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Dionisismo, coribantismo e terapia - Il Tarantismo ieri e oggi. Un articolo di Georges Lapassade

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Materiale di studio

Abstract:
Dionisismo, coribantismo e terapia


Georges Lapassade


Quello che segue è l'estratto dell'intervento di Georges Lapassade, Docente di Etnosociologia - Università Parigi 8 al simposioDioniso, il dio dell'ebbrezza - dall'antropologia del bere alla cultura della salute, che avrà luogo l'11 marzo 2002 al Teatro Litta di Milano.

I culti di possessione sono cerimonie pubbliche nel corso delle quali alcuni adepti in transe sono considerati posseduti dai loro "geni" che si manifestano attraverso gesti particolari, passi di danza specifici, ecc. Le entità sovrannaturali che si manifestano in questo modo sono, per così dire, convocati dai musicisti che conoscono le loro "devises" musicali e vocali. All'ascolto di queste devises gli adepti dell'entità invocata entrano in transe e danzano.
Perché il sistema funzioni è necessario inoltre "che questi stati di transe siano riconosciuti dal gruppo sociale come dovuti alla possessione di questi individui da parte di una o più entità spirituali" (Bourghignon 1968). Per gli osservatori che non condividono le credenze locali queste danze sono viste come balli liturgici che comportano supposte mimesi a rappresentazione di taluni tratti che caratterizzerebbero le entità che si manifesterebbero in quel momento. Gli spettatori partecipanti sono convinti che gli dei invitati a manifestarsi sono presenti e danzano.
Erika Bourghignon (op. cit.) asserisce che esistono due grandi categorie di riti di possessione:
- quelli senza finalità terapeutiche, come il culto degli "orixas" e quelli del "vodun" in Africa occidentale, come il Voudu di Haiti; propongo di designare questa categoria A come "possessione liturgica".
- I riti di possessione con finalità terapeutiche (categoria B), tra i quali e tra gli altri, il coribantismo dei greci antichi, il "zar" dell'Etiopia, il "bori" nigeriano, lo ndöp wolof (Senegal), ai quali si può aggiungere lo "stambali" tunisino, la "derdeba" marocchina, il tarantismo
del sud d'Italia.
Qui mi occuperò solo dei riti di possessione con finalità terapeutiche.



1. Il coribantismo

Nell'antica Grecia si chiamavano "coribanti" allo stesso tempo i geni associati alla Grande Madre dell'Asia (Cybele), i sacerdoti di questa divinità ed i terapeuti uomini e donne, che trattavano le "vittime" dei coribanti attraverso uno specifico incantesimo rituale.
Questo incantesimo rituale comprendeva:
1. una diagnostica musicale;
2. un sacrificio offerto da ciascun paziente alla divinità con la musica del quale aveva avuto una reazione ed una osservazione dei presagi;
3. una danza cui partecipavano coloro che avevano patrocinato il sacrificio, ed ai quali apparivano le divinità (figurate forse comesacerdoti?) che si supponeva vi prendessero parte; (Doods 1965, p. 102-3, nota 102);

Innanzitutto ed a proposito della diagnostica musicale, in Platone ("Ion", 536b) si trova la seguent precisazione:

"le genti dei coribanti (korobamtiontes) non reagiscono (saissent) con prontezza che ad un'aria (melous), quella del dio che li possiede (katechôntaï) e, per conformarvisi trovano senza difficoltà gesti (schênaton) e parole senza interesse per le altre".

L'essenziale è indicato qui in una sola frase: i coribanti "possiedono" le loro vittime, che entrano in transe all'ascolto di un'aria (melous) associata al loro genio, cosa che permette d'identificarlo e d'ingaggiare con lui un processo di riconciliazione e d'alleanza. Ma si manca di precisione sui disturbi di coloro che facevano ricorso alla terapia coribantica.
La diagnostica musicale finalizzata ad identificare il coribante che si suppone essere all'origine del disturbo, consiste nell'ascolto da parte di questi posseduti di formule musicali che Rouget descrive in termini di "devises" (divise), una nozione che designa la combinazione di una breve
formula melodica con un ritmo e specifiche parole. All'ascolto di una di queste devises il posseduto entra in transe trovando, in quel preciso momento, "gesti e parole" - riprendo qui la formula di Platone - corrispondenti al dio o al "genio" che si manifesta così e che si può da questo momento identificare.
La manifestazione di questo essere sovrannaturale - di questo coribanto - implicava "gesti e parole":

- i gesti erano espressioni mimate che esprimevano il modo in cui i coribanti avevano l'abitudine di comportarsi (c'è qui, in effetti, una specie d'universale dei riti di possessione: le entità sovrannaturali che possiedono gli umani sono coribantizzate ciascuna da un colore, una divisa
musicale, un profumo particolare, certi tratti del carattere, ecc; - quanto alle "parole", bisogna supporre, deboli di precisazioni su questo punto, che il soggetto in transe era in qualche modo "parlato dal dio".

Relativamente alla fase del sacrificio - la seconda parte del dispositivo coribantico - non ho trovato in alcun luogo indicazioni precise, ma, anche qui, si rilevano analogie con i riti di possessione che d'altro canto conosciamo: questi sacrifici hanno per finalità essenziale di placare il dio che tormenta il (o la) posseduto, di patteggiare con lui e di ottenere
così la "guarigione".

La terza ed ultima fase del rito coribantico è quella di una danza collettiva di possessione nel senso stretto e delimitato di questo termine che ovunque designa, l’ho ricordato prima nell’introduzione, una danza generalmente collettiva e pubblica effettuata in stato di transe. I coribanti che danzano in questa ultima fase della terapia ed esibiscono la capacità di padroneggiare e “rappresentare” nel “teatro della possessione” i coribanti che li avevano precedentemente tormentati.
Ciò implicava probabilmente momenti di mediumnismo, talvolta detto anche di “profetismo”, durante i quali prendevano la parola i coribanti. In un vecchio testo di Phrjgien Arriers, citato da Oesterreich, si può leggere quanto segue:
“Sono furiosi, posseduti da Rhea e dai coribanti, ciò significa che si dimenano alla maniera dei coribanti posseduti dal demonio. Non appena il demone ha preso possesso di loro si precipitano, proferiscono crisi, danzano ed annunciano l’avvenire, furiosi e spinti da Dio” (Oesterreich 1927, p. 423).

Il processo coribantico funzionava così come una iniziazione che conduceva alla padronanza ritualizzata di una possessione prima subita nella sofferenza. È ciò che ho descritto altrove (Lapassade 1998) come il passaggio da una dissociazione subita ad una dissociazione padroneggiata, gestita.
La cerimonia collettiva con danze e transe attraverso cui si conclude il processo terapeutico di tipo coribantico può essere vista come equivalente dei riti di possessione liturgica. La differenza fondamentale consiste nel fatto che
- nei riti di possessione con finalità liturgica e senza esplicite finalità terapeutiche, la danza collettiva comporta, si è visto, da parte degli adepti in stato di transe, l’incarnazione di divinità e può essere preceduta da un sacrificio. Ma questo sacrificio e questa danza collettiva non funzionano come nei riti terapeutici avendo solo una finalità liturgica di celebrazione;
- questa liturgia di celebrazione si ritrova così alla fine del processo terapeutico di tipo coribantico ma questa volta soltanto a titolo di conclusione di un processo di cui non è necessariamente un momento essenziale (nello ndöp, per esempio, il momento essenziale della terapia è quello del sacrificio e dell’erezione di un altare);
- la persona che è stata sottomessa alla terapia di tipo coribantico partecipa a aquesto rito collettivo terminale solo allorquando sarà considerata come guarita - quando la sua possessione iniziale selvaggia e tormentosa sarà stata rovesciata in possessione gestibile, controllata e padroneggiata.

Un adorcismo

Contrariamente a ciò che si può leggere fin troppo spesso tra i grecisti che si sono occupati della questione (soprattutto Doods 1965; Jeanmarie 1951) così come in Ernesto De Martino (1961) la terapia coribantica non era un esorcismo; sfociava, al contrario ed attraverso un capovolgimento della possessione iniziale che implicava una riconciliazione, in un adorcismo (De Heusch 1971).
Ma dato che, se si esclude G. Rouget, coloro che si sono occupati di coribantismo non disponevano di questo concetto, hanno, a proposito del coribantismo, generalmente parlato di “esorcismo”. Dunque, contrariamente a ciò che accade nell’esorcismo, la cui finalità è l’espulsione dei demoni, nel coribantismo non si pensa affatto ad espellere gli dei, si cerca al contraroi di placarli, di allearsi con loro.
Si trasforma - l’ho già detto e lo ripeto - la sofferenza iniziale in gestione e padronanza e la persona che ha acquisito questa competenza può partecipare conclusivamente asl rito pubblico di possessione dove incarnerà il dio o il genio ormai addomesticato. Lo farà con i gesti appropriati ed anche, talvolta, con le parole dette da questo dio attraverso il suo medium in transe.

La funzione della musica

Mi sembra utile offrire qui, con G. Rouget (op. cit.) qualche precisazione sulla molteplicità delle funzioni terapeutiche della musica nel coribantismo come negli altri rituali che possono rientrare nella stessa categoria terapeutica :
- i greci del coribantismo utilizzavano soprattutto l’Aulos (che secondo Rouget non era un flauto, ma uno strumento ad ance come il clarinetto, l’oboe) ed anche i crotali ed i tamburelli a cornice .
- nella fase della diagnostica musicale la musica agiva, per dirla ancora con Rouget, non attraverso effetti emozionali, ma in quanto codice, in quanto devise .
- nel rito pubblico della possessione ritualizzata, con danza e transe, la musica aveva una funzione complemantare che si può ancora osservare altrove in altri riti : la musica introduceva nel disordine della iniziale possessione selvaggia un ordine che rappresentava secondo Platone l’ordine del cosmo e che per Rouget è invece quello della società .

È nel corso di questa fase terminale - quella della danza della possessione collettiva dei coribanti - che aveva probabilmente luogo “intronizzazione” dell’implorante (alcuni autori autori situano questa “intronizzazione” nella prima fase, ma personalmente non ho trovato mai un’argomentazione rigorosamente irrefutabile per condividere questa impostazione) .
Questa intronizzazione rappresentava probabilmente un rito d’accesso della persona che aveva beneficiato della terapia nella “confraternita” dei coribanti, iniziata e per conseguenza dunque ammessa a partecipare alla danza collettiva di possessione .

Coribantismo e Menadismo

La maggioranza dei commentatori , comunque quelli che ho già citato, ha spesso la tendenza a mettere sullo steso piano il dionisismo ed il coribantismo integrandoli nella categoria più generale dei “riti” di possessione .
Rouget sembra adeguarsi a questa tendenza ma vorrei tuttavia rilevare dal suo libro un passaggio che fa riflettere .A proposito delle compagne di Dioniso, le menadi (il termine è formato a partire da mania, termine che designa insieme la follia, il delirio, la transe) Rouget scrive (p.275)
“se Platone si astiene da ogni riferimento alle Menadi, è forse perché non sono legate alla dimensione terapeutica della trance”.
Leggendo le Baccanti di Euripide (soprattutto nella versione proposta da Festugere ) si constata in effetti che il coro delle Menadi con cui si apre la tragedia - il Parodos - è caratterizzato dalla sua dimensione di trance estatica che non è la tranvce (delirante) di “possessione” delle Baccanti.
JeanMarie, nell’opera già citata, d’altronde utilizza delle refernze etnografiche molto differenti a seconda che si tratti del coribantismo o del menadismo (termine che si riferisce, in genere, al culto di Dioniso):
- quando tratta del coribantismo fa riferimento al culto Bori ed a quello Zar che sono, l’ho già detto, a finalità terapeutica.
- Ma quando parla del menadismo, stabilisce un parallelo con il rito estatico degli Aissaua marocchini che, anche se comporta per effetto di un sincretismo locale taluni aspetti della possessione (soprattutto per gli animali che gli adepti imitano nel corso della Hadra) è fondamentalmente una cerimonia di origine sufi.
E tuttavia se si vuol vedere a tutti i costi nel rito dionisiaco ( quale esattamente? Di quale epoca? Di quale luogo?) un rito di possessione, è nella prima categoria di Bourghignon che bisognerà classificarlo, poiché non c’è niente che inichi che la sua finalità sarebbe stata (quando? Come?) terapeutica….
Ma l’elucidazione di questo punto non è indispensabile allo studio del coribantiusmo e che ci teneva ad indicare semplicemente il fatto che mettere assieme, in uno stesso sviluppo, come troppospesso fanno i commentatori, il dionisismo (o menadismo) ed il coribantismo, srischia di introdurre inutilmente confusione laddove e particolarmente richiesto uno sforzo di chiarificazione e differenziazione.

2. Il dispositivo terapeutico bilalialo, stambali e derdeba

I riti maghrebini dello stambali a Tunisi, dlele derdeba in Marocco e del Diwan di Sidi Bilal ad Algeri sono dei riti di possessione a finalità terapeutica.
Per designare l’insieme di questi rituali che presentano numerosi tratti comuni, riprendo qui la nozione di “bilalismo” che altrove prende altri significati e che fa riferimento a Bilal, il nero abissino converito all’Islam, diventato poi il muezin del Profeta.
Per presentare nel suo schema terapeutico essenziale questo bilalismo, utilizzerò due ricerche fondamentali: quella di Ahmed Rahall (2000) sullo stambali tunisino e quella di Abdellatif Chligeh (1999) sugli Gnaoua marocchini così come utilizzerò qualche mia personale osservazione di campo.

Lo stambali

In senso stretto lo stambali è un rito di possessione collettivo e pubblico. Costituisce, in realtà secondo Rahall, l’ultima tappa di un processo terapeutico che passa attraverso diverse fasi:
1. la consultazione, che è la rpima tappa del processo terapeutico, “consiste nell’identificare prima di tutto l’origine soprannaturale del disturbo”. Questo è il lavoro specifico della veggente. Quest’ultima può così procedere con una diagnostica olfattiva, ma ciò è meno sistematico se si fa eccezione per il culto sudanese dello zar. La veggente brucia dunque gli incensi dei geni fino al momento in cui si produce la trance rilevando così più l’origine soprannaturale del dsturbo, il suo responsabile.
2. In seguito “la paziente è orientata verso un altro officiante, il Maallem il cui ruolo è quello di identificare o di “nominare” il genio che tormenta la consultante”. È la diagnostica musicale: allorchè il o la consultante entra in trance all’ascolto della divisa di un santo o di un genio, questo è identificato
3. allorchè sono stabilite origine e natura del malessere si fa un accordo col maallem per la celebrazione di un rito di accompagnamento verso lo spirito patogeno. La famiglia committente negozia, l’ammontare della retribuzione del gruppo e una caparra per il maallem.
4. “il sacrifico rappresenta un elemento essenziale o sistematico del dispositivo di terapia iniziatica ……l’animale sacrificato serve alla preparazione del passo liturgico comune che divideranno gli invitati, nel corso della cerimonia notturna ed in omaggio alle entità sovrannaturali.

Il Maallem accompagmato dalla sua orchestrina raggiunge il luogo del sacrificio per suonare l’incantesimo dello spirito del nuovo eletto. Poi brucia i profumi che lo attraggono … . Egli procede in seguito all’immolazione … che costituisce il principio stesso dell’offerta. E’ il supporto sul quale si stabilisce il legame di comunione e di conciliazione con lo spirito.

5. Il processo terapeutico ed iniziatico si sviluppa attraverso una liturgia musicale celebrata in omaggio agli spiriti alleati … . La celebrazione ritale dell’alleanza segue la fine del dispositivo terapeutico. Ma questa nuova alleanza contrattata con lo spirito patogeno, diventato alleato e protettore, esige la perpetuazione, sotto forma d’obbligazione, di celebrazioni e di offerte sacrificali che il nuovo adepto sarà tenuto ad onorare … . La cerimonia rituale, ultima tappa del dispositivo, costituisce con ogni evidenza una entrata nella pratica liturgica della confraternita … . La terapia non si realizza che attraverso la liturgia collettiva che mette fine alla procedura … . Ed, inversamente, la celebrazione che la paziente organizza in omaggio al suo spirito patogeno comporta una dimensione terapeutica.

La derdeba

Le tappe del processo terapeutico tunisino si ritrovano, a dispetto delle differenze legate al contesto culturale, nel processo terapeutico dei Gnawa marochini così come è descritto da A Chlyah soprattutto a proposito del “moussem” (?) della veggente (A.Chlyah, 1999, cap. VII).
Non si troverà qui il momento della consultazione e diagnostica, poiché la veggente che organizza qiesto moussem, il suo moussem nel proprio domicilio, per se stessa e per la clientela già conosciuta, è lo stesso fondamento della sua professione, l’identità dello spirito che un tempo l’aveva tormentata per farle sapere che aveva deciso di farne la sua sacerdotessa.
Ma a prescindere da ciò, si trovano qui, in questo moussem, le grandi fasi del dispositivo coribantico:
a) una diagnostica musicale può aver luogo così all’interno del rito collettivo di possessione, durante il moussem, allorquando qualcuno inaspettatamente parla () e più esattamente è parlato, facendo ascoltare la vose del suo melk (il suo spirito possessore);
b) il sacrificio è lungamente descritto da Chlyeh (pp. 94-96);
c) il rito notturno di possessione (la lila di derdeba) è annunciata da un maestro-musicista, la sua troupe ed il suo assistente (Zoukay) e soprattutto dalla veggente-terapeuta aiutata dall’arifa e dalla servitù. Egli riunisce gli adepti, i pazienti della veggente ed i suoi invitati occasionali (Chlyeh, op. cit., p. 96 e passim).
E’ il culto pubblico e danzante della possessione ritualizzata.

Come per lo stambali questa cerimonia è lontana dal costituire l’insieme del dispositivo terapeutico dei Gnawa marocchini: ne rappresenta solo la conclusione. Ma essendo pubblica, aperta e spettacolare, si può essere tentati di vedervi l’insieme del processo e questa percezione inoltra rischia d’essere rinforzata oggi dalla mediatizzazione della musica bilaliana, dalla sua inscrizione nell’attuale moda delle musiche etniche.
Mettendo in primo piano il ruolo dei musicisti bilaliani, quando invece il loro ruolo tradizionale è quello d’essere assistenti della veggente-terapeuta, questa moda contribuisce a produrre una distorsione nella percezione del rito terapeutico di Bilal.

3 Il Tarantismo ieri e oggi.

Nel Salento la danza detta del ragno, volta a trattare e èpossibilmente a guarire il male provocato, si dice, dal morso, reale o supposto, di una tarantola, ha per supporto musicale una variante locale della tarantella, chiamata pizzica tarantata.
E’ stato provato che l’effetto di questo morso è generalmente immaginario. Ma per la credenza popolare, il veleno della tarantola produce alla vittima uno stato patologico accompagnato, si dice, da un bisogno irresistibile di danzare. Si dice anche che la funzione di questa danza terapeutica è quella di espellere il veleno attraverso il sudore (De Raho 1908).
E. De Martino, nell’opera che consacra al tarantismo pugliese, mette in guardia contro “la tentazione di considerare il tarantismo come una reliquia o una sopravvivenza di elementi corrispondenti le cui tracce risalirebbero al mondo classico o più generalmente alla civilizzazione del mondo antico”.
Se si deve rinunciare, con E. de Martino, all’ipotesi della “sopravvivenza” (ipotesi genealogica) secondo la quale il tarantismo rappresenterebbe un coribantismo degenerato, si può sottolineare, con l’autore de La Terra del rimorso ( si veda il capitolo 4 soprattutto la terza parte), l’analogia tra i due rituali.
Si ritrovano in effetti nel dispositivo del tarantismo due momenti essenziali del coribantismo: la diagnostica musicale e la danza pubblica di possessione. Ma:
- qui non c’è sacrificio;
- il momento della diagnostica musicale non è separato - almeno nel momento in cui De Martino conduce l’inchiesta sul tarantismo - dalla danza pubblica della tarantata (o del tarantato) in stato di transe.
- All’avvio di questa danza rituale che ha luogo nel domicilio della tarantata con il sostegno di una piccola orchestra (organetto diatonico, violino, chitarra, tamburello …), si suonano arie differenti di pizzica fino al momento in cui il (o la) tarantato(a) esce dalla sua letargia e comincia a … ad agitarsi. Si pensa allora di aver identificato la tarantola il cui morso è all’origine dei disturbi poiché, nel mordere la sua vittima le ha comunicato la sua divisa musicale (si sosteneva … un tempo che all’ascolto di talune tarantelle, le tarantole danzavano …);
- La vittima della taranta danza sola (sempre al tempo dell’inchiesta di de Martino), ma si deve dire che in altre occasioni danzassero anche membri della sua famiglia o del suo entourage senza alcun dubbio per aiutarla ad effettuare questa danza che durava generalmente più giorni …;
- a ciò fa seguito un pellegrinaggio alla cappella di S. Paolo a Galatina (o verso altri santuari) cosa che ci permette di fare degli accostamenti al bilalismo maghrebino dove allo stesso modo la terapia domiciliare dei Gnawa (per il Marocco) si accompagna, in genere, a visita a taluni santuari (marabout).
Altre analogie tra tarantismo e coribantismo:
nei due casi il sistema implica l’esistenza d’un insieme di entità sopranaturali (poiché le tarantole sono in realtà delle entità mitiche) con le loro specifiche caratteristiche.
Le tarantole del tarantismo sono caratterizzate, come i geni-coribanti, da un colore, una divisa musicale.
Ognuna ha il suo carattere: una tarantola è libertina, tal altra è guerriera, un’altra ancora è vedova oppure orfanella … .

Possessione sonnambulica o possessione lucida?

Rispetto alla transe della tarantata, De Raho (1908) offre una precisazione molto utile:
“Interrogate dopo aver concluso la loro danza … è il veleno che le ha obbligate …” (p.33).
Secondo E. De Martino invece dopo più giorni di danza terapeutica, le tarantate dimenticano tutto … .
Riprendendo le categorie di Oesterreich, si potrebbe dire qui, che secondo quanto osservato De Raho, la possessione delle tarantate sarebbe di tipo “lucido” (colui che ha danzato in stato di transe osserva il proprio stato durante la transe, ma senza poterlo modificare), mentre invece, sulla base delle osservazini di E De Martino, si tratterebbe di una possessione di tipo sonnambulica (nella quale colui che ha danzato in stato di transe di possessione dimentica tutto “al risveglio”).

Esorcismo o adorcismo?

De Martino definisce il tarantismo come un “esorcismo cromatico-musicale”. Gilbert Rouget (1980) contesta questa lettura e, sulla base della descrizione del fenomeno di E De Martino e di D. Carpitella, lo prsenta al contrario come una sorta d’adorcismo, sottolineando il fatto che la tarantole allorquando striscia sul suolo, s’identifica con l’insetto, diventa l’insetto, cosa che rappresenta un tratto essenziale di tutti i riti di possessione. Vi era uguale identificazione al ragno allorquando la tarantolata, in una seconda fase di questa coreografia, si sospendeva a delle corde legate al soffitto: De Raho (1908) pubblicò delle foto in cui si vedono le tarantate danzare così.

Mediummismo?

Nel 1602 il dott. Vincenzo Bruno di Melfi pubblicò un dialogo - immaginario - di due filosofi sul tarantismo (parzialmene riprodotto in G. Di Lecce 1994). Uno di loro, Pico, descrive per Opaco i prodigi che gli è accaduto, asserisce, d’osservare. Una dama, essendo stata morsa da una tarantola al piede destro, si mise a comporre poemi ed a fare predizioni. Un’altra anch’essa vittima di una tarantola:
“leggeva il vangelo secondo San Giovanni, recitava l’introduzione alla messa, l’Ave Maria, il Pater Nostro ed il Credo e le litanie, poi faceva una riverenza e così rientrava in se stessa, si riposava e danzava così per qualche giorno, cantava e praticava anche la divinazione!”.

Teatralità del tarantismo.

La coreografia della tarantola presenta i tratti essenziali della danza di possessione:
- questa danza si presenta come un teatro nel quale si manifesta una entità soprannaturale, cosa che noi abbiamo tradotto in termini di mimo, ma che per gli adepti presenti e per i danzatori è un’incarnazione e non un’imitazione;
- c’è un simbolismo dell’abbigliamento ridotto nel tarantismo all’utilizzazione di nastri di diversi colori;
- - la danza-mimo comporta una gestualità che cambia a seconda delle entità implicate: c’è la tarantola erotica che si manifesta nei danzatori in transe tramite una gestualità lasciva; esiste o è esistita una tarantola guerriera la cui danza è, appunto, guerriera … ;
- le forme musicali e le parole che le accompagnano sono divise differenti associate alle divinità invocate.



http://www.caffeeuropa.it/attualita03/171dioniso-dionisismo.html



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