Dino Frisullo, 5/6/1952-5/6/2003, nato in Puglia, perugino d’adozione.Militante della nuova sinistra prima in Avanguardia operaia, poi in Democrazia proletaria fino al suo epilogo.
Nel 1980-81 è in Irpinia durante il terremoto nell’attività di solidarietà e nelle lotte. Alla fine degli anni Ottanta a Roma, l’impatto con le lotte degli immigrati, l’esperienza della Pantanella, l’incontro con don Luigi Di Liegro, l’impegno con l’ancora esistente associazione Senzaconfine e il particolare legame con la comunità del Bangladesh, infine portavoce della disciolta Rete anti-razzista.
Ha lavorato a sostegno della prima intifada in Palestina attraverso strutture di cooperazione internazionale, in particolare attraverso l’associazione Al Ard.L’arrivo dei rappresentanti della lotta di liberazione kurda in Italia lo porta prima tra le fila dei sostenitori della causa kurda e delle rivendicazioni dei diritti del popolo negato in Turchia, poi in Turchia dove viene arrestato e processato. Inizialmente imputato per istigazione al separatismo, l’accusa viene poi “derubricata” in apologia di terrorismo per poterlo scarcerare ed espellere, con una sentenza ad un anno e mezzo di reclusione.
Questa esperienza dopo 40 giorni di carcere e un processo, radicalizza il suo sostegno alla lotta kurda e lo spinge ad approfondire conoscenza e vicinanza. Tra i fondatori dell’Associazione nazionale “Azad per la libertà del popolo kurdo” ne è il portavoce fino all’ultimo. Contemporaneamente, è fautore e sostenitore della presenza degli esuli kurdi a Roma, contribuendo al loro stanziamento nel Campo Boario e all’istituzione del Centro socio-culturale Ararat. Attivo e partecipe nei giorni della presenza di Abdullah Ocalan in Italia, non era nuovo all’esperienza della solidarietà internazionale e si è battuto per la legittimazione e il riconoscimento del movimento di liberazione kurdo come interlocutore per una soluzione pacifica e politica della questione.
Ha dato un grande contributo di informazione e di inchiesta sociale, quasi sempre in piena autonomia e non sempre noto al mainstream della stampa, ma che si è guadagnato una presenza negli interstizi mediatici attraverso l’informazione border line, underground, no profit, e diventando alla fine una fonte di notizie seria e completa per le agenzie di stampa e per i quotidiani della sinistra, in particolare i quotidiani il Manifesto e Liberazione e il settimanale Avvenimenti, a cui ha sempre offerto collaborazione gratuita. Nell’estate del 2000 fu premiato per il racconto "Il giuramento", ispirato all’incendio del Serraino Vulpitta, centro di detenzione per immigrati in Sicilia.
per ricordare
"....Nel giugno del 2001, alla vigilia dei fatti di Genova, Muyesser Gunes, donna kurda appartenente al Movimento delle Madri della Pace, arriva in Italia per un giro di incontri. Il primo di una serie, durante i quali Muyesser stringe rapporti soprattutto con il Movimento delle Donne in Nero. Da allora è diventata un'ospite accolta con calore da tutto il movimento pacifista, oltre che dalle donne. Il suo volto, fiero e sereno, è uno dei volti indimenticabili tra le immagini di alcune delle più significative manifestazioni contro la guerra in Italia. Di recente è stata arrestata in Turchia dopo una manifestazione e poi rilasciata anche grazie alla mobilitazione organizzata dalle Donne in Nero. Quel viaggio in Italia nell'estate del 2001 fu fortemente voluto da Dino Frisullo, che, con l'unica risorsa delle sue idee chiare e delle sue convinzioni, fu artefice, il primo ma non il solo, di questa prima missione di Muyesser Gunes organizzandole un'agenda, procurandole interviste e, spesso, facendole da accompagnatore ed interprete. La sua storia è narrata in questo racconto in versi che Dino, reporter della vita e poeta di strada, le dedicò, all'indomani dell'uccisione del figlio, per mano dell'esercito turco, durante un incursione nei territori dove si erano ritirati i militanti della guerriglia kurda, proprio nei giorni in cui Muyesser, ambasciatrice di pace, svolgeva la sua prima missione in Italia.
A MUYESSER GUNES, AMBASCIATRICE DI PACE a cura di Dino Frisullo / 17 giugno 2001
E' notte. Muyesser nel suo letto straniero certo ha chiuso i suoi occhi. Ogni tanto si perdevano nel vuoto stasera nel suo volto stanco. Forse dorme - le sue mani si contraggono convulse, un grido le si strozza nella gola. «Da quel giorno non dormo senza incubi» ha detto. Incubi ricorrenti per mesi per anni ogni notte da quando le dissero che suo figlio era morto. Un messaggio secco come una sentenza, tagliente come lama d'acciaio: «ucciso in uno scontro fra soldati e terroristi».
Era bello il maggiore dei suoi figli, diceva (nei suoi occhi brillavano lacrime) alto più di due metri forte come un gigante. «Mostra la coda, kurdo! Che lingua parli, bestia?» Fuggì via dalla scuola del villaggio ma in città trovò i Lupi grigi. «Prendilo, è kurdo! Schiaccia quella serpe!» Finchè un giorno a vent'anni (bello era e forte, alto come un gigante) si volse indietro per l'ultimo sorriso sul sentiero che porta alla montagna.
Forse ora sogna quel sorriso Muyesser ma le mani si serrano a sangue su un foglietto tagliente come lama d'acciaio. Forse sogna i soldati, da quel giorno tornarono ogni sera: «ancora qui? portateli in caserma, questo nido di vipere va chiuso! tu vecchio, non sei kurdo, secondo me sei armeno, togliti i pantaloni verifichiamo se sei circonciso... i tuoi nipoti, figli di cani, fratelli di quel cane sovversivo, vieni a cercarli domani in prigione!»
«Parla di te» chiedevano le compagne italiane - ma come raccontare l'arroganza il potere la tortura la fierezza il dolore la fatica di vivere ogni giorno, l'orecchio teso a ogni passo nella sera, quell'urlo che saliva fino al cielo il giorno che bruciarono le stalle e gli animali... con che parole dire l'ultimo sguardo alla casa di pietra, quella carezza ai tronchi dei pistacchi visti nascere e crescere coi figli, l'ultimo addio dalla sponda di un camion in quell'alba liquida e gelida, una svolta un singhiozzo l'ultima alba sui monti di Siìrt… come si può spiegare con parole? Leggete nei miei occhi, guardatemi e saprete, dicevano i suoi occhi fieri e stanchi.
«E' bella Istanbul ma è grande, ti ci perdi, due ore d'auto per traversarla tutta e quell'aria pesante di fumi... Sarebbe bella Istanbul se solo si potesse respirare, se le case non fossero topaie».
Ha quasi cinquant'anni Muyesser (così dice l'anagrafe, sorride) ha cresciuto sei figli, e uno è morto, ma gli anni più pesanti sono questi sei anni nella metropoli dove non sei nessuno e non respiri se non fumi e scarichi e non ci sono alberi di pistacchio e all'alba non c'è gallo nè risveglio di uccelli ma solo strida tristi di gabbiani dal Bosforo... Sola, con il marito che lavora a giornata se e quando c'è lavoro e cozze, tante cozze da riempire di riso perché i figli le vendano insieme ai fazzoletti per pagare l'affitto di quella baracca nel quartiere di Gazi quartiere sovversivo di kurdi ed alawiti quartiere che conobbe il rombo dei blindati e la loro mitraglia.
Come si può spiegare la fatica di vivere ogni giorno? Ed un giorno è sparito l'altro figlio stanco di vendere cozze e fazzoletti e d'insulti e miseria e paura se n'è andato forse è ad Istanbul forse in prigione o forse vaga libero coi suoi compagni sulle sue montagne...
Sa parlare due lingue Muyesser ma preferisce il kurdo lingua dolce che sa di rugiada e pistacchio e fu bello poterlo parlare quando entrò nella sede dell'Hadèp, e parlarlo fra donne: «di che villaggio sei?» «tuo marito è in prigione? ogni quanto lo vedi?» «lo so cosa vuol dire ho anch'io un figlio e una figlia in montagna» «di questi tempi mietevamo il grano...» e scoprire il rispetto degli uomini alle donne, di compagni a compagne: «Hevàl, gradisci un tè?» «ritorna quando vuoi, qui di te c'è bisogno» «sai chi è Leyla Zana? le donne come te sono la nostra forza...»
Forse ora nel sonno sorride Muyesser risente il fumo caldo odoroso di tè e scorre la sua vita come un album di foto, come un film di cui si scopre regista ed attrice dal villaggio alla metropoli, all'Hadèp di Gazi, fino allo sciopero della fame - Ocalan in Italia, la grande speranza (e bastoni levati a colpirla) la marcia delle donne fino ad Ankara i sit-in per gli scomparsi nella piazza di Taksìm (ancora quei bastoni) e le donne-sorelle davanti alle prigioni le lunghe discussioni sulla scelta di pace…
Ce l'aveva già dentro, la scelta della pace, fin da quando sentiva nella sua stessa carne il dolore delle madri dei soldati, soldati turchi uccisi... nemici? può essere nemico il pianto di una madre? Le venne naturale organizzarsi insieme: le Madri kurde e turche contro la guerra sporca!
Sorride Muyesser nel suo letto straniero piccola grande donna ed ora ambasciatrice due settimane da Napoli a Trieste il velo bianco che vuol dire pace decine d'assemblee centinaia d'occhi amici a Genova l'abbraccio lungo e forte delle donne e la magia notturna di Venezia e gl'incontri con sindaci e assessori e le fotografie sullo sfondo dei Fori da mostrare domani alle compagne kurde...
Ti sia leggero e dolce il sonno, Muyesser. Perché domani le tue compagne t'abbracceranno forte piangendo all'aeroporto d'Istanbul e senza ancora leggere quel foglio lo riconoscerai sentirai la sua lama nelle viscere saprai guardandole negli occhi che mentre in Italia parlavi di pace t'hanno ammazzato il tuo secondo figlio...
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