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Storia
Economia e diritto
STORIA DI UN ANTIFASCISTA: GIUSEPPE GRANATA.

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione permanente
Tipologia: Materiale di studio

Abstract:

STORIA DI UN ANTIFASCISTA GIUSEPPE GRANATA

 

Gastone Manacorda

Giuseppe Granata, figlio di Luigi e di Giuseppa Messana, nacque a Girgenti il 6 maggio 19001. Era il maggiore di cinque figli, dopo di lui venivano due maschi, di uno dei quali, Diego, avremo occasione di riparlare, e due femmine. Giuseppe veniva da una famiglia piccolo-borghese, nella quale non sappiamo se e quanto circolassero idee di politica e di cultura. Frequentò il ginnasio-liceo e conseguí la licenza liceale, non sappiamo se prima o dopo la chiamata alle armi.

Già, perché l'essere nato nel '900 ebbe come conseguenza una chiamata anticipata al servizio militare obbligatorio, come era stato per le classi precedenti del '96, '97, '98 e '99. In particolare i ragazzi del '99 avevano subito perdite gravissime nei combattimenti della primavera-estate del 1918. Ma il generale Diaz, che aveva sostituito il Cadorna nel comando supremo dopo Caporetto, prevedeva di passare all'offensiva nella primavera del 1919, quando, secondo le previsioni anche dei comandi alleati, si sarebbe conclusa la guerra con la vittoria degli alleati: solo allora, secondo le sue previsioni, sarebbero entrate in campo le reclute del 1900. Le cose però andarono diversamente. Mentre Diaz, e molti altri con lui, erano fissi a questo programma, sopravvenne nel settembre 1918 il crollo del fronte bulgaro e il conseguente ritiro dell'Austria dai Balcani, che portò l'esercito austriaco ad un attacco delle forze italiane, per aprirsi la strada verso l'Austria. Si svolsero aspri combattimenti fino alla grande battaglia che va sotto il nome di Vittorio Veneto, e all'armistizio del 3 novembre 1918. Le reclute del '900 furono cosí risparmiate dalla carneficina perché il comando supremo fino all'ultimo seguitò a credere che il momento decisivo della guerra sarebbe venuto con la primavera del '19. Fin qui, è storia nota2. Ma Granata non ci dice nulla su queste vicende che lo riguardarono molto da vicino e tace, anzi, su tutto il suo servizio militare salvo, come vedremo, sulla sua drammatica conclusione. Eppure Granata non era un soldatino qualsiasi. Grazie al suo titolo di studio, era stato inviato ai corsi accelerati per allievi ufficiali, ed aveva raggiunto il grado di sottotenente. È possibile, che prima o dopo l'armistizio del 3 novembre, abbia in qualche modo appoggiato o favorito un movimento della truppa e, in un modo o nell'altro, si sia messo in evidenza come uomo di sinistra. È possibile anche (e forse piú probabile) che il suo comando di reggimento fosse al corrente della sua militanza politica attiva all'Università, della quale egli non ci ha lasciato neanche una parola scritta, ma della quale siamo largamente informati da altre fonti. Nell'un caso come nell'altro si comprende come il 6 febbraio del '23 venisse arrestato e deferito all'autorità giudiziaria3.

Il suo arresto rientrava nell'offensiva anticomunista voluta personalmente da Mussolini per consolidare il suo governo, che nei primi mesi dopo la marcia su Roma era stato bene accolto non solo dalla Destra ma anche dalla Sinistra liberale a cominciare da Giolitti4. Di fronte a questa accoglienza, che andava dal plauso delle destre al favore dei liberali, dei democratici e dei socialisti riformisti restavano, invece, decisamente ostili solo i comunisti e gli altri gruppi minori dell'estrema sinistra: ostili e impegnati non solo a tenere in piedi e in armi la loro organizzazione, ma anche a interrogarsi sulla qualità di classe del nuovo regime. La verifica di Mussolini verso l'opposizione di sinistra non si fece attendere. Forte dell'attesa benevola che prevaleva nella maggior parte della classe politica, il capo del governo e ministro dell'Interno scatenò alla fine del '22 e all'inizio del '23 un'offensiva contro l'estrema sinistra e in particolare contro il partito comunista, ordinando l'arresto in massa di tutti i suoi quadri e militanti attivi5.

Nella grande retata cadde anche Giuseppe Granata, arrestato il 7 febbraio 1923 e deferito con altri all'autorità giudiziaria per i reati di cui agli articoli 134 e 135 codice penale6. Si cercava con questo tipo di imputazione generica di eliminare il partito comunista dalla scena politica e mettere fuori legge i comunisti, a prescindere dalla verifica degli atti concreti previsti dal codice penale come imputabili ai singoli. Bastava la qualifica di comunista per essere incriminato di reati contro la sicurezza dello Stato. Ma non sempre, anzi solo di rado e in presenza di atti concreti, l'autorità giudiziaria portò avanti, fino alla condanna, processi imbastiti su cosí fragili basi. Cosí si comportò anche la Sezione di accusa della Corte di Assise di Palermo, che concesse la libertà provvisoria a Granata fin dall'11 aprile 1923, ma disgraziatamente fece attendere piú di un anno la sentenza assolutoria. Finalmente con ordinanza del 26 gennaio 1924 pronunziò non doversi procedere contro il Granata "per cospirazione" per insufficienza di prove; e, per i fatti costituenti il reato di "pubblico eccitamento alla rivolta", declassò l'imputazione al reato di eccitamento all'odio tra classi sociali ma dichiarò di non doversi procedere perché "estinta l'azione penale per amnistia"7. Del resto, d'ora in poi, tutte le informazioni su Granata, convergono nel constatare che la sua attività politica era in quel periodo molto modesta fino ad apparire addirittura inesistente, tanto che il prefetto di Girgenti conclude la sua informazione asserendo che Granata disimpegna con scarsa influenza "la sua funzione di segretario provinciale della sezione giovanile comunista. Si occupa di propaganda con poco profitto fra i giovani studenti e operai".

Il processo del 1923 in Corte d'Assise si era risolto, dunque, in un nulla di fatto, ma la lunga attesa della sentenza e la persecuzione subita in quell'anno ad opera delle autorità militari fu assai dura per Granata che, ricordandola molti anni dopo, asserisce di aver patito "due lunghe detenzioni" mentre secondo la scheda del prefetto di Girgenti avrebbe sofferto solo poco piú di due mesi di carcere: "fu arrestato - egli scrive - il 6 febbraio 1923 insieme ad altri comunisti per complotto contro lo Stato, e il giorno 11 aprile successivo fu dimesso dal carcere per libertà provvisoria". Vero, come sappiamo. Ma soltanto il 26 gennaio del 1924 venne la sentenza assolutoria della Sezione d'accusa. Non tutto è chiaro, insomma, in questa vicenda, ma si ha l'impressione che l'autorità militare abbia impiegato tutti gli strumenti di punizione di cui poteva servirsi contro il sottotenente Granata, nell'anno trascorso dal 6 gennaio, o dall'11 aprile del 1923, al 26 gennaio del 1924. Certo è che a lui, assolto in Corte d'Assise, fu inflitta dall'autorità militare la rimozione dal grado di sottotenente: una sanzione grave per il suo carattere disonorante, che poteva avere gravi riflessi anche sulla vita civile dell'ufficiale che ne venisse colpito, per non parlare del danno economico della perdita dello stipendio. Granata ha preferito il silenzio, o il quasi silenzio, su questo periodo particolarmente drammatico della sua giovinezza, durante il quale, però, asserisce di essere stato costretto "alle piú abiette umiliazioni", che dovette subire per rifarsi una vita normale e per accedere infine alla professione cui ambiva dedicarsi: l'insegnamento. Sorprendente, in particolare, è il suo silenzio sull'Università.

La Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Palermo nel dopoguerra era, infatti, un centro vivace di lotta politica. Fra gli studenti c'era un nucleo di giovani militanti dell'ala estrema del socialismo, fra i quali primeggiava Giuseppe Berti (1901-1969)8, che prima fecero parte della Federazione giovanile socialista e nel '20 costituirono le basi di un raggruppamento di studenti della sinistra "comunista" all'interno del Psi. Nel '21 questo gruppo confluí nel Pci. Fra di loro troviamo Granata, che si laureò in filosofia col professor Vito Fazio Allmayer. L'unico ma significativo ricordo degli anni universitari Granata lo ha scritto molti anni piú tardi ed è un ricordo che si riferisce alla rivista "Clarté", in una lettera dell'8 settembre 1957 diretta a Luigi Gullo, direttore della rivista "Chiarezza" che si pubblicava a Cosenza in quell'anno. Granata rivolge una severa critica all'indirizzo politico della rivista cosentina, ma prima di entrare nel merito evoca il ricordo di "Clarté". Riportiamo l'inizio della lettera.

 

Caro direttore - scrive Granata nel 1957 - gli ultimi numeri di "Chiarezza" hanno suscitato nel mio animo perplessità cosí forti da rasentare l'aperto dissenso. M'induce a non tenerle per me e a manifestartene invece con franchezza le ragioni l'affezione che sento per la tua rivista: una affezione tutta particolare e personalissima, ché "Chiarezza" ripete nel nome un'altra rivista cara al mio ricordo; quella di "Clarté", che fu l'organo degli universitari comunisti di Palermo e alla cui fondazione collaborai nei lontani anni della giovinezza nel primo dopoguerra. Avevo creduto in un primo momento che la scelta di quel nome indicasse in te e nei tuoi collaboratori il proposito d'ispirarvi nel vostro lavoro al programma che era stato negli anni intorno al '20 del movimento "Clarté" di Barbusse. Esso, come tu certo saprai, tendeva alla creazione di una nuova cultura, di una cultura proletaria, ma sceglieva come sua propria sfera d'azione i ceti della piccola borghesia intellettuale, "che - annotava Gramsci presentando il movimento nell'Ordine Nuovo dell'11-18 ottobre 1920 - non ha interesse economico diverso e contrario all'interesse economico della classe operaia, ma è separato dalla classe operaia da un muro di pregiudizi, di preconcetti, di abitudini viete"9.

 

È una testimonianza che conferma come negli anni universitari Granata fosse impegnato seriamente su questo fronte politico-culturale. È possibile che fosse orientato verso il comunismo anche prima di frequentare l'Università, ma è certo che un'influenza decisiva ebbe su di lui, come su molti altri studenti dell'Università di Palermo, Giuseppe Berti. Berti era nato nel 1901, era quindi un po' piú giovane di Granata, ma era già prima della fondazione del Pcd'I un comunista attivo, militante nell'ala di estrema sinistra della Gioventú socialista e fautore convinto della scissione che si compirà nel gennaio del 1921. La sua precoce e vivace intelligenza era nutrita da un esteso corredo di letture; conosceva i classici del marxismo e seguiva attentamente le vicende del movimento operaio internazionale, in particolare quelle della rivoluzione russa. Era insomma al corrente di tutto ciò che doveva sapere un vero rivoluzionario e ne aveva la stoffa. Nel 1920 Berti, da poco trasferitosi a Palermo al seguito della famiglia, diede vita ad una rivista che intitolò "Clarté", ricalcando anche nel nome l'esempio di Barbusse, di una rivista socialista, cioè, destinata agli intellettuali e intesa a diffondere le idee del socialismo (con preferenza per il comunismo) fra le classi colte. Berti, autorizzato da Barbusse10, ne riprese il nome, rivelando già in questa scelta le caratteristiche della sua impresa e stabilendo un legame diretto con il modello prescelto. E il 15 maggio 1920 pubblicò il primo numero di "Clarté, Rivista mensile degli studenti comunisti". Il nostro lavoro di studenti comunisti, spiega nell'editoriale il diciannovenne direttore, che però si qualificava nel frontespizio "Segretario di redazione", deve particolarmente estendersi nel campo comune a tutti gli studenti: "nel campo culturale", oltre allo scopo primo e naturale "di radunare e d'estendere le fila del movimento studentesco, dando ad esso un'unica e sicura direttiva teorica". La rivista, dunque, come centro di organizzazione ma soprattutto come strumento di diffusione e di elaborazione della cultura socialista. Le idee, come si vede, erano chiare, e nella formula editoriale aveva largo spazio la pubblicazione di testi di autori noti e prestigiosi, ai quali il direttore della rivista faceva quasi sempre seguire il suo commento siglato g.b. Non occorre dire che erano proprio quelle due minuscole corsive a dare il sale del discorso e a costituire nell'insieme la continuità politica e ideologica dell'impresa.

Furono pubblicati testi di Jean Lucart, della sezione francese di "Clarté", che riassumono in questi termini lo scopo principale dell'impresa: "Il faut préparer, combiner, et définir dès à l'avance le Statut international des travailleurs de la pensée", di Bucharin (Perché comunisti?), nonché estratti dai testi di Marx (La tendenza storica dell'accumulazione capitalistica, ecc.) e ancora articoli e scritti di Amadeo Bordiga, di Hermann Grover, del prof. Loncao dell'Università di Palermo, ecc. A volte i testi sono riesumati da pubblicazioni precedenti anche di qualche anno, come è il caso dell'articolo di Vilfredo Pareto, Socialismo legalitario e socialismo rivoluzionario, originariamente apparso nel "Divenire sociale" del 1905 del quale Berti apprezza soprattutto la conclusione che citiamo:

 

Nelle prossime battaglie sociali vinceranno coloro che non avranno ritegno ad adoperare la forza, né troppa ripugnanza a spargere sangue; e pare molto probabile che costoro sorgeranno dalle classi popolari, ove si serbano incolumi le energie virili della razza, ed ove lentamente maturano le nuove parti elette della nazione, alle quali spetta il governo della società11.

 

Berti si serve qui dell'intelligenza del non socialista Pareto per rilanciare ancora una volta la sua polemica contro tutti i socialismi moderati e per annunciare il prossimo avvento del partito comunista.

 

I rivoluzionari, nel senso piú squisitamente marxista della parola, oggi non sono tanto quelli che pure sublimemente si sacrificano in moti confusionisti che non potranno giammai portare al trionfo della nostra rivoluzione, ma sono quelli che danno tutta la loro attività, tutta la forza del loro pensiero e della loro azione affinché dal Partito siano eliminati una volta per sempre tutti i non comunisti appartenenti a qualsivoglia tendenza o fazione, perché al posto dell'ibrido organismo di oggi, si sostituisca un rinnovato Partito comunista di fatto e di nome che ci conduca organicamente sulla via della rivoluzione12.

 

Un testo di Edmondo Peluso, Il movimento degli studenti comunisti, ripreso da "Il Soviet" di Napoli, mette apertamente in discussione l'opportunità di creare un'organizzazione a parte per gli studenti, richiamando una direttiva dell'Internazionale della Gioventú comunista, che considera inutile la creazione di gruppi universitari comunisti indipendenti. E aggiunge: "Siamo sicuri che queste informazioni da noi direttamente ricevute riusciranno utili ai compagni che in Italia si occupano dei gruppi socialisti studenteschi". Berti si sente, giustamente, chiamato in causa, e senza perifrasi attacca direttamente il centro del problema:

 

Infondato ci sembra il timore del compagno Peluso sui pericoli della psicologia individualistica nell'intellettuale. La psicologia individualistica è propria degli appartenenti alla classe borghese: la classe per eccellenza individualistica. Quando si comincia a disertare la borghesia per il proletariato, ciò avviene implicitamente per un profondo cambiamento psicologico, che ha già fatto sottentrare alla psicologia propria della classe borghese, l'individualistica, la psicologia propria del proletariato: la psicologia comunista.

 

E conclude:

 

Da tutto questo apparirà chiaro quanto sia utile l'opera di coloro che hanno, come noi abbiamo, lo scopo di formare negli intellettuali una precisa coscienza comunista, attraverso lo studio della nostra dottrina e dei problemi costruttivi del domani13.

 

"Clarté" palermitana ebbe grande influenza sul movimento degli studenti socialisti dell'Università di Palermo. E Granata fu allora ammiratore e seguace di Berti.

Ma riprendiamo la storia delle sue vicende amare del 1924. Colpito dalla rimozione dal grado e dall'impiego, Granata si allontana dalla sua città, va a Palermo e compie alcune scelte importanti per la sua vita presente e futura. Nell'ottobre del 1924 è assunto come professore nel Liceo privato "Giuseppe Ferro" di Alcamo, fissa la sua dimora in questa città e il 21 dicembre si sposa a Palermo con la diciannovenne Irea Scaffidi, figlia del noto propagandista comunista Rosario e sorella del non meno noto Iffrido.

In tutte queste vicende Granata è seguito passo passo dalle piú alte autorità di polizia, che hanno cura anche di accertare la qualità politica del suo insegnamento. Il ministro della Pubblica istruzione, Pietro Fedele, infatti, su sollecitazione del ministro dell'Interno, incaricò il regio provveditore degli studi della Sicilia di raccogliere informazioni "sull'attività svolta nella scuola dal prof. Granata allo scopo di conoscere se esso risultasse immune dalle idee politiche da lui professate", e lo pregò anche di avvertire il presidente della fondazione scolastica "Ferro" in Alcamo

 

della necessità di esercitare la massima vigilanza sull'attività politica del personale insegnante addetto al Liceo che, per quanto privato, deve dare tutte le garanzie offerte ai padri di famiglia dalla scuola pubblica governativa, anche per ciò che riguarda l'educazione morale dei giovani, i quali non debbono essere traviati da una propaganda inconsulta e contraria alle istituzioni dello Stato.

 

Il ministro, come si vede, si spinge fino ad una presunzione di colpa da parte di un insegnante comunista, tuttavia non manca di riferire al suo collega dell'Interno un'altra precisazione rassicurante, che risale anch'essa all'inchiesta del povveditore degli studi:

 

Da indagini esperite fino all'anno passato e ripetute in questi giorni, risulta che il prof. Granata Giuseppe ha professato e professa idee comuniste, ma che tuttavia non svolge attività di propaganda nella scuola in cui insegna, né nel paese.

 

E tale è in realtà la linea di condotta seguita da Granata, che in questo periodo non rinnega le proprie idee ma evita di farne propaganda. A maggior tranquillità del ministro dell'Interno il ministro della PI riferisce ancora dalla relazione al provveditore:

 

Il prof. Granata, attentamente sorvegliato dai membri dell'amministrazione "Ferro", conduce vita ritiratissima, è poco socievole, quasi misantropo; non frequenta circoli e non pare sia in relazione con i pochissimi comunisti della città.

 

È da notare la libertà di cui godette Granata nello scegliere la sua residenza lungo tutto il periodo in cui fu iscritto nel Casellario. Non fu mai costretto al domicilio obbligato, ma doveva segnalare i suoi spostamenti ai competenti uffici di polizia locali, cui era affidata la vigilanza su di lui, i quali poi riferivano al prefetto di Girgenti che, come capo della provincia natia del vigilato, era tenuto a raccogliere tutte le notizie e a inviarle al ministro dell'Interno.

Certo, Alcamo non gli offriva molte occasioni di studio, di svago e di contatti umani, e Granata mentre studiava avendo di mira un concorso per la scuola pubblica, avrebbe forse preferito almeno vivere in un centro culturale piú vivo e piú attrezzato per gli studi. Ma non fu questa la ragione principale del suo trasferimento a Napoli il 28 agosto del 1925, con tutta la famiglia. In realtà, sembra che Granata sia andato a Napoli, su chiamata di Rosario Scaffidi per prendere la guida dell'organizzazione giovanile comunista in Campania e poi addirittura nel Mezzogiorno, coadiuvato dal giovane cognato Iffrido. L'insegnamento ad Alcamo era, dunque, durato solo un anno scolastico, dall'ottobre del '24 all'estate del '25 ma, mentre si riaffacciava il tentativo di dedicarsi alla politica come attività principale, restava sempre vivo in lui il desiderio di dedicarsi alla professione dell'insegnamento.

 


Gastone Manacorda, Storia di un antifascista Giuseppe Granata


1 Il Giuseppe Granata di cui ci occupiamo, nato a Girgenti il 6 maggio 1900 e morto a Roma il 16 aprile 1964, non dev'essere confuso con l'omonimo suo cugino, nato a Porto Empedocle, nel 1918, vivente, eletto senatore come indipendente di sinistra nel 1958 nella lista del Pci del collegio di Piazza Armerina, rieletto nel 1963; successivamente eletto deputato al parlamento nel 1968 come indipendente nella lista del Pci, circoscrizione di Palermo. Per non essere confuso col cugino il nostro Giuseppe Granata nel dopoguerra aggiunse alla sua firma giornalistica il cognome di sua madre e poi si firmò addirittura con questo cognome, diventando cosí Giuseppe Messana.

2 Per la chiarezza sintetica con cui sono esposte queste vicende, è opportuno citare poche righe di un grande studioso di storia militare: "[...] nel 1916 il Cadorna aveva potuto rinsanguare l'esercito con la classe nuova 1896, l'anno dopo con quelle del 1897 e 1898, e la difesa novembre-dicembre aveva assorbito anche la classe dei ragazzi del 1899; ora il Diaz si era trovato nel 1918 coll'esercito che non disponeva piú, come invece tutti gli altri eserciti belligeranti, dell'intera classe del '99, e d'altra parte, non voleva chiamare gli adolescenti del 1900, da tenersi, secondo l'universale opinione, per la decisione finale dell'anno prossimo" (P. Pieri, L'Italia nella prima guerra mondiale, Torino, Einaudi, 1965, pp. 189-190).

3 ACS, Casellario politico centrale, "Granata Giuseppe". Il fascicolo si apre con la lettera di un funzionario, firma illegibile, in data 24 febbraio 1923, diretta al ministro della Pubblica istruzione-Gabinetto: "Ai sensi della circolare 401 di S.E. il Presidente del Consiglio si comunica che il giorno 7 corrente mese venne arrestato a Girgenti il professore di filosofia Granata Giuseppe, deferito con altri all'autorità giudiziaria per i reati di cui agli articoli 134 e 135 del Codice Penale". Un'annotazione in calce di mano diversa reca: "Vedi fsc. Part(ito) Com(unista) aff(ari) g(eneral)i, K, fasc. A (Girgenti) n. 5463". D'ora in poi resta inteso che tutti i documenti d'archivio che non rechino una diversa indicazione fanno parte del fascicolo Granata del CPC.

4 Cfr. R. De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere 1921-23, Torino, Einaudi, 1966, p. 393 e passim.

5 "Tra la fine del '22 e il febbraio del '23 furono arrestati 2.236 comunisti. Di essi 1.634 furono denunciati e poi furono rilasciati, gli altri furono invece deferiti all'autorità giudiziaria" (De Felice, Mussolini il fascista, cit., p. 396, nota 2. La fonte usata da De Felice è ACS, Segreteria particolare del duce, Autografi del duce, b. 1, fasc. 1, sottofasc. A). Oltre a De Felice si veda a proposito di questa ondata di arresti anche P. Spriano, Storia del partito comunista italiano, I, Torino, Einaudi, 1967, p. 235 e passim. E per la Sicilia G. Miccichè, Dopoguerra e fascismo in Sicilia, Roma, Editori Riuniti, 1976, p. 152: "L'intero gruppo dirigente del girgentano, da Rosario e Iffrido Scaffidi a Giuseppe Sciabica, da Cesare Sessa a Gaetano Gaglio e Giuseppe Granata, fu arrestato, con grave danno per l'attività comunista in una zona dove essa si era mostrata piú promettente".

6 Gli articoli 134 e 135 del codice Zanardelli rinviavano agli articoli 104, 113, 118, 120 e al primo cpv. dell'articolo 128, cioè, in pratica, a tutte le norme riguardanti i delitti contro la sicurezza dello Stato.

7 ACS, CPC, "Granata Giuseppe", "Scheda della prefettura di Agrigento", "Cenno biografico al giorno 2-10-1924".

8 Su Giuseppe Berti cfr. Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, a cura di F Andreucci, T. Detti, Roma, Editori Riuniti, 1975, ad nomen.

9 Dalla minuta della lettera conservata nelle Carte Granata, presso la famiglia, Roma.

10 Cfr. la lettera di Henri Barbusse in "Clarté", n. 3, Palermo 15 luglio 1920, p. 51. Alla lettera fa seguito un articolo di Barbusse, "Clarté" e i partiti politici, che occupa le pp. 52-54 del n. 3.

11 "Clarté", 1920, n. 3, p. 60.

12 La situazione politica in Italia. La mancata rivoluzione, postilla di g.b., ivi, p. 68.

13 "Clarté", 1920, n. 1, p. 8; p. 9.



http://web.tiscali.it/studistorici/1995/n3/1995303a.htm



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