro che nessuno conosce, eccettuati gli dei e io stesso.
(I due si sistemano per terra. La luce si fa più fioca. Musica dolce di sottofondo)
Utnapishtim: Nei tempi antichi, quando gli dei mandarono sulla terra il diluvio universale, per ordine di Ea, il dolce signore della sapienza, io costruii un'arca; chiusi ogni apertura con pece e catrame e su di essa caricai la famiglia e gli animali. Navigai per sette giorni e sette notti, mentre le acque salivano, le tempeste infuriavano e i fulmini guizzavano nelle tenebre. Alla fine del settimo giorno la furia si placò. Allora condussi fuori la mia famiglia e gli animali e offrii doni di ringraziamento agli dei.
Ma d'improvviso il Dio dei Venti scese dal cielo e ci costrinse a rinchiuderci nell'arca e, ancora una volta, l'arca fu spinta sulle acque, fino a quest'isola, sul lontano orizzonte. Gli Dei ci avevano condotto qui perché vi abitassimo in eterno.
Come vedi, non c'è segreto sulla mia immortalità, essa è solo una grazia particolare accordatami dagli Dei.
Gilgamesh: Dunque, ciò che cerco non lo troverò mai?
Utnapishtim: Non in questo mondo. Ma, per giungere fin qui, tu hai affrontato un viaggio duro e pericoloso ed io non ti manderò via a mani vuote. Come dono di addio, ti svelerò un segreto. Esiste una pianta: ha l'aspetto di un biancospino e le sue spine pungono come quelle di una rosa. Se un uomo riesce ad impossessarsene, egli può, assaggiandola, riacquistare la gioventù ed altri anni di vita.
Gilgamesh: Io la troverò. La porterò ad Erech e la darò da mangiare agli uomini: così, per lo meno, avrò una ricompensa alle mie fatiche.

(Le luci si affievoliscono. Si chiude il sipario)

Voce del Padre degli Dei: No, Gilgamesh! Dopo affannose ricerche e pericolose insidie, tu troverai sì la famosa pianta della gioventù, ma, prima ancora di potertene servire, la perderai per sempre. Allettato da una fresca sorgente, vorrai dare ristoro al tuo corpo affaticato bagnandoti nelle sue pure acque. Poserai la pianta in terra e le volterai la schiena. Un serpente, odorato il profumo della pianta, la rapirà e subito muterà la pelle e riacquisterà la gioventù. Tu resterai a mani vuote e piangerai. Rassegnati! Neanche tu puoi mutare il destino di tutta l'umanità!

(Si fa buio in sala. Musica forte)


F I N E


classe Prima G a TP - scuola media "N.Ricciotti" - Frosinone - anno scolastico 1991-92
coordinatore Prof. A.Cardamone

a.cardamone@email.it

   è una iniziativa didaweb/graffinrete