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I rischiosi enigmi di Benedetto a Ratisbona. EUGENIO SCALFARI

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma, Formazione permanente
Tipologia: Documentazione

Abstract:
I rischiosi enigmi
di Benedetto a Ratisbona

di EUGENIO SCALFARI


DUNQUE, a pochi giorni di distanza dal suo discorso di Ratisbona, Benedetto XVI ha dovuto chiedere scusa all'Islam, ai credenti dell'Islam, alle piazze dell'Islam. Il fatto è inaudito. Non era mai accaduto prima; mai un pontefice romano aveva chiesto scusa se non, nel caso di Giovanni Paolo II, per fatti accaduti molti secoli fa. Ma, a parte le scuse "politiche", molte altre e assai importanti questioni restano aperte e meritano di essere discusse.

A Ratisbona Benedetto XVI ha adombrato una terribile verità: non c'è un solo Dio. Più che una verità si tratta di una constatazione, anzi di un fatto accertato. Ogni uomo che creda in Dio ne ha un'immagine che non è la stessa di quella d'un altro suo consimile, non è la stessa che quella persona può avere avuto in passato né di quella che potrà avere in futuro, non è la stessa che nelle diverse epoche e nei diversi luoghi i suoi simili hanno avuto e potranno avere.

Terribile constatazione poiché constata, appunto, che l'immagine del Creatore non è oggettiva ma soggettiva, come del resto lo sono tutte le immagini.
Terribile perché la Chiesa cattolica si fonda sul pre - supposto d'un magistero cui Dio stesso (suo Figlio) ha affidato la testimonianza e la custodia della sua immagine.

Sicché riconoscere che ogni fedele ha la propria indipendentemente dal magistero episcopale e dalla sua intermediazione, rischia di minare alla base la struttura apostolica e gerarchica della Chiesa di Roma.
Questa, a mio avviso, è la prima osservazione da fare per quanto riguarda il merito della "lectio magistralis" di Benedetto XVI all'università di Ratisbona. Molti si sono domandati perché mai il Papa-teologo si sia spinto così lontano. Le risposte sono state varie. I più hanno ritenuto che la molteplicità di Dio constatata dal Papa sia incidentale nell'ambito d'un più ampio discorso di condanna delle violenze e delle guerre combattute in nome di Dio. Altri vi hanno visto finalità politiche di avvicinamento alla Chiesa ortodossa e di presa di distanza da quelle protestanti. Altri ancora una sottolineatura del Dio razionale e "ellenistico", quindi europeo per eccellenza.
Parleremo dopo di queste diverse interpretazioni e in particolare di quella ellenizzante. Per conto mio, penso assai più semplicemente che a Ratisbona Benedetto XVI sia scivolato, né più né meno, su un errore di comunicazione. Anche un Papa è fallibile, indipendentemente dal dogma.

Benedetto ha sbagliato dal punto di vista della sua Chiesa. Ha detto ciò che da un Papa non ci si aspetta. Ha messo in moto effetti più che spiacevoli. Ha fatto un involontario passo avanti sulla via dello scontro tra religioni. Ha infiammato la protesta e l'odio dell'Islam compattando i fondamentalisti con i moderati, i sunniti con gli sciiti, i musulmani arabi con quelli non arabi.
È questo che voleva? Sicuramente no e le scuse offerte ieri lo provano. È stato frainteso? Probabilmente sì. Ma soprattutto ha incrinato l'oggettività della trascendenza. La sua univocità. Ed è questo a mio avviso l'effetto più grave. Non certo per chi non crede, ma per chi crede e su quella credenza - quale che sia - riposa.

* * *

Il secondo passo importante di quella "lectio magistralis" è stato l'identificazione del Dio cristiano con il Dio razionale. Quello - ha detto il Papa - in cui l'uomo si rispecchia mentre il Creatore si rispecchia in lui. Il connubio tra fede e ragione al di fuori del quale non resterebbe che un Dio arbitrario e imperscrutabile.
"In principio - ha ricordato Benedetto XVI - era il logos", correggendo o meglio forzando altre letture del Libro sacro.

Del resto il connubio fede-ragione è soltanto uno degli aspetti della storia del cristianesimo. Esso convive con altri che fanno parte anch'essi di quella storia a pieno titolo; per esempio il rigoglioso filone della mistica, la testimonianza martirologica, la dottrina della grazia e della predestinazione. Convivono addirittura nell'intimo di alcune grandi figure del pensiero cristiano, a cominciare da Agostino dal quale si dipana un filo che arriva fino a Pascal e poi a Kierkegaard.

Quanto al Dio dell'arbitrio, nella Bibbia esso è di casa in una quantità di passaggi e raggiunge il culmine nel libro di Giobbe, in quelle splendide e terrificanti pagine in cui è Eloim a rivendicare orgogliosamente la sua immensa potenza, la sua inaccessibilità, la sua sterminata forza creatrice e la sua totale libertà di fronte ad una qualsiasi legge anche se da lui stesso promulgata.

Diciamo che la razionalità di Dio è una conquista che da Girolamo arriva fino alla Scolastica dell'Aquinate e che rimane, con gli appropriati aggiornamenti, la linea della gerarchia e della teologia riconosciuta.
Ma in che modo papa Ratzinger ripropone il Dio razionale? Nella "lectio" di Ratisbona la spiegazione è esplicita: il Dio razionale è il riflesso dell'uomo e il solo modo, o almeno il modo prevalente, attraverso il quale l'uomo può conoscere Dio.

Da qui a concludere che Dio è una proiezione del pensiero dell'uomo il confine è sottilissimo. Per la seconda volta nello stesso luogo e nello stesso testo il Papa romano sfiora la soglia della miscredenza: l'immagine di Dio è soggettiva e non univoca; il Dio razionale si specchia nell'uomo e l'uomo in lui.

Feuerbach era arrivato all'affermazione blasfema che la divinità è un'invenzione umana per dare un senso alla nostra vita e rassicurarci dall'incubo della morte. Benedetto XVI non arriva ovviamente a questo ma dissemina la sua "lectio" di tracce che portano verso quella direzione. Se questa è la sua apertura alla modernità, gli sia reso il merito d'aver scelto l'approccio più rischioso rispetto a quello assai più tranquillizzante della convergenza etica e della "buona" laicità.

* * *

L'ellenismo e il cristianesimo. Si è capito, leggendo il testo di Ratisbona, che il Papa ci tiene molto a questa "contaminazione" culturale. Forse perché è dalla sintesi di quei due filoni di pensiero e di quelle due culture che scaturisce la differenza profonda e in un certo senso l'unicità del cristianesimo (e in particolare di quello cattolico) rispetto alle altre religioni monoteistiche. La modernità cattolica, la sua capacità di assorbire il presente e il futuro; infine la flessibilità della Chiesa di Roma nei confronti della scienza e dei suoi esiti.
Si tratta di vera apertura? D'una innovazione rilevante della cultura cattolica rispetto a quella laica e all'autonomia della scienza?

Questa supposta apertura è difesa da una muraglia di aggettivi che vanno tenuti nella debita considerazione. Si parla nel documento di Ratisbona, come del resto si è sempre parlato nel linguaggio della gerarchia episcopale, di "buona laicità", di "ragione ragionevole", di "sincera adesione" della ricerca scientifica ai postulati delle leggi naturali; così anche per l'etica, la quale ha nel diritto naturale il suo imprescindibile ancoraggio. Infine l'obiettivo della razionalità, dell'autonomia delle coscienze, del libero arbitrio, dell'approccio scientifico alla conoscenza della natura, resta il raggiungimento del Bene, naturalmente nella visione cristiana illuminata dalla fede.

L'ellenismo ha esaltato nell'evoluzione cristiana la dialettica delle autonomie: della coscienza, della scienza, dell'economia, della politica. Da questo punto di vista è stato un innesto salutare in un organismo già predisposto a riceverlo ("Date a Cesare...") ma, beninteso, il rapporto non è né può essere paritetico. L'ellenismo e la dialettica delle autonomie sono pur sempre elementi subordinati alla concezione cristiana, ai paletti che essa pone alle autonomie in vista della salvezza e della "vera" libertà.

In questa visione rientra anche la condanna del "neo-darwinismo" in favore del "disegno intelligente" (ancora un aggettivo significante) che consegue però un effetto non trascurabile nella delicatissima zona del sacro: quello di allontanare il Creatore all'inizio della creazione affidandone l'evoluzione alla natura "intelligente", cioè alla natura imbevuta dall'intelligenza del solo e trascendente "increato". Gli interventi successivi sono affidati all'amore, all'agape signoreggiata dal Figlio, non a caso incarnato a misura d'uomo. Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo.
Non c'è innovazione in questo pensiero ma semmai una dose di antropomorfismo che degrada il resto del creato ad un rango inferiore nel quale non c'è anima e non c'è, ovviamente, paradiso.

* * *

Questa complessa e a suo modo grandiosa costruzione conferma la natura occidentale e soprattutto europea della visione religiosa di papa Ratzinger. Visione profondamente tradizionale, aggiornata e predisposta ad assorbire la modernità e, fortunatamente per tutti noi, lontana dalla tentazione teocratica prevalente nell'Islam.

Nonostante le scuse diplomatiche di Benedetto XVI la "lectio" di Ratisbona rappresenta un colpo d'arresto al dialogo tra le religioni e il tentativo di imbrigliare la scienza, la filosofia, il discorso pubblico con la politica.
Un appello identitario insomma, quello di papa Ratzinger. Né avrebbe potuto essere diverso. Nei confronti dell'Islam e delle altre religioni un errore di comunicazione, nei confronti dei laici, tutto secondo copione.

La risposta da parte nostra non può che essere l'accettazione del dialogo che, per quanto ci riguarda, parte dalla considerazione che la fede è un fatto privato e non fa parte del territorio della ragione e della scienza, ma mantiene una dialettica giovevole sia alla religione sia alla scienza sia alla dinamica delle idee, contro il fondamentalismo da qualunque parte esso provenga.


(17 settembre 2006

http://www.repubblica.it/2006/09/sezioni/esteri/benedettoxvi-4/rischiosi-enigmi/rischiosi-enigmi.html



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