Il testo letto dal professore emerito Joseph Ratzinger all’università tedesca di Ratisbona ha patito giorni di drammatica tensione. Non doveva accadere che, a causa di distorsioni, una lezione dotta di un Pontefice potesse scuotere i rapporti fra il Cristianesimo e l’Islam fino a proteste di piazza e richieste di ritrattazioni. Eppure papa Benedetto XVI si propone di migliorare le relazioni fra cristiani e musulmani, sulla scia del suo predecessore Giovanni Paolo II. E vuole fare un viaggio in Turchia, come Wojtyla andò in Siria, fino alla soglia della moschea.
Qualcosa nella preparazione delle comunicazioni non ha funzionato, se una citazione storica dell'imperatore Manuele II Paleologo è stata strappata dal suo lontano contesto e riproposta dai mass media non solo alle frange fondamentaliste, ma anche ad autorità politiche e religiose di Paesi musulmani moderati, come una offesa alla religione sorella, discendente dal ceppo monoteista. Qualcosa nella macchina che gira intorno al vicario di Cristo va messa a regime, se può con tanta sorprendente eco capitare al Papa di vedersi estrapolare alcune righe da una analisi di molte pagine, per farne impropria sintesi dell'intero discorso. Nella stessa lezione del professor Ratzinger invece un lettore meno frettoloso trova anche la sura 2, 256, dove il devoto di Maometto può leggere: «Nessuna costrizione nelle cose di fede». I testi citati in una lectio magistralis non possono essere enucleati, uno sì e uno no, per una sintesi semplicistica e dirompente. Fa torto non solo al pastore, maall'uomo di dottrina costringere sui flash di agenzia Benedetto XVI a concludere che «Dio è diverso da Allah»: quale dio? E non è dio anche Allah? Non è vocazione di Papi del nostro tempo offendere imusulmani con giochi di parole da quiz televisivo, è invece mestiere della complessa realtà vaticana proteggere il grande teologo e il filosofo dall'urto del riduzionismo comunicativo, che finisce per realizzare una eterogenesi dei fini, lasciando che maliziosamente possa circolare una improponibile idea cattolica di scontro fra civiltà, antitetica al dialogo che la Chiesa di Roma vuole, in continuità con Wojtyla.
Nonentro nel merito della assai articolata lezione di Ratisbona, ma a mepare nell'insieme un tentativo limpido di elencare, esaltando la razionalità, le cose che avvicinano gli uomini, in nome di una ragione che appartiene così a religioni come a filosofie. Quando parla della lezione greca per il Cristianesimo, Ratzinger non cita Simone Weil, ebrea arrivata alla soglia del battesimo senza varcarla per rispetto ai fratelli che erano nei campi di sterminio nazisti, ma le parole della giovane filosofa della «Condizione operaia» sono testuali. Importante è oggi un Papa colto e conoscitore del metabolismo delle culture. Ma il contesto deve saper mediare con più attenzione: finito il momento della transizione, mentre il cardinal Bertone, un uomo di dialogo per carisma salesiano, prende le redini della Segreteria di Stato, bisogna riempire il vuoto di semplicità dialogante che talvolta Wojtyla parrebbe aver lasciato. La innegabile, forse solitaria, levatura intellettuale del nuovo pontefice chiede impegno ai collaboratori: Wojtyla aveva in Ratzinger la sua sicurezza dottrinaria, tocca ora ad altri offrire ogni giorno a Ratzinger la logistica della comunicazione.
di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI