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Educazione linguistica Italiano
Intercultura
Alcune liriche estratte da *Stigmate" di Gezim Hajdari - Poeta albanese, vincitore del Premio Montale.

Lingua: Italiana
Destinatari: Alunni scuola media inferiore, Alunni scuola media superiore, Formazione permanente
Tipologia: Materiale di studio
Abstract: Kúmá/Poesia

Gezim Hajdari

Poeta albanese, vincitore del Premio Montale, vive in Italia.
Ha pubblicato in italiano alcuni volumi di poesie, tra i quali Corpo presente (1999) e Antologia della pioggia (2000).
Le poesie qui presentate sono tratte dalla raccolta inedita
Stigmate.

I.

Lascio questi versi come un addio
inghiottito dalla nudità della memoria
sapendo che il mondo non ne ha bisogno
Del mio saluto con la mano che trema
giù nel fondo stellato
nessuno si accorge.
Orizzonte precario
mi appoggio alla tua acqua fredda
e scavo la tua fronte di cielo oscuro

abbandonato nella nebbia fitta
non so da dove vengo e dove vado
assedio nevi che mi assediano
in balia di neri uccelli
voglio sapere chi mi separa da una terra impazzita
e che fine faranno la mia Ombra oltre l'acqua
la pioggia che cade nella pioggia e gli Dèi fra gli alberi

in fila accanto al freddo e al destino
attendo che mi chiamino all'alba dalle pietre
volti pallidi di voci arrochite

il mio nome è una linea che divide
la luce dall'oscurità
il mio corpo misura tra la sabbia e il cielo

II.

Quanto siamo poveri.
io in Italia vivo alla giornata
tu in Lushnje non riesci a bere un caffè nero

la nostra colpa: amiamo la terra
la nostra condanna: vivere soli divisi dall'acqua buia

ritornerò in autunno come Costantino
mentre sulle colline natali tu già hai raccolto l'origano
da portare nella mia stanza ancora sgombra
ora vivo al posto di me stesso
lontano da un paese che divora i propri figli

 

III.

Ho girato su e giù per le strade di Roma
per vendere il mio Corpo Presente
è l'ultimo giorno dell'anno santo
come posso giungere a festeggiare con te dopo otto inverni
in Occidente
il viaggio costa venti volte il prezzo del mio libro di poesie
e nei tuoi occhi la mia assenza diventa più profonda
sulle tue labbra secche il mio nome è pronunciato più spesso
alti sono i muri d'acqua che ci dividono
e sotto le loro ombre cresce spaventata la nostra vita

IV.

Io non vi rubo né ricchezza né gloria
non voglio possedere altro che il mio corpo
è scritto anche nella polvere delle arene da cui provengo
e nella memoria degli alberi che mi circondano
le mie strade non ritornano all'acqua
la mia stanza ogni sera prende fuoco
in attesa da anni e non aspetto nessuno
che giunga nella mia dimora
la mia anima è specchio spezzato
uccello caduto nella pioggia
accanto ai ciechi
per questo cerco nuovi sentieri
per fuggire con il segreto che sanguina

V.

Ogni giorno creo una nuova patria
in cui muoio e rinasco quando voglio
una patria senza mappe né bandiere
celebrata dai tuoi occhi profondi
che mi accompagnano per tutto il tempo
del viaggio verso cieli fragili
in tutte le terre io dormo innamorato
in tutte le dimore mi sveglio bambino
la mia chiave può aprire ogni confine
e le porte di ogni prigione nera
ritorni e partenze eterne il mio essere
da fuoco a fuoco e da acqua a acqua
l'inno delle mie patrie è il canto del merlo
ed io lo canto in ogni stagione di luna calante
che sorge dalla tua fronte di buio e di stelle
con la volontà eterna del sole

VI.

Per voi uomini dell' Europa che vi arrangiate ogni giorno
Per voi donne dell' Est che lavate per terra o accompagnate
a prendere aria i vecchi d' Occidente
Per voi immigrati che dormite sulle panchine e vi svegliate
con un 'immensa nostalgia
Per voi barboni
che non
volete padroni e vivete in pace
con l'universo
Per voi prostitute che offrite il vostro sesso a negri bianchi
gialli fino al sangue
Per voi malati e disoccupati come solidarietà e misericordia
Per voi missionari che portate tenerezza ai deboli prima di morire
Per voi contadini che fate pascolare il gregge e arate i campi da
nord a sud
Per voi folli che ci insegnate gratis la follia
Per voi che siete soli e fuggite come me
scrivo questi versi in italiano e mi tormento in albanese

VII.

Sogno spesso di tornare un giorno sulla nostra collina di
siliquastri
e di vivere accanto a te
ben venga la povertà
ma soltanto accanto a te
sono trascorsi anni da quando mi hanno costretto ad andare via
cosa fai? cosa pensi? ci salveremo in questa vita?
è duro il destino dei poeti
ieri per la dittatura eravamo pericolosi
oggi per la democrazia siamo inutili
se avessi amato una donna del villaggio
non avrei sofferto così tanto per le città che uccidono
dove ogni secondo mi devo difendere
scrivimi se hai sentito il canto del cuculo nella ginestra fiorita.




http://www.disp.let.uniroma1.it/kuma/sezioni/poesia/Gezim_Hajdari.html


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