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Aborto - Corsi e ricorsi dagli anni Settanta a oggi - Cecilia D'Elia

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media superiore, Formazione post diploma
Tipologia: Documentazione
Abstract:
Aborto
Corsi e ricorsi dagli anni Settanta a oggi
Cecilia D'Elia

«Noi di Rivolta Femminile sosteniamo che da uno a tre milioni di aborti clandestini caogni anno in Italia costituiscono un numero sufficiente per considerare decaduta di fatto la legge antiabortiva», scrivono le donne di Rivolta Femminile nel 1971. Nessuna richiesta di nuove leggi: «la legalizzazione dell'aborto e anche l'aborto libero serviranno a codificare la voluttà della passività come espressione del sesso femminile». Nello stesso anno il Movimento di Liberazione della Donna, federato al Partito radicale, propone una legge di iniziativa popolare per la liberalizzare l'aborto. Può iniziare da posizioni così diverse, quella di Rivolta e dell'Mld, una ricostruzione di più di 35 anni di dibattito e di conflitto politico sull'aborto. La lotta sull'aborto diviene presto l'immagine dominante del movimento femminista, ma è solo una parte, nemmeno unificante, della parola femminile negli anni '70. L'origine è la riflessione delle donne su di sé, per significare la propria esperienza. Parlando di aborto ci si interroga sulla sessualità e sulla maternità come destino imposto. Con la realtà dell''aborto tutti, uomini e donne, convivono da sempre. Il codice penale più che punire (pochi i processi) costringe le donne a abortire con i rischi della clandestinità. Rileggendo oggi i documenti femministi dei primi anni 70 (vedi le due raccolte curate da Biancamaria Frabotta: Femminismo e lotta di classe in Italia (1970-1973) e La politica del femminismo (1973-1976), Savelli '75 e '76), è difficile ricostruirne il contesto e la pratica politica. Negli scritti di Rivolta femminile e della sua fondatrice Carla Lonzi, scrittura e autocoscienza si intrecciano (Maria Luisa Boccia, L'io in rivolta, La Tartaruga '90). Per Rivolta «il piacere imposto dall'uomo alla donna conduce alla procreazione». Anche nei documenti di altri gruppi si sottolinea che l'aborto è imposto alle donne, legato alla subordinazione femminile, estremo rimedio, necessario per scindere maternità e sessualità. Sul corpo femminile hanno deciso altri: medici, padri, mariti. Si interroga il malessere delle «emancipate della contraccezione», nuovo strumento di controllo. Di tutt'altra opinione l'Udi, che nel 1972 tiene un convegno sulla maternità e apre una consultazione di massa sulla sessualità, fidando nelle potenzialità emancipative della ricerca anticoncezionale. Nel frattempo tutto tace in parlamento, tranne la proposta di legge di Loris Fortuna (Psi) del 1973. Nessuno pensa di abolire gli articoli del codice penale che collocano l'aborto tra i reati contro la stirpe. Di questi anni le prime prese di posizione cattoliche aperte al dialogo (La Valle, Orfei, Valsecchi) e la costituzione del Cisa federato al Partito radicale, che organizza aborti in cliniche private a «prezzo politico». Nel gennaio 1975, dopo l'arresto a Firenze del dott. Conciani, proprietario di una clinica aderente al Cisa, le prime manifestazioni per l'aborto libero, gratuito, assistito. Diventa più evidente la diversità di opinioni all'interno del movimento. A Milano si tiene un'assemblea al circolo De Amicis. Importante il documento del collettivo di via Cherubini "Noi sull'aborto facciamo un lavoro politico diverso" (a p. 4 in questo inserto), ripubblicato in Non credere di avere dei diritti della Libreria delle donne di Milano, Rosenberg & Sellier '87, all'interno di una più ampia ricostruzione della vicenda dell'aborto. Sempre nel '75, la sentenza della Corte costituzionale che dichiara legittimo l'aborto terapeutico: "non esiste equivalenza tra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona come la madre e la salvaguardia dell'embrione che persona deve ancora diventare". Il diritto alla salute della madre diventerà il grimaldello attraverso cui si arriverà alla legalizzazione dell'aborto. La sentenza aprì un vuoto giuridico e tutti i partiti presentarono loro proposte di legge. Il biennio 1975-76 è la fase alta delle mobilitazioni femministe sull'aborto e forse il momento di maggior rapporto tra istituzioni e quella parte del movimento che, pur avendo scelto di non proporla direttamente anche per salvaguardare la propria autonomia, era interessato all'approvazione di una nuova legge. I progetti presentati dai partiti non prevedevano la decisione della donna. Quello del Pci, per esempio, l'affidava a una commissione di esperti. L'Udi intanto presenta i dati dell'inchiesta fatta tra le donne ( Sesso amaro, Editori Riuniti). Il dibattito dell'Udi nel libro di Maria Michetti, Margherita Repetto e Luciana Viviani, Udi, laboratorio di politica delle donne (Cooperativa Libera stampa). La discussione in aula alla Camera inizia nel marzo del 1976. Quando il 1 aprile Dc e Msi votano contro l'articolo 2 della legge e quindi viene ritenuto lecito solo l'aborto terapeutico, l'Udi si ritrova in piazza per la prima volta con il femminismo. La svolta dell'Udi influì sull'atteggiamento del Pci insieme ai fatti di Seveso, dove il 10 luglio scoppia una nube tossica alla fabbrica Icmesa, molte donne chiesero di abortire impaurite per gli effetti tossici e i gruppi cattolici più oltranzisti mandarono assistenti sociali per dissuaderle (Marcella Ferrara, Le donne di Seveso, Editori Riuniti '76). Nel giugno del 1977 un'altra grande manifestazione, ma il rapporto tra il movimento e la vicenda parlamentare si è fatto più difficile. Restano differenze tra quante vedono in una nuova legge un guadagno per le donne e quante preferiscono la depenalizzazione. E c'è un grande scarto tra l'autodeterminazione elaborata nel movimento e i principi giuridici che dovrebbero esprimerla. La legge 194 approvata il 18 maggio 1978 è costruita sulla salute psico-fisica della donna e fu giudicata negativamente dalla gran parte dei collettivi femministi, anche se una parte si impegnò per la sua attuazione. La Cei invitò gli operatori cattolici ad obiettare: è di questo periodo la nascita della Giornata della vita. Il 17 e 18 maggio 1981 si vota per i referendum promossi dal Movimento per la vita e dal Partito radicale. Molte vivono come un ritorno indietro la necessità di difendere la legge. Una parte del movimento organizza i coordinamenti per l'autodeterminazione, che sono per il No a entrambi i referendum. Nasce anche il coordinamento per la totale depenalizzazione dell'aborto, favorevole al referendum radicale (AA.VV, Oltre l'aborto, Quotidiano dei lavoratori '81). Si mobilitano le donne dei partiti "in difesa della 194". Risultato: la proposta radicale ottiene l'11 di sì e l'88 di no, quella del Movimento per la Vita il 31 di sì e il 67 di no. Tra il '79 e l'80 furono presentate 15 eccezioni di incostituzionalità, tutte respinte. La Corte nel 1987 respinge l'ipotesi di obiezione di coscienza del giudice tutelare e l'anno successivo ribadisce la validità dell'art. 5 che attribuisce alla donna la decisione di abortire. Nel 1987 la Congregazione per la dottrina della fede, guidata dal cardinale Ratzinger, pubblica Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione, che interviene sulle tecnologie riproduttive valorizzando il primato della biologia sulle decisioni umane. Il corpo femminile è ridotto a contenitore. Nel 1988 esplode la rivolta dei padri, capeggiata dal ministro del tesoro Giuliano Amato, che polemizza con la sentenza della Corte sull'art.5 denunciando la prevalenza data alle ragioni della madre. Attraverso la valorizzazione della figura del padre viene riproposta la questione del "chi decide". La polemica si intreccia con la discussione alla Camera della mozione di Martinazzoli sulla vita. SEGUE DA PAGINA 2 L'intento della Dc non è più quello di attaccare frontalmente la 194, ma di mutare il terreno della discussione. L'operazione, in parte riuscita, è quella di farne una discussione sui diritti umani. Si interviene su tutta la materia della procreazione con la bussola del diritto alla vita, scompaiono i corpi, le relazioni, la sessualità, e prende corpo la personalità giuridica del feto (Marco Giudici, La difesa della vita in parlamento, ed. Cinque lune '88). Intanto in campo femminile (Grazia Zuffa e altre sulla rivista Reti, ClaudiaMancina) si evidenzia la dimensione etica dell'autodeterminazione, l'impossibilità di usare il paradigma dei diritti individuali nella relazione tra madre e feto, la concezione della libertà come responsabilità. Il senso dell' aborto come «esperienza femminile» (Storie, menti e sentimenti di fronte all'aborto, Coordinamento naz.consultori, 1990) viene indagato da psicanaliste come Silvia Vegetti Finzi (Aborto perchè?, Feltrinelli '89) oMaria Grazia Minetti su Reti. Gli anni 80 si chiudono con due questioni ancora oggi centrali: il controllo della scienza e della legge sul corpo femminile. La senatrice ElenaMarinucci, sottosegretario alla sanità, nel 1989 sollecita l'introduzione in Italia della pillola abortiva RU486. La stampa italiana fu invasa dagli interventi di opinionisti (uomini: emerge la voce di Giuliano Ferrara) scatenati contro la possibilità di sottrarre la donna all'iter previsto dalla 194 e all'«ideologia del dolore». Nel femminismo inizia a circolare un documento che sarà pubblicato solo nel marzo 1993 da Noidonne: «Una proposta per cancellare la parola aborto dal codice penale», promosso dalla Libreria diMilano e altre (in questo inserto a p. 6-7). Torna la depenalizzazione,ma arricchita dall'elaborazione degli anni 80 che aveva sottoposto a critica il soggetto moderno dell'uguaglianza e il linguaggio dei diritti (si veda Democrazia e diritto, n. 2/'93). Così si chiudono gli anni 80. Il decennio successivo ne erediterà l'uso e l'abuso del concetto di vita (Barbara Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico, Bollati Boringhieri '94). Nel 1995 Carlo Casini, del Movimento per la Vita, con una lettera aperta a D'Alema, allora segretario del Pds, pubblicata da Famiglia Cristiana, chiede una «verifica» della 194 per riconoscere dignità e diritti fin dal concepimento. D'Alema si dichiara disponibile a rivedere la 194 per rafforzare la prevenzione e invoca un passo indietro dei partiti su questi temi, per lasciare il posto al primato della coscienza. La prima parola e l'ultima, testo promosso da Alessandra Bocchetti, Franca Chiaromonte e altre del Centro VirginiaWoolf b di Roma), e firmato da migliaia di donne, denuncia il desiderio maschile di controllare il corpo femminile. A partire da questo testo il 3 giugno 1995 si tiene a Roma, a piazza di Siena, una grandissima manifestazione Il dibattito sulla 194 si intreccia sempre più con quella sulla fecondazione assistita e con la questione della ricerca sugli embrioni. Il «cittadino embrione» si fa strada nel dibattito pubblico (Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa L'eclissi della madre, Pratiche editrice, 1998). Nel 2004, dopo sette anni di iter parlamentare, viene approvata da una maggioranza di centrodestra (con alcune astensioni di centrosinistra) la legge 40, frutto di un dibattito ossessionato, nel centrodestra e nel centrosinistra, dalla volontà di superare il «far west procreativo» normando i comportamenti, distinguendo comportamenti leciti e illeciti, definendo una gerarchia delle tecniche, limitando alle coppie stabili l'accesso(Aa. Vv., Si può, manifestolibri 2006). Al referendum indetto per abrogarla nel 2006 non raggiungerà il quorum necessario. Il 2008 si apre con la campagna sulla «moratoria» dell'aborto di Giuliano Ferrara, che segue appello di Ruini amodificare la 194 tenendo conto dei progressi scientifici che permettono una nuova sopravvivenza al feto. Il resto è cronaca.



http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/08-Marzo-2008/art58.html


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