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Pluridisciplinare
Storia
Economia e diritto
Daniela Calanca - Percorsi di storia della famiglia

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma, Insegnanti
Tipologia: Materiale di studio

Abstract: Percorsi di storia della famiglia

1. I nuovi indirizzi di ricerca della più recente storiografia hanno collocato i problemi di storia della famiglia in un quadro che tenta di affrontare le connessioni tra gli individui le famiglie la società civile e lo Stato. Un approccio questo che trova il suo principale fondamento nell'opera del filosofo tedesco Hegel. In particolare, nei Lineamenti della filosofia del diritto (1818) egli, sviluppando il tema del concatenamento tra pubblico e privato, analizza il passaggio dalla famiglia alla società civile e si sofferma sull'istante di quello che viene chiamato il “dissolversi” dell'una nell'altra. Per Hegel si tratta di un dissolvimento caratterizzato da tre diversi processi: uno è il passaggio dalla famiglia di origine a quella di procreazione, il momento in cui cioè i figli lasciano la casa paterna per dare origine a famiglie proprie; un secondo momento coincide con l'ingresso dei maschi adulti nella moderna società civile, quando entrano in competizione l'uno contro l'altro; l'ultimo è rappresentato dal passaggio dialettico per cui la famiglia rappresenta il primo momento della vita etica, laddove l'eticità consiste nel superamento della scissione tra interiorità ed esteriorità, e implica l'inserimento attivo dell'individuo in una comunità e la sua collaborazione con gli altri in vista del bene comune. Sotto questo profilo, la famiglia, concepita come il contesto prescrittivo delle norme in cui si inserisce tutto l'ordine delle cose, costituisce, dunque, uno dei circoli essenziali della società civile. Senza di essa lo Stato si troverebbe davanti soltanto a collettività inorganiche , a folle facilmente assoggettabili al dispotismo. Pertanto, è la famiglia che garantisce la moralità naturale, quella famiglia che – costruita ragionevolmente e volontariamente – si fonda sul matrimonio monogamico, il cui capo è l'uomo, il padre.

Ora, ciò che della riflessione hegeliana costituisce un referente particolarmente significativo non è tanto e solo il contenuto in sé e per sé, quanto e soprattutto l'opzione metodologica che si dipana in esso. Si tratta, a ben guardare, di un'opzione che se trasferita dal piano teoretico-filosofico a quello propriamente storico-culturale e materiale consente di elaborare analisi che correlano storia della famiglia storia della politica e storia sociale. In questa prospettiva, sono stati sviluppati alcuni percorsi di studio volti ad indagare, per esempio, i rapporti tra la famiglia come metafora, simbolo culturale, terreno di confine tra pubblico e privato – così come viene codificata dall'ideologia borghese ottocentesca – e l'ideologia del nazionalismo. In particolare, i modi attraverso cui, nell'Ottocento, la famiglia e la nazione, sostenendosi in una reciproca legittimazione, sembrano formare l'ordito e la trama di un unico tessuto. Un unico tessuto che appare sia nel linguaggio poetico-letterario e giuridico, sia nelle pubblicazioni per nozze, negli scambi epistolari intimi, e nell'atto privato della scelta di nomi di eroi nazionali e patriottici per i figli. All'incrocio tra identità collettiva e identità individuale, la famiglia, a cui è sotteso il plurisecolare paradigma del pater familias che in età moderna si traduce in autorità del capo nell'amministrazione domestica e nell'amministrazione statale in monarca assoluto, diventa sia il luogo della moralità e della virtù, sia il luogo in cui l'onore lega gli antenati e i discendenti in una prospettiva di lungo periodo. In questo modo, come legame privato fra i suoi membri, e come sentimento di un “noi” pubblico, alla famiglia viene attribuito un ruolo decisivo anche in funzione del grande disciplinamento della nazione: attraverso la famiglia si tengono unite forze che tenderebbero a fuoriuscirne.

Non solo. La riflessione sull'importanza del discorso pubblico sulla famiglia e sul suo ruolo politico ha consentito di aprire spazi di indagine relativi ad alcuni aspetti dei totalitarismi, e più in generale della storia europea tra le due guerre. Recenti indagini storiografiche hanno mostrato infatti come le famiglie, le principali istituzioni deputate a formare gli individui nel mondo moderno, siano protagoniste della politica quotidiana, luogo privilegiato non solo di affetti e sentimenti, di intimità e dipendenza, ma anche di formazione, socializzazione e costruzione di opinione politico-sociale. Configurando in larga misura l'approccio degli individui al resto del mondo, è stato mostrato, per esempio, che le famiglie hanno la chiara abitudine di agire autonomamente, possedendo linguaggi, ricordi, segreti e attuando comportamenti propri non sempre conformi ai modelli culturali dominanti e alle ideologie politiche ufficiali. Certo, le famiglie subiscono l'influsso delle leggi e delle norme di stati e chiese, ma non si limitano affatto a esserne meri destinatari passivi o ad assorbirle acriticamente. Negli stati in cui l'intervento nella sfera privata familiare è stato pesante, come durante i regimi dittatoriali europei della metà del Novecento, non si è riusciti ad asservire completamente le famiglie. I regimi nazista, sovietico e fascista, per esempio, non sono riusciti a incrementare significativamente negli anni Trenta i tassi di natalità. Durante il Ventennio, in Italia, per esempio, nonostante l'imponente attività legislativa e gli interventi da parte della Chiesa allo scopo di riportare l'ordine nei comportamenti matrimoniali privati, il quoziente di natalità continua regolarmente a decrescere passando dal 27,7 per mille del 1926 al 25,6 del 1929, al 24,9 del 1931, al 23 per mille circa degli anni successivi. L'aumento della popolazione durante l'epoca fascista – dai 38 milioni del 1922 ai 44,5 del 1940 – è causato in realtà dal forte calo dell'emigrazione, dalla contrazione della mortalità (rimane però sopra la media europea quella infantile), più che da un vero e proprio incremento della natalità. Il numero medio dei componenti per famiglia di fatto continua a diminuire: dal censimento del 1901 risulta di 4,5, nel 1921 di 4,4, nel 1931 di 4,2 mentre nel 1951 scenderà al 4,0. Inoltre, malgrado lo sforzo del regime, negli anni Venti e Trenta le regioni settentrionali conoscono un vero e proprio crollo della natalità, mentre quelle meridionali conoscono cadute più contenute. Confrontando per esempio gli anni 1910-12 con il triennio 1935-37 si rileva che Piemonte e Liguria scendono dal 24 al 14 per mille (con un decremento percentuale attorno al 40%), la Lombardia dal 33 al 20 per mille (-37%) e il Veneto dal 36 al 24 per mille (-34%); anche l'Emilia e la Toscana raggiungono negli anni Trenta quozienti di natalità inferiori al 20 per mille, con decrementi percentuali rispetto a vent'anni prima del 40% circa. Al contrario, nel Sud i quozienti di natalità passano dal 32-37 per mille circa secondo le varie regioni al 27-30 per mille, restando quindi molto al di sopra dei corrispondenti dati del Centro-Nord e registrando un decremento percentuale solo del 10-20%.

2. Nello scorcio di tale prospettiva storiografica viene ad assumere un ruolo centrale l'espressione società civile , che ha una lunga storia nell'ambito della teoria politica. Convenzionalmente con questa espressione si fa riferimento a una serie di attività sociali che comprende tutte le associazioni, istituzioni e rapporti non riconducibili alla sfera privata, all'ambito economico o a quello statale. In particolare, si tratta di un'area intermedia in cui trovano collocazione chiese, partiti politici, associazioni e gruppi di interesse di varia natura, rappresentabile come uno spazio pubblico occupato da associazioni, circoli, reti di base, e da tutte quelle attività, istituzioni e rapporti che per un verso non attengono in modo primario alla sfera domestica e alla vita familiare, e per l'altro non traggono la loro origine o dipendono dallo Stato. E quindi, configurandosi come la sfera dei rapporti tra individui, tra gruppi, tra classi sociali, che si svolgono al di fuori dei rapporti di potere che caratterizzano le istituzioni statali, è possibile, attraverso lo studio della società civile , in un preciso contesto storico, individuare gli stretti legami che intercorrono tra i valori universali e i comportamenti quotidiani, paragonabili metaforicamente a cerchi concentrici di connessione tra cultura materiale della vita quotidiana e mentalità sottese. Rispetto a ciò, l'ottica che permette più compiutamente di entrare in tale orientamento è quella della rete , così come sociologi e antropologi per primi hanno utilizzato questo termine, forgiando la Network analysis allo scopo di studiare le reti nelle loro ramificazioni all'interno delle diverse sfere di vita di un individuo. E questo non tanto, e solo, per arricchire il quadro con dati sull'individuo nella propria piena globalità, quanto, e soprattutto, per comprendere in che modo la posizione di una determinata sfera sociale incide sul comportamento di un'altra. Un aspetto particolarmente significativo della Network analysis è quello che propone di includere nella concezione strutturale della rete risorse di tipo materiale, non materiale, coercitive, rituali, simboliche, cognitive ed emotive, presupponendo una concezione relazionale dell'identità individuale. Ossia: una concezione dell'individuo la cui identità sociale si costruisce in rapporto agli altri , sia all'interno della famiglia sia all'esterno di essa. Del resto, negli studi sociologici sulla famiglia è ormai un dato acquisito la necessità di assumere una “prospettiva relazionale”. Tale prospettiva, infatti, permette, per esempio, da un lato, di rispondere con chiarezza all'interrogativo circa la natura della relazione familiare, e dall'altro di giungere a una definizione di famiglia , che supera il riferimento ad una realtà predefinita, metastrutturale. In tal senso, due sono le relazioni chiave che si attualizzano nella famiglia: la relazione tra i sessi, e la relazione tra le generazioni. Ed è in particolare attraverso l'istituzione della parentela che si articola la differenza tra i sessi e la differenza tra le generazioni. È nel rapporto intergenerazionale, in altri termini, che si intrecciano la dimensione istituzionale e interpersonale. Da questo punto di vista, la famiglia, proiettata nella trama generazionale che la costituisce intimamente, rappresenta la matrice di ogni legame sociale e dell'appartenenza stessa alla società. È il luogo della società in cui si attua la mediazione tra i sessi, le generazioni, e tra l'individuo e la società; il luogo in cui ciascun individuo può definirsi in base al sesso (gender) alla posizione nella sequenza generazionale (genitore e/o figlio), e alla posizione nel ciclo della vita (età). Pertanto, la prospettiva generazionale consente di leggere la pluralità delle forme di legame come nodi di una molteplicità di storie generazionali che si intrecciano fra loro continuamente. È questo, per esempio, l'orientamento che si sta seguendo per studiare attualmente le relazioni filiali, in particolare del legame genitore-figlio che, come legame dotato di un valore proprio, e non più a partire dal legame coniugale in cui eventualmente nasce, oggi appare come l'unico legame incondizionato. Nell'ambito del progressivo processo di de-istituzionalizzazione del legame fra uomo e donna, che non è più costretto a esprimersi all'interno di un vincolo coniugale riconosciuto in quanto le relazioni tra i partner sono continuamente rinegoziabili, il vincolo genitore-figlio assume una nuova valenza, in quanto permette di poter definire la famiglia e riconoscerla come soggetto sociale, facendo leva su una relazione che faccia del legame di convivenza un'istituzione. In questa ottica, la storia generazionale, il succedersi delle generazioni, appaiono non più centrati sul patto coniugale, ma sul “ nuovo patto di filiazione” . Un patto che, al contrario della relazione di coppia che è continuamente sottoposta a contrattazione ed è diventata reversibile, è una relazione non negoziabile: laddove il legame di coppia si de-istituzionalizza, il legame genitore-figlio diventa la nuova istituzione sociale.

3. Analisi di rete, da un lato e prospettiva relazionale, dall'altro, dunque, è quanto oggi orienta maggiormente alcune delle attuali tendenze di ricerca di storia della famiglia. Dalla storia istituzionale e dalle situazioni strutturate, il fuoco della ricerca viene sempre più puntato sulla vita degli individui e sulle relazioni che intrattengono tra di loro. In tali tendenze in atto viene ad assumere un ruolo particolarmente rilevante lo studio biografico, in quanto esso esplica sia la forma dei reticoli, sia i contenuti e i modi in cui si forma la rete, la relazione concreta, all'incrocio tra particolare e generale, tra modelli storico-culturali e vissuti soggettivi. La dimensione biografica permette di osservare le modalità attraverso le quali ogni individuo si inscrive e si muove nello spazio sociale modificandolo costantemente. Non solo. La dimensione biografica permette anche di aprire spazi d'indagine all'interno di una storia dei sentimenti, ossia di vedere il modo con cui le cose, le situazioni, le forme si offrono, e per converso, vedere come vengono percepite dagli individui. In questa direzione, il racconto autobiografico può essere considerato uno strumento storico, mediante il quale è possibile studiare come la memoria famigliare, quale struttura sovraindividuale che ha la funzione di garantire la ripetizione, il mantenimento di strutture di comportamento di linguaggi e di valori, sia una forma particolare di conoscenza utilizzata per dare forma e per giustificare la propria identità personale e sociale. Attraverso la memoria familiare si tramandano storie che divengono copioni, veri e propri rituali comportamentali. Un ruolo incisivo nella trasmissione, infatti, è svolto dal rituale, che prescrive i modi di esprimersi, muoversi, comunicare nel tempo e nello spazio della quotidianità o delle occasioni speciali (feste, anniversari, funerali riunioni di famiglia ecc..). In questo senso, nelle indagini storiografiche in atto si accentuano sempre più percorsi che pongono il concetto di memoria relazionale in primo piano: ossia l'indagine dei modi attraverso i quali i gesti di patrimonio collettivo, compiuti singolarmente, in pubblico e/o in privato, sanciscono appartenenze e identità come “ritornelli” che tutti conoscono a memoria. Già nel 1925 Maurice Halbwachs riteneva che “In qualsiasi modo si entri in famiglia, per nascita, per matrimonio o in altro modo, ci troviamo a far parte di un gruppo nel quale il nostro posto è stato fissato non dai nostri sentimenti personali, ma da regole e costumi che non dipendono da noi e che esistevano prima di noi”.

Nel contempo, la distinzione tra famigliare e familiare , a quanto indicano i puristi della lingua, cioè tra un aggettivo che reca una G imperiosa e un aggettivo senza di essa e solo con una liquida l , è quanto orienta ulteriori specifici percorsi di indagine storica. È famigliare quanto attiene al sostantivo famiglia, all'evocazione di legami di consanguineità, di genitorialità e parentela, marcando con essa un'appartenenza stretta. Sono famigliari, in questo senso, per esempio, le abitudini contratte nell'infanzia, i ricordi, i drammi, i segreti. Mentre è familiare ciò che si riferisce alla dimensione dei sentimenti. Le relazioni familiari e ogni altro affetto, pensiero, gioco, indicano la presenza di qualcosa che riconduce a quanto è noto, conosciuto, carezzevole. Diventa familiare un posto di lavoro, un negozio, un saluto. È, quindi, familiare chi o che cosa, pur non avendo legami di stretta parentela con noi, ne possiede però i tratti “buoni”. Incrociando aspetti famigliari e aspetti familiari si dilata lo spazio d'indagine relativo alle connessioni tra individuo famiglia società civile e Stato, nell'accezione sopraindicata.

Lungo questa linea, autobiografie, diari, memorie, epistolari, e album fotografici di famiglia assumono un ruolo paradigmatico come fonti, documenti per storia della famiglia storia sociale e storia politica. In particolare, la scrittura popolare, “voci” della gente comune, permette di vedere come vengono vissuti i rapporti familiari, tra pubblico e privato, dal “basso”, in rapporto al modello ufficiale della famiglia elaborato dai dotti, i letterati . L'abbondanza di materiali scritti prodotti dalle classe subalterne in età contemporanea rappresenta di per sé un fatto storiograficamente rilevante, in quanto segnala, tra l'altro, come a partire da una certa fase storica il ricorso alla scrittura entri a far parte in maniera significativa e consistente nel modo di comunicare di gruppi sociali illetterati appartenenti all'area della prevalente cultura orale. Ma soprattutto dispiega la percezione del rapporto tra tempo della vita e tempo della storia, tra destino individuale e vicende collettive, tra pubblico e privato. Pertanto, da un lato questo tipo di documenti arricchisce in senso qualitativo e quantitativo il patrimonio di fonti disponibili per uno studio anche delle classi subalterne e delle culture popolari. Dall'altro, offre un supporto alla prospettiva storiografica che punta a ricostruire le vicende del contemporaneo a partire dall'esperienza e dalla memoria collettiva: tendenza cui approdano interessi e ricerche di studiosi che pur partono da temi diversi. Un tema di grande interesse, a titolo esemplificativo, è quello del rapporto tra pubblico e privato del peso della sfera pubblica – stato, burocrazia istituzioni – nel fenomeno per esempio della promozione e agevolazione di rapporti epistolari da parte di istituzioni come le Case del soldato nel corso della prima guerra mondiale, o le petizioni degli operai alle autorità, o le richieste di documenti. Si indaga, in tal senso, su un aspetto centrale delle vicende collettive contemporanee, ossia il modificarsi del rapporto tra masse popolari e Stato in termini non ideologici e non ridotti a generalizzazioni astratte. Nondimeno, appare significativo il tema del rapporto tra famiglia ed eventi separatori, quali per esempio la guerra e l'emigrazione, come si esplica in questa tipologia di fonti. Nello specifico, per esempio, le propagande di guerra chiamano alle armi appellandosi a sentimenti e valori popolari condivisibili dai più, ma madri che restano o costrette a diventare profughe, padri e figli che partono per il fronte, nella tragica esperienza della guerra, si stringono all'interno in un legame forte che neppure l'emergenza bellica riesce a scalfire. Al contrario, sotto questo profilo, tale evento separatore concorre a rafforzare l'identità e i ruoli di ciascun membro familiare in relazione all'altro. Memorie autobiografiche, epistolari familiari popolari narrano di un sentimento di un pensiero e di preoccupazioni familiari in modo centrale e costante. Una centralità questa che viene autorappresentata circolarmente all'interno cioè di una unitarietà relazionale e quasi mai individuale.

Allo stesso modo gli album fotografici permettono a metà strada di vedere come si esprime la memoria relazionale-individuale, a partire dall'interiorizzazione della norma di gruppo, realizzando in tal modo la coincidenza di una condotta individuale e di un'istanza collettiva. La descrizione della soggettività oggettivata rimanda alla descrizione dell'interiorizzazione dell'oggettività. I tre momenti, pertanto, sono inseparabili: l'esperienza vissuta, immediata, colta attraverso espressioni che adombrano il senso oggettivo nel momento stesso che lo rivelano, rimanda all'analisi dei significati oggettivi e delle condizioni sociali di possibilità di tali significati. Analisi che, a sua volta, richiede la costruzione del rapporto tra i soggetti attivi e il significato oggettivo delle loro condotte.

Nati circa 100 anni fa, gli album di famiglia erano come un piccolo altare domestico, una specie di biglietto da visita da esibire. In ogni famiglia borghese vi era qualcuno che archiviava a tempo perso o per passione, e classificava per stabilire una cronaca ragionata della vita. In tal senso, l'Album intesseva legami di famiglia come la genealogia e li radicava, disponendoli, metaforicamente, ad albero, come un tronco e rami. Oltre a ciò, l'Album aveva anche una funzione pedagogica rilevante: osservando le fasi della vita documentate da ritratti e posture dei parenti, venivano appresi i principi di filiazione, i legami di parentela, e come pure il valore della gerarchia, dell'importanza della posizione, veicolata dalla stessa disposizione delle fotografie, dalla loro grandezza e preziosità. Fondamentale appariva anche il modo in cui erano disposte le fotografie, la loro grandezza e preziosità. Un modo che sottolineava una gerarchia di valori famigliari e familiari pensata, e prodotta in immagini. In questa direzione, come pratica borghese, gli album fotografici di famiglia possono essere paragonati, tra pubblico e privato, all'intensa codificazione manualistica delle regole borghesi ottocentesche, i cui momenti principali possono essere considerati: il Nuovo galateo di Melchiorre Gioia volto a tracciare il modello dell'uomo “civilizzato”; la diffusione di una stampa rivolta specificamente alle donne, dal “Giornale delle donne” del 1869 a “La Moda” del 1878, a “La Madre cattolica” dal 1888; la fortuna editoriale di libri quali quelli della marchesa Colombi, alias Maria Antonietta Torrioni, che scrive nel 1887 La gente per bene. Leggi di convenienza sociale ; il Galateo della borghesia del 1883 di Emilia Nevers; Le buone maniere del 1893 di Caterina Pigorini-Beri; Come devo comportarmi? Libro per tutti (1896-1921 con 11 edizioni) di Anna Verta Gentile; Saper vivere: norme di buona creanza del 1900 di Matilde Serao. Modello trainante, caratterizzato da una serie di comportamenti decisamente innovativi, come la tendenza al matrimonio d'amore, la ricerca dell'intimità familiare, all'interno di questo tipo di famiglia uno dei tentativi più consistenti è quello di ricercare e divulgare nuove regole di comportamento sociale e familiare che prendano le distanze sia dal mondo contadino che da quello aristocratico. La ricerca di uno stile originale, in realtà, si rivela una miscela di distinzione aristocratica e di pragmatismo borghese, in cui si tenta di correlare estetica, buon gusto ed etica del lavoro. A tale riguardo, un percorso di ricerca in atto è quello che indaga, in un'ottica di storia sociale della fotografia, attraverso gli album privati di famiglia, i rapporti che intercorrono, a partire dalla fine dell'Ottocento, tra i manuali da seguire per posare, di cui Il ritratto in fotografia: appunti pratici per chi posa di Carlo Brogi (1895) può essere considerato un momento centrale, e la diffusione del codice ideologico-culturale della borghesia, in un momento in cui la famiglia strutturalmente e relazionalmente si sta già modificando. E ciò in un contesto di socialismo fotografico come scrive Paolo Mantegazza nell'introduzione all'opera dello stesso Brogi. Certo, il fotografo ambulante che, girando per fiere e mercati ritraeva individui, coppie di sposi, bambini, anziani, intere famiglie, e il fotografo di studio che svolgeva lo stesso ruolo nelle città grandi e piccole, dimostrava che anche i ceti rurali, popolari, partecipavano mediante “l'opera umanitaria di alta e sana democrazia – la fotografia – alla contemplazione delle cose belle”. In realtà, attraverso la fotografia, si diffondeva l'immagine ideale della continuità, della stabilità, messa per altro in pericolo dalla declinante estensione dell'organizzazione familiare. E più in generale, nella misura in cui nell'album di famiglia venivano archiviate fotografie scattate, per esempio, in ambito lavorativo, in ambito scolastico, religioso, militare, come documentano numerosi album privati dal primo Novecento nell'Italia settentrionale, si rafforzava, diffondendosi, l'immagine dell'ideologia borghese, di cui la famiglia , e tutto ciò che ad essa si correlava, continuava a costituirne il codice globale.



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