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Transdisciplinare
Intercultura
Milano: I bambini fantasma dei semafori.

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media inferiore, Formazione permanente
Tipologia: Materiale di studio

Abstract:

I bambini fantasma dei semafori

 

di Umberto Di Maria

I genitori sono a un migliaio di chilometri di distanza. Consapevoli e spesso complici delle organizzazione alle quali i loro figli sono stati affidati. In piazza della Repubblica o in Porta Nuova, a Milano come in altre città della penisola, i ragazzi ci sono arrivati percorrendo le autostrade dei clandestini. Quelle che solcano l'Adriatico e congiungono la Puglia all'Albania con i motoscafi. Per arrivare poi a destinazione si sono affidati all'astuzia. "Basta arrampicarsi sul tetto del treno", come dice uno di loro, Victor, e nessun controllore ti verrà mai a cercare. Ma l'organizzazione costa; per arrivare ai semafori milanesi con i vestiti tagliati di proposito c'è chi ha pagato anche un milione di lire. Le mille lire, ma più spesso le cento, che riescono ad accattonare dagli automobilisti fermi ai semafori servono per pagare chi li ha portati qui, in mezzo all'Europa. Oppure per tornare in Albania con un gruzzolo sufficiente per campare una famiglia intera. Artur è quello di piazza Bolivar, Victor insieme al fratello sta in piazza Piemonte, Claude e Sergio in via Monte Ceneri e piazza Napoli. Poi tanti altri volti senza nome. Sul loro numero la magistratura e la Polizia non si sbilanciano. A maggio durante una retata ne sono stati bloccati 35, il più grande sedici anni il più piccolo otto. Per avere un'idea di quanti siano, "Terre di mezzo" ha fatto il giro della circonvallazione milanese: ne abbiamo contati 32 in una mattina. Tutti adolescenti senza sorriso, diventati grandi abbastanza per riuscire a sopravvivere grazie al rosso del semaforo. "Io non ho pagato nulla - dice Victor, 16 anni, carnagione scura ma biondissimo - conoscevo il capo del motoscafo". Il padre è un agricoltore e la madre lavora alle poste di Lushnja, una cittadina a un centinaio di chilometri a sud-ovest di Tirana. E' arrivato a Milano una decina di giorni fa. E' il più grande di cinque fratelli, le più piccole sono femmine. L'italiano lo ha imparato dalla televisione. In Albania le reti italiane si ricevono benissimo. Di notte dorme in piazza Napoli; sulle panchine, se c'è sereno, o sotto le macchine se piove. Guadagna 14-15 mila lire al giorno; almeno così dice. La storia di Artur e di suo fratello in piazza Piemonte è simile. Tredici anni lui e dodici il fratello: anche loro dicono di guadagnare "14-15 mila lire". La mattina alle sei si svegliano in piazza Brescia sotto un cespuglio che li ripara dal sole ma non dalla pioggia. Il supermercato di via Washington è la loro mensa. "Cola, dolce, pane" questa la spesa di Artur. Ne abbiamo visti entrare quattro al supermercato. Sono usciti con un pollo arrosto, un litro di latte, una fetta di formaggio e del pane da dividere dopo una giornata di lavoro. Ma, conti alla mano, 14-15 mila lire non bastano, non rimane niente per cui valga la pena restare a fare questa vita. Le risposte di Claude e Sergio sembrano ricalcate con la carta carbone da quelle dei loro compagni di sventura: "14-15 mila ... Tirana ... amico, motoscafo". Tutto coincide. Nulla trapela. Nessuna organizzazione, nessun adulto, soli ma solidali. Fantasmi. La notte per andare a dormire si dividono in gruppetti. Alcuni li abbiamo seguiti fino ad una casa abbandonata nelle stradine laterali di via Novara, dietro piazzale Lotto. Una casa annerita dal fumo e umida anche dall'esterno. Oppure si sdraiano sotto la sopraelavata della tangeziale est che passa sopra via Corelli. Come dirimpettai nella navata a fianco hanno i magrebini sfrattati dal centro di prima accoglienza. Albanesi e magrebini, si guardano senza salutarsi, nemici nella sventura ognuno a difendere un posto dove dormire in santa pace. Finché riescono a non farsi identificare la loro permanenza in Italia è garantita. Rischiano al massimo che la Polizia li fermi e che in attesa del rimpatrio li destini ad una comunità alloggio convenzionata con il Comune. "E' difficile identificarli - spiega Patrizia Presutti, responsabile del Pronto intervento minori del settore servizi sociali del Comune di Milano - sono tutti senza passaporto. Stamattina la Polizia mi ha segnalato un altro minore albanese. Era lo stesso già fuggito quattro volte. Ogni volta dà generalità diverse. Oggi veniva da 'Jugex', che è la contrazione di ex-Jugoslavia". Dicono di essere della Bosnia-Erzegovina perché sanno che in questo caso hanno diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. Ma senza passaporto non si può chiarire la provenienza e rimangono senza identità anagrafica: unica destinazione le comunità. Sono dieci le comunità alloggio convenzionate con il Comune di Milano. In totale mettono a disposizione del pronto intervento 65 posti letto per 365 giorni l'anno (che costano dalle 120 alle 200 mila lire al giorno all'amministrazione comunale). Ma non bastano; in soli sei mesi quest'anno i minori albanesi segnalati e bloccati sono stati 149. Tra di loro anche ragazze portate qui per prostituirsi a suon di botte forse dalle stesse organizzazioni che sfruttano i maschi ai semafori. "Scappano - racconta Alessandro Carbone, psicologo dell'Asilo Mariuccia, una delle comunità alloggio milanesi -. Gli adulti dell'organizzazione si fanno vedere in giro e loro si volatilizzano. Usano le comunità per mettersi in ordine, per fare una doccia, prendere i vestiti nuovi e mangiare un po'. Hanno come un compito da portare a termine, devono lavorare per tornare a casa". Ma l'esperienza in comunità comunque permette a questi ragazzi, di riprendersi i loro diritti di adolescenti, compresa la spensieratezza: "Quando sono qui - continua Carbone - scherzano, giocano con gli altri e fanno i capricci, smettono di fare gli adulti come qualcuno gli ha insegnato e si divertono". Il 35 per cento scappa dalla comunità: "Quelli che scappano devono rendere conto a qualcuno - spiega Carbone - quelli che restano si sentono protetti".

Turno dalle 7 alle 20 a bussare ai finestrini

"Anch'io ... cane". E intende dire che anche lui ha un cane. Lo accarezza in un giardino mentre addenta una pezzo di focaccia. Il cane di cui parla è quello da pastore che ha lasciato nelle campagne di Poshnja in Albania, dove è nato. Quell'animale, più di lui, vive con una famiglia di fatto. A Marcovic, quindici anni compiuti a giugno, è toccato invece venire in Italia, al semaforo in piazza Piemonte dove tutti i giorni dalle 7 alle 20 continua a bussare ai finestrini. Febbre, vento, caldo o nebbia non cambiano le sue giornate. Fa questa vita da maggio. E' stato uno dei primi ad arrivare. Sua madre e suo padre "... lavora terra..." per campare una famiglia di cinque figli (tre femmine e due maschi) dove il più grande è lui. Si mette a posto i capelli ondulati e sta seduto, calmo. Le mani grandi. Ciondolano le gambe dalla panchina. La voglia di parlare non gli manca, si vede dagli occhi neri, curiosi e attenti. Ma il suo italiano non è sufficiente a far comprendere sensazioni e paure. "... amico motoscafo..." è la spiegazione del suo arrivo. Un viaggio che dice di non aver pagato. Ma è la versione ufficiale: nessuno di questi ragazzi dirà mai che la famiglia lo ha affittato, o che ha pagato l'"amico" per portarlo qui. L'"amico", conosciuto dalla famiglia e stimato nella zona, si è presentato un giorno in casa per spiegare che in Italia si guadagna bene facendo lavorare i ragazzi. Ma non ha spiegato in cosa consisteva il lavoro o almeno Marcovic non lo aveva capito. Una volta qui non ha battutto ciglio e si è messo ad elemosinare. Un desiderio da bambino gli è rimasto: avere una bicicletta. Per il resto non ha altre richieste. Preferisce stare qui e dormire in una stanza di una casa abbandonata in via Novara, fredda e sporca, da dividere con altri cinque, piuttosto che tornare e vivere una vita che già conosce e senza variazioni sul tema. Marcovic è un ometto per l'attenzione che mette alla realtà. Fidanzate? "No ... io sono piccolo ancora".

Noleggiati o venduti. Dai genitori

Che a Milano sia in atto una spartizione del territorio tra organizzazioni criminali albanesi non ci sono dubbi. Fabio Roja, magistrato milanese a capo del pool contro i maltrattamenti, ha messo in programma a novembre tre retate. Alcuni elementi di verità però sono già venuti a galla: "Questi ragazzi sono venuti con l'approvazione della famiglia - spiega Roja -. Abbiamo informazioni sulla vendita dei minori da parte dei genitori. I ragazzi vengono 'noleggiati' e la famiglia percepisce una percentuale, o venduti per cifre che vanno dal milione fino ai cinque milioni". Sul fronte delle indagini il pool non ottiene una valida collaborazione dalle autorità albanesi anche se l'ambasciata di Roma si è messa a disposizione della magistratura. Le indagini in città sono rallentate dalla lingua e dall'impossibilità di appostamenti permanenti. I ragazzi infatti vengono spostati spesso ed è difficile seguirne le tracce. A sottolineare la gravità della situazione è stato costituito un tavolo di lavoro in Prefettura al quale collaborano la Procura presso la Pretura, la Procura minorile, il Tribunale dei minori oltre a Polizia, Carabinieri e Polizia municipale.

Quanto rende tendere la mano? Alle volte anche uno schiaffo

In Via Elba il rosso per le macchine dura 18 secondi. La tecnica giusta per tempi così ridotti è quella di passare in mezzo alle due file. In questo modo il ragazzo albanese riesce a risalire circa 15 metri di fila e a bussare a una decina di macchine ad ogni semaforo rosso. Dalle 15 alle 19.30 ha guadagnato più o meno 33 mila lire respirando un'aria satura di polvere e gas di scarico. In una giornata sale e scende la fila di macchine più di 500 volte e senza accorgersene percorre 15 chilometri. L'unica cosa che è riuscito a distrarlo è lo skate-board di una ragazzo che avrà la sua età. Ha fissato quella tavola su rotelle finche non è scomparsa dalla sua visuale. Una signora gli ha dato addirittura 5 mila lire e lo fa sorridere. Qualcuno invece ha preferito tirargli uno schiaffo dal finestrino di un furgone. Forse l'automobilista pensava che comunque nella vita c'è sempre qualcosa per cui soffrire. Non si sa perché. Gli automobilisti hanno anche delle tattiche anti semaforisti. Una biondona con la sua Mini marrone si ferma a circa dieci metri dal semaforo e quando il ragazzo gli si avvicina accelera. Lui si era già sporto in avanti e lo spigolo della macchina gli prende in pieno la faccia. Niente scuse. Tende la mano al finestrino di un furgone e da dentro il ragazzo al volante si mette le mani in mezzo al cavallo alzandosi. Poi ci sono gli insulti: quelli garbati "vai via", quelli più duri "togliti dai coglioni", i soliti "siete in troppi". C'è chi fa domande: "da dove vieni" ma in cambio non dà nulla. In quattro ore e mezzo si è spostato dal semaforo per andare alla toilette pubblica e per bere alla fontana. Una pausa l'ha fatta per mangiare una manciata di castagne che uno al volante di un Fiorino Fiat gli ha dato. Il resto è lavoro.

Il prezzo della libertà

L'organizzazione è invisibile. Ma un segno della sua esistenza è l'ordine. I ragazzi sono tutti ben distribuiti ai semafori della città senza mai litigare o schiacciarsi i piedi uno con l'altro. Nessuno di loro dà informazioni e quello che si lasciano scappare è uguale per tutti: città di provenienza, 14-15 mila lire di guadagno, sbarco in Italia sul motoscafo di un amico. Anche i vestiti sono indicativi: attorno a marzo, quando questi ragazzi sono comparsi in forza in città, giravano scalzi (nonostante il freddo) e con gli abiti a brandelli. Ma un occhio attento avrebbe riconosciuto i tagli realizzati ad hoc con lamette da barba, per dare un'immagine ancora più penosa di miseria. Poi, dopo la prima retata, i ragazzi sono riapparsi, un po' più in ordine, meno scalzi e laceri. Un tale lavoro deve valere comunque la candela. Con 14-15 mila al giorno, come dichiarano i ragazzi, non si riesce nemmeno a mangiare. Ad alcuni ragazzi fermati durante le retate sono state sequestrate delle buste di plastica (con un po' di attenzione è facile identificarle nascoste da qualche parte vicino) con dentro 80 mila lire, ed era solo mezzogiorno. La rendita dell'accattonaggio può arrivare a 200 mila lire al giorno per ragazzo. Molto dipende dalla zona. Della somma guadagnata il 60 per cento rimane all'organizzazione e il 40 per cento va alla famiglia. Ogni ragazzo deve "fruttare" dai 12 ai 15 milioni. E il tempo previsto per la permanenza in città non supera i sette, otto mesi. L'esercito dei piccoli albanesi ha delle regole ferree che nessuno di loro si permette di infrangere: lavoro dalle 7 alle 20-22 e non parlare mai dell'organizzazione, piuttosto fingere di non conoscere l'italiano, altrimenti botte.



http://web.tiscalinet.it/terre/tdm_memoria_index.htm



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