Non ha detto “Dio lo vuole”, come il suo predecessore Urbano II fece 1000 anni fa scatenando la prima Crociata. Non ha parlato di infedeli, di eresie, di “perfidi” (come i “perfidi giudei” citati dalle preghiere cattoliche fino al 1964). E neanche condotto in battaglia i suoi soldati al grido di “Morte ai miscredenti”, come fece il frate Marco D’Aviano nella Vienna assediata dagli ottomani a fine ‘600.
Papa Ratzinger, da professore qual è, ha scelto una lezione nella sua Ratisbona per dire la sua, in modo esplicito come mai prima, sull’Islam. E si è avventurato in un discorso colto e impervio, forse equivocato, certamente inopportuno in un momento in cui le parole “guerra di civiltà” risuonano sinistre in Oriente come in Occidente.
Anche ieri, le polemiche non si sono placate per il discorso papale in cui, secondo i critici, Benedetto XVI ha compiuto una sorta di “invasione di campo”, andando a toccare temi delicatissimi per la fede musulmana. Durissimo soprattutto il partito islamico moderato Giustizia e sviluppo (Akp) del premier turco Recep Tayyp Erdogan: "L'autore di queste frasi infelici e arroganti passerà alla storia ma nella stessa categoria di Hitler e Mussolini - ha affermato il deputato dell'Akp Salih Kapusuz - e sembra che sia rimasto all'oscurantismo del Medio Evo".
E a questo punto si fa complicata la progettata visita papale proprio in Turchia. Ma cosa ha detto veramente Ratzinger? Come sempre, nel riecheggiare di dichiarazioni che commentano dichiarazioni, nel sovrapporsi di prese di posizione e di varia umanità, il messaggio originale sembra non interessare più nessuno.
Vediamo. Il passaggio più contestato, indubbiamente, è la citazione di Manuele II Paleologo, uno degli ultimi imperatori bizantini, uomo dotto e umanista ante litteram. Il quale, in un dialogo, dice al suo interlocutore: "Mostrami pure cio' che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava". Naturalmente, i media mondiali hanno ripreso la frase come una citazione diretta del pontefice. Omettendo che Ratzinger la introduce dicendo: "Egli, in modo sorprendentemente brusco che ci stupisce…", e concludendo: "l’imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante…".
Dunque il papa prende le distanze, come ovvio, da un testo scritto alla fine del 1300, e lo usa, con indubbia mancanza di senso dell’opportunità, per spiegare meglio il suo concetto: i dubbi di Manuele II si fondano sull’illiceità per un credente di ricorrere alla violenza. Soprattutto nei confronti di chi crede in un altro Dio. Non a caso, Ratizinger cita la sura 2, 256 del Corano, dove si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede".
La critica all’Islam, in questi passi, non è esplicita, né così evidente come è stato scritto. La dissertazione tuttavia prosegue, e il papa precisa che in seguito lo stesso Maometto contravvenì alla sura 2, chiamando i fedeli alla jihad. Questo perché, sostiene il papa, se per il cristianesimo "non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio", l’Islam ha forgiato l’immagine di un Dio trascendente, la cui volontà non è legata alla ragionevolezza. Sebbene anche quest’ultima frase non sia espressione diretta del pensiero ratzingeriano, visto che è un’altra citazione, stavolta dell’editore del dialogo bizantino, è chiaro che l’invasione di campo c’è, ed è di inedita profondità almeno per l’ultimo secolo.
Ratzinger, infatti, torna a ribadire la condanna verso ogni guerra santa, si chiami Crociata o jihad. Ma sembra ritenere la prima un errore della storia, mentre la seconda è figlia dello stesso testo sacro islamico. Eppure, Benedetto XVI non rinuncia al dialogo: confrontiamoci, dice idealmente all’Islam, per contrastare l’opinione dominante nel mondo occidentale che "soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali". Un pensiero quantomeno contorto quello ratzingeriano, come è nella sua natura: l’Islam è intrinsecamente violento, ma occorre dialogare con esso per combattere il relativismo etico dell’Occidente.
Proprio quel relativismo che l’Islam, ha riconosciuto il papa nei giorni scorsi, per sua fortuna non ha. Al di là delle critiche che hanno riunito per una volta tutto il variegato mondo della Mezzaluna, che si possono riassumere con "Il papa pensi agli estremismi e alle violenze di casa sua, e non metta il naso nei nostri testi sacri", c’è da chiedersi quali sono le finalità di un discorso così controverso. Dal viaggio in Germania di Benedetto XVI rimane un messaggio che forse sarà quello fondante del pontificato: la ricerca del dialogo è d’obbligo, ma altrettanto indispensabile e la accentuazione dell’identità.
I cattolici hanno ragione, sostiene il dotto pontefice, e questo non è argomento da dibattere. Sul resto, sediamoci attorno a un tavolo. Lo stesso messaggio consegnato dal papa al meeting interreligioso di Assisi, null’altro che una banale riproposizione dell’ecumenismo del primo ‘900, ancora fondato sull’assioma "extra Ecclesia nulla salus", fuori dalla Chiesa non c'è salvezza. Parole che scavano un baratro con l’Islam, a sua volta, va riconosciuto, ben poco disposto a un dialogo che ne metta in discussione i fondamenti dogmatici.
Il dotto professore-pontefice tedesco, infine, commette un errore che non può non essere voluto: mettere sullo stesso piano Vangelo e Corano, cioè un testo nato come la raccolta della tradizione orale sulla vita del Messia e uno elaborato già in partenza per essere il vademecum dogmatico e politico di ogni fedele, è ovviamente sbagliato. Tanto più che la stessa Chiesa Cattolica riconosce tra i fondamenti della sua fede, oltre ai Vangeli che, come è noto, lasciano un solo vero comandamento ("Questo solo vi comando, amatevi l’un l’altro") centinaia di testi canonici, la cosiddetta Tradizione, nei quali andando a spulciare i riferimenti alla conversione anche forzata degli "infedeli" ci sono eccome. Anche per questo un pontefice, 1.000 anni prima di Ratzinger, poteva chiamare le truppe alla battaglia contro i "terribili musulmani".
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