Nella grande sala d'ingresso, le sedie erano state disposte lungo le pareti, una accanto all'altra, come si usava, nel Sud, quando c'era un funerale. Via via che arrivavano, gli ospiti si salutavano e prendevano posto, quasi fossero a teatro e aspettassero l'inizio dello spettacolo. Parlavano a voce bassa, e persino i più vivaci sembravano contenere i gesti e le parole. I discorsi, vaghi e pieni di sospiri, iniziavano e si spegnevano prima di concludersi. Lunghi silenzi cadevano nella stanza, interrotti, di tanto in tanto, da scoppi improvvisi di voci. Si capiva che tutti avevano il cuore pesante. Eppure l'evento che li aveva riuniti in quella stanza non era luttuoso. Amici e parenti erano venuti per salutarci: per trascorrere insieme a noi gli spiccioli di tempo che ci separavano dalla partenza del treno. I miei genitori, i miei fratelli, e io, lasciavamo il paese - Rionero in Vulture - per trasferirci in una grande città del Nord. Ce n'andavamo, come tanti altri prima di noi. Diventavamo "emigranti". Era il 1955.
"E' ora" disse mio padre. Tutti si levarono in piedi, come spinti da un'unica molla., e le voci esplosero. Voci acute, sovrapposte, confuse. Solo mia nonna sembrava ammutolita. Ci abbracciò uno per uno, ci strinse, senza parlare. Sulla soglia esitai e, invece di uscire, tornai indietro per abbracciarla un'ultima volta. Lei, nello sforzo di trattenere l'emozione, emise un suono gutturale, quasi un grido soffocato. "Te ne vai" disse con voce stridula, stringendomi forte. "Ve ne andate tutti!"
Quel tardo pomeriggio l'ho ben impresso nella memoria e, ogni volta che un dettaglio riaffiora - una voce, l'espressione di un viso - avverto il morso di un'antica lacerazione. Partii con il Treno del Sole. Treno famoso, treno ambito e temuto, in quegli anni, dalla gente del Sud. Non meno leggendario di quanto fosse, per altri, l'Orient Express. Avevo poco meno di quindici anni e, com'è normale a quell'età, una gran voglia di andar via, di vedere mondi diversi, di cambiare. Ero esaltata e triste al tempo stesso, impaziente di partire e torturata dalla sofferenza di lasciare le cose che conoscevo e che amavo.
Così sono gli addii...
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