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Filosofia
I conflitti che Marcuse aveva posto al centro della sua attenzione scaturivano dal divorzio tra liberismo e libertà, tra una promessa di democrazia sociale ritagliata sull'identità collettiva conferita dal lavoro operaio e l'aspirazione, inevitabilmente singolare, al piacere e al libero sviluppo del sé. Le due strade precluse verso l'emancipazione, democrazia borghese e socialismo, nonché la commistione socialdemocratica di entrambe, si rovesciavano dunque in un dispositivo repressivo

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione permanente
Tipologia: Materiale di studio

Abstract:
da "il manifesto" del 28 Maggio 2005

MARCUSE


Perché tornare a Marcuse? E perché proprio cominciando dai suoi scritti politici sui movimenti, dagli interventi che si confrontavano con il maggio francese, con la rivolta dei campus americani, con il movimento studentesco di Rudi Dutschke, le black panthers e le mobilitazioni contro la guerra del Vietnam? Intanto perché il problema politico che tutti li attraversa, quello dell'emancipazione, o della trasformazione radicale dei rapporti sociali nella società opulenta e altamente tecnologizzata continua a occupare il nostro orizzonte. Il ruolo decisivo dei movimenti derivava, per Marcuse, dalla chiusura definitiva delle due vie maestre che all'emancipazione avevano promesso di condurre: la democrazia parlamentare borghese e la rivoluzione operaia. La prima demolita dalla crisi dell'individuo borghese e della sua sfera di eticità, accelerata dai fascismi e dalla concentrazione monopolistica del capitale, la seconda dallo statalismo socialista e dal tramonto della centralità del lavoro operaio. E' dunque il contraddittorio emergere di un soggetto, o di una pluralità di soggetti, non più determinati dalla libertà del mercato fondata sul riduzionismo mercantile e sullo spirito di sacrificio, o dal modello collettivista che rovesciava in democrazia egualitaria gli stessi connotati del lavoro salariato di massa, ciò che Marcuse cercava di vedere nei movimenti, nei loro modi di azione e nelle loro forme di coscienza. Un soggetto, dunque, non separato dalle sue pulsioni e dai suoi desideri, non ridotto a una dimensione strettamente funzionale e disincarnata, un soggetto che metteva in scena il conflitto tra il principio di prestazione e il principio del piacere, respingendo la mediazione repressiva implicita nella soluzione freudiana. Ma il passaggio cui Marcuse cominciava ad assistere nei suoi albori, e che noi possiamo contemplare oggi nella sua piena vigenza, è quello che conduce dall'esclusione pura e semplice del principio del piacere dal mondo del lavoro, propria dell'organizzazione fordista della produzione, alla trasformazione di questo principio stesso in principio di prestazione. Questo è in fondo il cuore di quell'ideologia della «creatività» e dell'autorealizzazione che accompagna l'inclusione di gran parte delle facoltà e delle inclinazioni umane nel processo produttivo o, come altrimenti si è ripetutamente detto, la progressiva coincidenza tra tempo di vita e tempo di lavoro. Un siffatto principio di integrazione si sovrappone e in parte si sostituisce alle classiche lusinghe della «società del benessere», peraltro in evidente declino. I conflitti che Marcuse aveva posto al centro della sua attenzione scaturivano dal divorzio tra liberismo e libertà, tra una promessa di democrazia sociale ritagliata sull'identità collettiva conferita dal lavoro operaio e l'aspirazione, inevitabilmente singolare, al piacere e al libero sviluppo del sé. Le due strade precluse verso l'emancipazione, democrazia borghese e socialismo, nonché la commistione socialdemocratica di entrambe, si rovesciavano dunque in un dispositivo repressivo, sia pure (ma non certo nel caso del socialismo) con le sembianze della tolleranza (ma solo di quanto si dimostrasse compatibile con le leggi del profitto). La coercizione e l'autorità dovevano quindi incaricarsi di imporre un principio di prestazione reso sempre più arbitrario dalla progressiva riduzione del ruolo del lavoro nella produzione della ricchezza. E questo conferiva alla rivolta antiautoritaria, al rifiuto delle regole e delle compatibilità una importanza decisiva. Oggi che le politiche liberiste non solo si rivelano compatibili con forme autoritarie di governo, ma moltiplicano a dismisura regole, vincoli e proibizioni di fronte alla crisi evidente di ogni spontaneità nel meccanismo che le riproduce, le tematiche antiautoritarie riconquistano pienamente il loro significato politico. Oggi che la «tolleranza repressiva» descritta da Marcuse ha assunto, a New York come a Bologna, i tratti di una «intolleranza protettiva» dei cittadini da se stessi e dai propri desideri, oltre che dalle oscure minacce con cui se ne alimentano le paure, la ricerca marcusiana del nesso antico e indissolubile tra ragione e felicità merita di essere ricondotta al centro della nostra riflessione. E' questo insieme di motivi che ha dunque condotto la manifestolibri alla decisione di pubblicare i materiali inediti in Italia dell'archivio Marcuse. Questo primo volume, dal titolo Oltre l'uomo a una dimensione (manifestolibri, pp. 373, € 32, con una introduzione di Raffaele Laudani e una postfazione di Antonio Negri) raccoglie quindi gli scritti di Marcuse dedicati ai movimenti degli anni Sessante. Ne seguiranno altri quattro, che affronteranno invece il rapporto tra «Marxismo e nuova sinistra», «La società tecnologica avanzata», «Teoria critica del desiderio» e «Filosofia e filosofia politica». (marco bascetta)


http://www.ilmanifesto.it/g8/dopogenova/4298af3597db7.html



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