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Transdisciplinare
Educazione linguistica Italiano
"Ho un cavallo dentro di me, che raramente si esprime. Ma, quando vedo un altro cavallo, allora il mio cavallo si esprime. La sua forma parla. Cos'è un cavallo? È la libertà così indomabile che diventa inutile imprigionarlo". In SECCO STUDIO DI CAVALLI di Clarice Lispector.

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Materiale di studio

Abstract:

SVESTITURA

Il cavallo è nudo.


FALSO ADDOMESTICAMENTO

Cos'è un cavallo? È la libertà così indomabile che diventa inutile imprigionarlo affinché serva all'uomo: si lascia addomesticare, ma con un semplice movimento, uno scarto ribelle della testa - scuotendo la criniera come una capigliatura sciolta - dimostra che la sua intima natura è sempre indomita, limpida e libera.


FORMA

La forma del cavallo rappresenta ciò che di meglio c'è nell'essere umano. Ho un cavallo dentro di me, che raramente si esprime. Ma, quando vedo un altro cavallo, allora il mio cavallo si esprime. La sua forma parla.


DOLCEZZA

Cosa fa sì che il cavallo sia di brillante satin? È la dolcezza di chi ha assunto la vita, e il suo arcobaleno. Quella dolcezza si ritrova nel morbido pelo, che lascia indovinare i muscoli elastici, agili e controllati


GLI OCCHI DEL CAVALLO

Una volta ho visto un cavallo cieco: la natura si era sbagliata. Era doloroso sentirlo irrequieto, attento al minimo rumore prodotto dalla brezza fra le erbe, i nervi pronti a drizzarsi in un brivido che gli percorreva il corpo all'erta. Cosa vede un cavallo con tale intensità che, non vedendo i propri simili, rimane come alienato da se stesso? La verità è che - quando vede - distingue fuori di sé ciò che sta dentro di lui. È un animale che si esprime attraverso la forma. Quando vede montagne, prati, persone, cielo - domina gli uomini e la stessa natura.


SENSIBILITÀ

Ogni cavallo è selvaggio e scontroso, quando mani insicure lo toccano.


LUI E IO

Tentando di mettere in parole la mia più occulta e sottile sensazione - e disubbidendo alla mia esigenza di veracità - direi: se avessi potuto scegliere, avrei voluto essere nata cavallo. Ma - chi lo sa - forse il cavallo non sente il grande simbolo della vita libera che noi sentiamo in lui. Devo pertanto concludere che il cavallo esiste soprattutto per essere sentito da me? Il cavallo rappresenta l'animalità, splendida e libera, dell'essere umano? Il meglio del cavallo, l'essere umano lo ha già? Allora io rinuncio a essere un cavallo e assumo gloriosamente la mia umanità: Il cavallo mi indica ciò che sono.


ADOLESCENZA DELLA BAMBINA-PULEDRO

Ho già avuto rapporti perfetti con un cavallo. Mi ricordo di me, adolescente. In piedi, con la medesima alterigia del cavallo, mentre facevo scorrere la mano sul suo lucido pelo. Sulla sua aggressiva, agreste criniera. Mi sentivo come se qualcosa di mio vedesse noi due da lontano - Così: "La Ragazza e il Cavallo".


VANTERIA

Nella fazenda il cavallo bianco - re della natura - lanciava, verso le alture dell'aria pungente, il suo prolungato nitrito di splendore.


IL CAVALLO PERICOLOSO

Nella cittadina dell'entroterra - che un giorno sarebbe diventata una piccola metropoli - regnavano ancora, come presenze preminenti, i cavalli. Spinti dalla necessità sempre più urgente di trasporti, branchi di cavalli avevano invaso la località e, nei bambini ancora selvaggi nasceva il segreto desiderio di galoppare. Un giovane baio aveva dato un calcio mortale a un bambino che lo stava per montare. E il luogo, dove l'audace bambino era morto, veniva guardato dalle persone con una censura che, in verità non sapevano a chi dirigere. Con la cesta della spesa appesa al braccio, le donne si fermavano a guardare. Un giornale si era interessato al caso, e con un certo orgoglio si lesse un articolo dal titolo Il delitto del cavallo. Era il Delitto di uno dei figli della cittadina. Ormai, quella cittadina, al suo odore di stalla mescolava la coscienza della forza contenuta nei cavalli.


SULLA VIA ARIDA DI SOLE

Ma, di punto in bianco - nel silenzio del sole delle due pomeridiane, e quasi nessuno nelle strade del suburbio - una pariglia di cavalli sbucò da un incrocio. Si immobilizzò per un momento, le zampe sollevate a mezz'aria. Sfolgorando nelle bocche, come se non fossero trattenute dal morso. Lì, simili a statue. I pochi passanti, che affrontavano il calore del sole, guardarono, duri, ciascuno per conto proprio, senza capire in parole ciò che vedevano. Si limitavano a capire. Passato il bagliore dell'apparizione - i cavalli piegarono il collo, abbassarono le zampe e proseguirono la loro strada. L'istante di abbaglio era passato. Istante immobilizzato, come se una macchina fotografica avesse captato qualcosa che le parole non diranno mai.


AL TRAMONTO

Quel giorno, quando il sole stava ormai per tramontare, l'oro si diffuse sulle nuvole e sulle pietre. I volti degli abitanti si dorarono, simili ad armature, e così brillavano i capelli sciolti. Fabbriche polverose fischiavano, continuando ad annunciare la fine del giorno di lavoro, la ruota di una carrozza raggiunse un nimbo dorato. In quel pallido oro, nella brezza, una spada saliva, sguainata. Perché in questo modo si ergeva la statua equestre della piazza, nella soavità del tramonto.


NELLA FREDDA ALBA

Si poteva vedere il tiepido alito umido - l'alito radioso e tranquillo che usciva dalle tremule frogie estremamente vive e frementi dei cavalli e delle cavalle in certe fredde albe.


NEL MISTERO DELLA NOTTE

Ma di notte, cavalli liberati dei basti, e condotti al pascolo, galoppavano agili e liberi nell'oscurità. Puledri, ronzini, sauri, grandi cavalle, zoccoli duri - a un tratto una testa fredda e scura di cavallo! - gli zoccoli battevano, musi schiumanti si impennavano, con ira e mormorii. E, a volte, un prolungato respiro raffreddava le erbe tremolanti. A quel punto il baio si staccava, camminava di lato, la testa curva sul petto, cadenzato. Gli altri assistevano, senza guardare. Sentendo il rumore dei cavalli, ne indovinavo gli zoccoli asciutti che talora avanzavano fino a fermarsi sul punto più alto della collina. E, nel lanciare il lungo nitrito, le loro teste dominavano la cittadina. Nelle tenebre della stanza, la paura mi prendeva, il terrore di un re, avrei voluto rispondere con le gengive in mostra, nitrendo. Nell'invidia del desiderio, il mio volto acquisiva la nobiltà inquieta di una testa di cavallo. Affaticata, godendo, ascoltavo il trotto sonnambulo. Non appena fossi uscita dalla stanza, la mia forma si sarebbe dilatata e raffinata e, raggiungendo la strada, gli zoccoli che scivolavano sugli ultimi gradini della scala di casa, avrei subito incominciato a galoppare con zampe sensibili. Dalla strada deserta, avrei guardato: un angolo e l'altro. E avrei visto le cose proprio come le vede un cavallo. Quello era il mio desiderio. Da casa, cercavo almeno di udire la collina del pascolo, dove, nelle tenebre, cavalli senza nome galoppavano, ritornati al loro stato di cacciatori e di guerrieri.
Le bestie non abbandonavano la loro vita segreta, che avviene durante la notte. E, se al centro della ronda selvaggia, appariva un puledro bianco - era un portento nel buio. Tutti si fermavano. Il cavallo prodigioso appariva, era una apparizione. Si mostrava impennato, per un istante. Immobili, gli animali aspettavano senza guardarsi. Ma uno di loro batteva con lo zoccolo - e quel breve colpo spezzava la vigilia: fustigati, si muovevano di colpo alacri, incrociandosi senza mai scontrarsi, e il cavallo bianco si perdeva in mezzo a loro. Finché un nitrito di collera repentina li avvisava - attenti, per la frazione di un secondo, subito ritornavano a sparpagliarsi in nuova formazione di trotto, la groppa senza cavaliere, i colli piegati finché il muso non toccasse il petto. Erette le criniere. Ritmici, selvaggi.
La notte profonda -mentre gli uomini dormivano - li ritrovava immobili nelle tenebre. Stabili, privi di peso. Là stavano, invisibili, respirando. In attesa, con la loro intelligenza limitata. Sotto, nella cittadina addormentata, un gallo volava, e andava ad appollaiarsi sul bordo di una finestra. Le galline spiavano. Oltre la strada ferrata, un topo pronto a fuggire. A quel punto, il cavallino batteva con la zampa. Non aveva bocca per parlare, ma dava quel minimo segnale che, di spazio in spazio, si manifestava nell'oscurità. Loro spiavano. Quegli animali che avevano un occhio per vedere ai due lati - nulla doveva essere visto frontalmente da loro, e quella era la grande notte. I fianchi di una cavalla percorsi da una rapida contrazione, nei silenzi della notte, la cavalla stralunava gli occhi, quasi fosse circondata dall'eternità. Il puledro più inquieto ergeva ancora la criniera in un sordo nitrito. Regnava infine il silenzio totale.
Fino a quando la fragile luminosità dell'aurora li rivelava. Erano divisi, in piedi sulla collina. Esausti, freschi. Nell'oscurità, erano passati attraverso il mistero della natura degli esseri.


STUDIO DEL CAVALLO DEMONIACO

Non riposerò mai più perché ho rubato il cavallo da caccia di un Re. Ora io sono peggiore di me stessa! Non riposerò mai più: ho rubato il cavallo da caccia di un Re, nel Sabba delle streghe. Se mi addormento un istante, l'eco di un nitrito mi sveglia. Ed è inutile tentare di non andare. Nel buio della notte il respiro mi fa rabbrividire. Fingo di dormire, ma nel silenzio il cavallo respira. Tutti i giorni sarà la stessa cosa: già all'imbrunire, divento malinconica e pensierosa. So che il primo tamburo sulla montagna del male creerà la notte, so che il terzo mi avrà ormai coinvolta nella sua tempesta. E al quinto tamburo, ecco in me la mia cupidigia di cavallo fantasma. Finché all'alba, agli ultimi flebilissimi tamburi, mi ritroverò senza sapere come, vicino a un fresco ruscello, senza poter sapere quello che ho fatto, accanto all'enorme, stanca testa di cavallo.
Ma stanca di cosa? Cosa abbiamo fatto, io e il cavallo, noi tutti, che trottavamo nell'inferno della gioia del vampiro? Lui, il cavallo del Re, mi chiama. Ho resistito, in un bagno di sudore, non vado. L'ultima volta in cui sono scesa dalla sua sella d'argento, così grande era la mia tristezza umana per essere stata ciò che non sarei dovuta essere, che ho giurato che mai, mai più. Il trotto tuttavia continua in me. Chiacchiero, riordino la casa, sorrido, eppure so che il trotto è dentro di me. Ne sento la mancanza, come chi sta morendo.
No, non posso fare a meno di andare.
E so che di notte, quando lui mi chiamerà, andrò. Voglio che ancora una volta sia il cavallo a condurre il mio pensiero. È stato da lui che ho imparato a pensare. Se è pensiero questo momento in mezzo ai latrati. Comincio a intristirmi perché so, e il mio occhio - oh, senza volere! non è colpa mia! - senza volere, il mio occhio già risplende del mio godimento - so che andrò.
Quando di notte lui mi chiamerà all'attrazione dell'inferno, andrò. Scendo come un gatto dai tetti. Nessuno sa, nessuno vede. Solo i cani abbaiano presagendo il sovrannaturale.
E nel buio, mi presento al cavallo, cavallo di Re, che mi aspetta, mi presento muta e in fulgore. Obbediente alla Bestia.
Corrono, dietro di noi, corrono cinquantatré flauti. Davanti, un clarinetto ci illumina, noi, gli spudorati complici dell'enigma. E nient'altro mi è dato sapere.
All'alba, vedrò noi due, esausti, vicino al ruscello, senza sapere quali delitti abbiamo commesso fino all'arrivo dell'innocente alba.
Sulla mia bocca e sulle sue zampe, il marchio del nobile sangue. Cosa abbiamo immolato?
All'alba sarò in piedi accanto al cavallo, muto, con il resto dei flauti a scorrermi ancora lungo i capelli. Le prime campane di una chiesa in lontananza ci fanno rabbrividire e ci mettono in fuga, noi svaniamo dinanzi alla croce.
La notte è la mia vita assieme al cavallo diabolico, io, fattucchiera dell'orrore. La notte è la mia vita, annotta, la notte peccaminosamente felice è la vita triste, che è la mia orgia - ah, ruba, rubami il cavallo, perché, di furto in furto, sino all'alba, io ho già rubato per me e per il mio fantastico compagno, e dell'alba ho ormai fatto un presagio orrendo di demoniaca gioia malsana.
Liberami, ruba in fretta il cavallo, fintanto che c'è tempo, fintanto che ancora non annotta, fintanto che è giorno senza tenebre, se è vero che c'è ancora tempo, poiché, nel rubare il cavallo ho dovuto uccidere il re, e nell'assassinarlo ho rubato la morte del Re. E l'orgiastica gioia del nostro assassinio mi consuma con un piacere terribile. Ruba in fretta il pericoloso cavallo del Re, rubami prima che venga la notte e mi chiami.





(Tratto dal libro "Dove siete stati di notte?", Zanzibar, Milano, 1994; traduzione di Adelina Aletti)



http://www.sagarana.it/rivista/numero4/saggio3.html



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