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Yggdrasil


L'albero di Natale -  un'usanza le cui radici dobbiamo rintracciare presso le popolazioni del Nord Europa, laddove antiche tradizioni ci trasportano ai mitici tempi in cui si adorava Odino ed in cui si credeva che questa divinità fosse rimasta appesa ad un albero speciale, un albero di conoscenza, per apprendere il segreto delle Rune. Quest'albero si chiamava "Yggdrasil".... di Antonio Bruno



Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media inferiore, Alunni scuola media superiore, Formazione permanente
Tipologia: Ipermedia

Abstract: NATALE: ADDOBBIAMO L'YGGDRASIL!
di Antonio Bruno
per Edicolaweb

 

Per i Paesi del sud Europa, ed in particolare l'Italia, il Presepe è il simbolo più forte del Natale. Com'è noto, fu San Francesco ad inventare questa rappresentazione allegorica della Natività e, da allora, essa è rimasta la più amata rievocazione della nascita di Cristo.

Ma c'è una tradizione diversa, diffusa in tutti i Paesi che celebrano il Natale, ed è quella della preparazione del cosiddetto "Albero di Natale". Si tratta di un'usanza le cui radici dobbiamo rintracciare presso le popolazioni del Nord Europa, laddove antiche tradizioni ci trasportano ai mitici tempi in cui si adorava Odino ed in cui si credeva che questa divinità fosse rimasta appesa ad un albero speciale, un albero di conoscenza, per apprendere il segreto delle Rune. Quest'albero si chiamava "Yggdrasil".
Ma vediamo di ripercorrere, sebbene nei limiti di una trattazione per forza di cose articolistica, le tappe che ci conducono alla conoscenza di questo mitico albero.

Nell'anno 772, Carlo Magno, per ingraziarsi la Chiesa Cattolica, proibì che nella foresta sacra di Extersteine, in Germania, luogo antichissimo di culti pagani, continuassero a svolgersi cerimonie che avevano radici nella notte dei tempi. Sono passati più di mille e duecento anni, eppure, l'antico spirito della "magia dei boschi e delle pietre" non solo non è affatto morto ma sta vivendo un momento di straordinario revival. Perché...?
La specie umana, a qualunque latitudine, ha sempre condiviso la sua esistenza con gli alberi; quasi dappertutto essi hanno rappresentato il naturale scenario entro cui si svolgevano le vicende della vita quotidiana, storie di caccia, morte, guerra... Gli alberi, i boschi e le foreste, di cui l'Europa stessa era letteralmente ricoperta nelle epoche antiche, divennero ben presto entità a sé stanti, esseri amici (a volte nemici) di un mondo che coesisteva con il nostro e che non poteva che essere la manifestazione di altri ignoti e, spesso, oscuri mondi. Non fu difficile il passaggio da luogo di vita a vero e proprio "tempio", l'ambito sacro per eccellenza in cui l'uomo potesse svolgere ed esprimere i lati più spontanei della sua spiritualità magica. Gli alberi, insomma, sono sempre stati i muti testimoni di riti millenari.
Il bosco dava corpo, potremmo quasi dire, al soprannaturale, gli costruiva una vera e propria fisionomia e non di rado poteva manifestare agli uomini i poteri occulti di cui era la manifestazione visibile.

Per fare un esempio che si richiama all'antica letteratura, Lucano, nel "Bellum civile" (III, 400) ci descrive come gli alberi assumessero un ruolo fondamentale nel culto delle popolazioni celtiche che i Romani si trovarono a fronteggiare, un culto in cui simbolismo e ritualità si fondevano in modo straordinariamente armonico:

"C'era un bosco sacro, persino gli uccelli avevano paura di posarsi su quei rami e le fiere di sdraiarsi su quella selva; neppure il vento o la folgore che piombava dalle fosche nubi si abbatteva su di essa e le fronde degli alberi abbondanti cadevano da cupe sorgenti e le lugubri statue degli dei erano prive d'arte, ricavate rozzamente da tronchi intagliati... E si narrava che spesso muggivano per i terremoti le profondità delle caverne, si risollevavano i tassi abbattuti e si vedevano bagliori nelle selve, senza che vi fossero incendi, e che i draghi striscianti si avvinghiavano ai tronchi..."

L'uomo, dunque, aveva imparato a vivere in simbiosi con il mondo vegetale ed un esempio di questo fenomeno a noi ormai estraneo, o ridotto a vaghe reminiscenze istintive di non facile identificazione, lo troviamo proprio ad Externsteine, dove, fra rocce e dirupi, fra cupe boscaglie e strane atmosfere, si possono rintracciare le memorie di tempi magici e lontani, tempi che risuonavano nelle note delle ballate nordiche danzate attorno ai focolari. Il paesaggio di quella zona della Germania è certamente uno dei più suggestivi e misteriosi ancora oggi, benché assediati dalle espressioni della nostra cosiddetta "civiltà".

Scrive Massimo Centini in "Guida insolita d'Europa":

"Ad osservare il sito di Externsteine con la sua struttura, l'eco dei suoi riti ancestrali, la sacralità di pietre la cui forma chiama in causa il potere degli dei, il pagano, con il suo animismo insito, ritorna prorompente, e pare vibrare nelle tradizioni, nelle leggende, nella forma dei grandi massi..."

Quando il Cristianesimo volle distruggere o soppiantare tutti i segni delle antiche religiosità pagane, anche ad Externsteine si cercò di far scomparire ogni traccia dei culti arborei: arrivarono dei monaci e decisero che quel luogo sarebbe stato l'ideale per le proprie meditazioni e pratiche devozionali. Come sempre, la Chiesa non ha fatto altro che sovrapporsi a culti e ricorrenze già esistenti: gran parte delle nostre festività attuali a carattere religioso sono derivate da questi antichi culti che furono diffusi in tutta Europa soprattutto dalle popolazioni celtiche; lo stesso vale per i luoghi di devozione. Monasteri, eremitaggi, chiese più o meno grandi sorsero nel Medioevo quasi sempre in concomitanza di siti sacri preesistenti e si può dire che il cattolicesimo "rubò", in tal modo, anche "l'anima occulta" di certi posti, le energie nascoste che i nostri antichissimi progenitori avevano saputo individuare. In epoca più recente poi, per tornare all'esempio di Externsteine, il luogo divenne addirittura teatro di guerre di religione.
Ma le guglie di roccia di quel misterioso sito nel cuore dell'Europa, presentano tuttora dei misteri anche per gli archeologi. Fra esse, infatti, antiche popolazioni scavarono camere in caverna, stanze sotterranee e strutture non chiaramente decifrabili. Alcune di esse hanno, è vero, una funzione pratica di non difficile interpretazione, ma altri ambienti, altre strutture, sembrano essere state costruite senza uno scopo preciso: gradini che non conducono in nessun luogo, fessure, nicchie, vani in roccia le cui funzioni ci sono del tutto sconosciute. Esistono, fra i dirupi di Externsteine, degli enormi anfratti e dei ciclopici pilastri in pietra. In uno di questi ultimi, il più grande, esiste una camera dalla forma bizzarra ma interessante: la porta d'ingresso, ad esempio, è situata nell'esatta direzione del sorgere del sole durante il solstizio estivo. Casualità?
Difficile. Quella che sembra emergere, anche in questo caso come in tantissimi altri siti un po' in tutto il mondo, è una funzionalità di carattere astronomico di tali rocce o delle strutture in esse realizzate.
Sulla sommità di uno dei grandi pilastri di Externsteine, ad esempio, vi si trova una cappella, senza tetto; sul lato ad est si vede una nicchia la quale, sempre durante il solstizio d'estate, viene colmata dai raggi solari non appena la nostra stella sorge all'orizzonte. E che dire, poi, del fatto che Externsteine si trova alla stessa latitudine del sito di Stonehenge...?
I monaci cristiani, nella prima metà del XIII secolo, scolpirono nella cappella suddetta, usufruendo come base la sua stessa viva pietra, una Deposizione dalla Croce, un'opera nella quale, però, non riuscirono (o non vollero) cancellare del tutto i richiami alla precedente religione pagana praticata proprio in quei luoghi.

C'era un albero sacro che le antiche genti di quelle terre veneravano prima dell'affermarsi della religione di Cristo; tale albero veniva chiamato "Yggdrasil". Ebbene, nell'opera scultorea realizzata nella cappella in cima al pilastro dai monaci medioevali, sembra proprio ravvisarsi una raffigurazione dell'Yggdrasil, sebbene piegato per permettere a Nicodemo di staccare il corpo di Gesù dalla Croce. Possiamo, a questo punto, ipotizzare sia che la raffigurazione simboleggiasse la sottomissione del paganesimo alla nuova religione, oppure che stesse a testimoniare la sopravvivenza, in una sorta di simbiosi cultuale, di entrambi i simboli, il pagano ed il cristiano. Se così fosse, se quest'ultima ipotesi corrispondesse alla realtà, il sacro Yggdrasil ci apparirebbe sotto una luce vincente, la luce di chi si risolleva sempre e comunque, per ricordare al suo popolo che nulla potrà mai piegarlo definitivamente...

Riprendiamo, a conferma di ciò, quanto scritto su "LaviadelNord":

Ci sono alcuni passi nell'Edda (la raccolta poetica di circa 35 canti che narrano i miti secondo la tradizione vichinga) e descrivono l'albero cosmico col nome appunto di Yggdrasil che viene comunemente tradotto dal norvegese come "cavallo di Odino" o meglio "Cavallo del selvaggio" ad indicare la componente di furor del padre degli Dei nordici e che in genere viene identificato in un frassino (Sorbus aucuparia), tuttavia, nella Voluspà 19 la profetessa dice:

"Io so che esiste un albero di frassino chiamato Yggdrasil, un albero alto, bagnato di bianca brina; di là derivano le rugiade che cadono nelle valli, e sempre verde sta presso le fonti del Destino."

Due elementi a questo punto sono degni di nota; Primo il fatto che si affermi che lo yggdrasil è un frassino sempreverde (Yfir groenn = sempre verde) cosa abbastanza difficile nella realtà poiché il frassino è deciduo e in inverno perde le foglie, e secondo l'immagine della "bianca brina" (Hvìta auri) che sempre bagna l'albero sacro; dunque, forse vi è la probabilità che lo yggdrasil non sia un frassino, ma bensì originariamente una conifera o una betulla, proprio secondo la relazione esistente tra questi 2 tipi di alberi che nell'ecologia della successione forestale nordica hanno un rapporto molto equilibrato, poiché conifere e betulle variano la propria popolazione in armonia con entrambe, creando così un rapporto numerico di sorprendente costanza durante i cambiamenti climatici e idrogeologici del territorio nei millenni! Dunque osservando questo è facile legare l'albero cosmico all'amanita muscaria, e anzi ci si può azzardare ad affermare che l'albero sia il fungo stesso che vive in simbiosi con lo Yggdrasil; come si diceva prima la "bianca brina" potrebbero benissimo essere le verruche bianche dell'agarico!

Snorri, il celebre "bardo" islandese narra che:

Le Norne abitano presso la fonte di Urdhr e vi attingono l'acqua ogni giorno e, col fango, la spruzzano sul frassino affinché i suoi rami non marciscano. Quell'acqua è talmente santa che tutte le cose che cadono nella fonte divengono bianche, come quella pelle che si chiama membrana e che aderisce all'interno dell'uovo. Come emerge dalla frase: "Un frassino io so ergersi, si chiama Yggdrasil, un albero sacro, asperso di candido fango, di lì proviene la rugiada che cade nella Valle" (Snorri-Gylfaginning 16). Il continuo riferimento al bianco e alla bianca brina che si può tradurre anche come "fango bianco" (hvìta auri) evoca l'immagine del ciclo di vita di un maestoso agarico muscario maculato di bianco che emerge dalla sua volva, bianca appunto, e del tutto simile ad un uovo. Altra cosa che dà da pensare è il termine che sovente viene usato al posto di Yggdrasil nello Havamal e cioè "Laerathr" la cui traduzione è abbastanza difficile poiché l'etimologia è oscura. Tuttavia secondo alcuni studiosi il significato che più gli si avvicina è "provocatore di danno" o anche "radice di danno" aggettivo un po' strano per un albero, ma molto meno per un fungo velenoso!

Tuttavia queste sono supposizioni che forse aggiungono dubbio al dubbio; vero è però che non considerarle neanche può essere poco utile ai fini di una più completa comprensione di questa intricata matassa! Quando si cerca di togliere il velo all'oblio delle cose antiche dai condizionamenti culturali ci si imbatte spesso nel dubbio e nella chiusura, ma il compito di chi ricerca è proprio quello di seguire una traccia e di scavarvi in tutte le direzioni con intelligenza e soprattutto con l'intuito che spesso, al pari delle illuminazioni poetiche genera le risposte e le azioni giuste per far luce dove vi è ancora ombra. Forse basterebbe mettersi di fronte alle famose pietre runiche nel Gotland in Svezia e vedervi senza sforzo la forma di un fungo. Un fungo sacro!

L'esempio di Externsteine deve farci riflettere su una evidenza che appare abbastanza chiara, non appena ci si soffermi a considerare i numerosi indizi etnici, religiosi, culturali e folkloristici dei popoli europei: anche nel nostro continente esiste una miriade di "segnali" che testimoniano un modo antico e, direi, naturale dell'uomo di rapportarsi al soprannaturale (mi si perdoni il gioco di parole).

Dice ancora il Centini:

"Questi segni, dalla più semplice traccia segnata su un'anonima pietra alla più articolata cattedrale, costituiscono un patrimonio importante per conoscere gli atteggiamenti dell'uomo nei confronti dell'insolito e del soprannaturale. Ci consentono soprattutto di capire come l'immaginario abbia trovato sempre una giusta cornice, riflettente usi e costumi di paesi che, con atteggiamenti e tradizioni molto diversi, ha cercato di identificare un posto destinato al meraviglioso.
Nel caso dell'Europa sono numerosi i luoghi del sacro, del mito e del mistero in cui il rapporto tra l'uomo e il soprannaturale risulta evidenziato da complesse strutture architettoniche, ma anche da elementari tracce, che hanno contrassegnato in modo imperituro quelle aree."

La civiltà dei Celti, forse, fu l'ultima grande manifestazione di un sapere che portava con sé i retaggi di una spiritualità in cui affondano le radici stesse della dimensione interiore dell'uomo. In essa e per essa, l'interrelazione con le grandi manifestazioni visibili della Terra acquista valenza primaria e diviene, anzi, il mezzo d'accesso privilegiato per più profonde relazioni con l'invisibile. L'affanno con cui, oggi, si cerca confusamente di recuperare il terreno perduto in questo senso, dopo secoli di prevaricazione e censura cristiana o dopo i vani tentativi di un positivismo perdente - in quanto innaturale - di ridurre tutto a saga e superstizione, ci deve insegnare che uomo e Terra sono un'unica cosa, e che fra essi, gli alberi, le sorgenti, e tutto quanto è, insomma, manifestazione vitale, non potrà che esistere sempre un collegamento stretto quanto imprescindibile. Se venisse meno, la nostra stessa specie giungerebbe ad una ineluttabile quanto poco auspicabile estinzione.

antoniobruno57@vodafone.it


http://www.edicolaweb.net/graal35a.htm



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