Zero, la cifra del nulla e dell'infinito - Arrivò dall'India e dagli infedeli quel «nulla» che cambiò la matematica e il mondo
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Zero, la cifra del nulla e dell'infinito


Accettato dagli Arabi, usato negli scambi e nei mercati, nell'Occidente cristiano fu sentito quasi come un pericolo


Arrivò dall'India e dagli infedeli quel «nulla» che cambiò la matematica e il mondo


La pericolosa idea s'infiltrò in Occidente attraverso le terre infedeli dell'Andalusia e della Sicilia.  Portava con sé la «cifra del niente».  Oh, quanto dura ed eroica e prolungata fu la resistenza che gli Europei le opposero.  Ma dopo qualche secolo dovettero arrendersi alla subdola quanto potente idea.  E da allora, dall'epoca detta del Rinascimento, la «cifra del niente», lo zero, conquisterà il vecchio continente e parteciperà da protagonista assoluto alla nascita della nuova scienza.


Lo zero è il primo e il più strano dei numeri.  La sua è una tipica storia mediterranea, quella di una migrazione di idee e di un contagio culturale. Una storia di incontro, di confusione e di revisione di titaniche visioni del mondo che inizia intorno al VII secolo, in India, quando sulle rive del Gange fioriscono i mille boccioli di una cultura mistica ma anche scientifica.  Mentre in Arabia un popolo di nomadi inizia a scrivere, a interpretare e a portare in giro per il Medio Oriente e l'Africa settentrionale le parole di un Profeta, morto nel 632, avviando una grande e secolare civiltà.  E mentre in Europa, come scrive lo storico della matematica Carl Boyer: «si sentiva soltanto il graffiare della penna del Venerabile Beda (637 circa - 735) che in Inghilterra scriveva intorno alla matematica necessaria al calendario ecclesiastico o alla rappresentazione dei numeri per mezzo delle dita».  Insomma, la storia dello zero, quella pericolosa, inizia quando l'asse culturale del pianeta si trovava in Oriente.  E l'Occidente viveva i suoi Secoli Bui.


In questo periodo gli indiani iniziano a rivedere i metodi hindu per scrivere i numeri, anche con parole e simboli.  Si tratta di una revisione profonda, che riguarda gli stessi fondamenti della matematica. In particolare gli indiani recuperano un simbolo che rappresenta l'assenza dei numeri, inventato qualche migliaio di anni prima era stato


portato sulle rive del Gange da un giovane condottiero macedone, Alessandro detto il Grande, ma che non aveva mai avuto fortuna nella sua patria d'origine, la Grecia.  Questo simbolo non ha (non sembra avere) una funzione profonda, è un semplice operatore.  Lo «zero operatore» posto alla destra di un numero, per esempio 2, lo moltiplica per dieci.  In questo modo il «vero numero», il 2, assume così un valore dieci volte più grande e diventa 20.  Gli indiani, dunque, si impadroniscono dello «zero operatore» e lo usano per oltre un secolo e mezzo. Finché un grande matematico, Mahavira, intuisce che quel simbolo può assumere la dignità e diventare un numero vero, come tutti gli altri.  Lo zero, simbolo 0, è il primo dei numeri ed è pari.  Anche se quello che Mahavira chiama sunya (niente) e che William Shakespeare definirà il «vero zero» ha molte proprietà davvero strane.  Se lo aggiungo a un qualsiasi altro numero, per esempio 2, questi non aumenta: 2 + 0 =2. Anche se lo sottraggo a qualsiasi altro numero, questi non diminuisce: 2 - 0 = 2. Se invece moltiplico un qualsiasi numero per 0, ottengo sempre lo stesso risultato: 0. Anche se divido 2 o 3 o 4 per il nuovo numero, lo zero, sostiene Mahavira ottengo lo stesso e medesimo risultato: 0,


In realtà quest'ultima affermazione non è esatta.  Anzi, è del tutto sbagliata.  Se ne accorge qualche secolo dopo, secondo la ricostruzione riportata dallo storico Morris Kline, un altro grande matematico indiano, Bhaskara.  Se divido 2 per 0 (2/0), la frazione resta immutata qualunque numero io vi aggiunga o vi sottragga.  Quindi il valore della frazione non può essere 0: se aggiungo 2 a 0, infatti, questi non resta invariato ma diventa 2. Se aggiungo 3 diventa 3. E cosi via.  Poiché, la frazione 2/0 resta invariata qualsiasi numero io aggiunga o sottragga, allora il suo valore è pari a infinito.


Ecco, dunque, che sulla penna dei matematici indiani il numero zero produce due grandi prodigi: dà un valore numerico al niente, il «vero zero» è il numero che ben rappresenta il niente, e genera l'infinito.  Nella pratica il «vero zero» funziona.  Perché consente finalmente di introdurre i numeri negativi e di dare solide fondamenta all'aritmetica che permette di contabilizzare i debiti.  Operazione necessaria, nelle sviluppate civiltà mercantili dell'India e dell'Islam.  E, infatti, il nuovo numero inventato dagli indiani viene rapidamente fatto proprio dagli Arabi che lo diffondono in Medio Oriente e in tutta la parte meridionale del bacino mediterraneo. In realtà gli Arabi non si impadroniscono solo della cifra, ma anche dell'idea che sta dietro il numero: 0 rappresenta il niente.  E loro lo ribattezzano, appunto sifr, che come il sunya degli indiani significa, appunto, niente o vuoto.


Portato a Ovest dai taccuini dei mercanti arabi e dai libri dei pronti matematici islamici, verso il XII secolo il nulla ridotto in cifra (e già, perché da noi l'arabo sifr non significa più niente, ma diventa la base etimologica di cifra) o, se volete, la «cifra del niente» bussa finalmente alle porte della dormiente Europa.  E la spaventa.  E già, perché nel continente dove i mercanti scarseggiano e gli intellettuali sono isolati nei monasteri, il niente fa davvero paura.  Minaccia le fondamenta stesse, invero deboli, della cristianità.  Per capire il motivo della strana reazione che l'Europa oppone allo zero occorre fare qualche passo indietro nella storia della cultura occidentale.  E ritornare al tempo della Grecia classica.  Quando i filosofi tendevano a negare l'esistenza del niente.  In realtà anche nella Grecia classica c'erano gli atomisti che al niente credevano, fino ad assurgerlo, insieme a quelle particelle minime e indivisibili che chiamano atomi, a elemento fondante del Tutto.  E, poi, in epoca ellenistica grandi scienziati, come Archimede, si avvicinano molto al concetto matematico di infinito, che del niente è, per certi versi, l'immagine complementare. Il fatto è che i Greci, sia in epoca classica sia in epoca ellenistica, non danno un valore numerico al niente.  Il fatto è che i più grandi tra i loro filosofi, Platone e Aristotele, ne teorizzano la non esistenza.  Se il niente non può esistere, non può esistere neppure un numero che lo rappresenta.  Per una sorta di estremo paradosso, Aristotele giunge a negare la non esistenza del niente nel tentativo di confutare per via logica i paradossi di Zenone, tra cui quello famoso dei pie' veloce Achille che non riesce a superare la tartaruga.  Non solo Aristotele non raggiunge il suo fine, confutare Zenone, ma sarà proprio grazie allo zero e al calcolo infinitesimale che sul concetto di zero e di infinito si fonda, che in epoca moderna il pie' veloce Achille riuscirà finalmente a superare l'invitta e altrimenti invincibile tartaruga.


Ma è ormai tempo di ritornare ai Secoli Bui e allo zero che batte alle porte d'Europa.  Lì, nel nostro continente in crisi, quello del niente era diventato un bel problema.  Già, perché la Bibbia, nella sua Genesi, narra di un Dio che crea il mondo ex nihilo, dal nulla.  La storia non aveva creato problemi agli Ebrei, che non erano disturbati dal concetto di niente e usavano tranquillamente lo zero operazionale dei sumeri.  Ma ne crea subito ai cristiani, che come sappiamo affondano le loro radici nella cultura greca, che nella sua matrice aristotelica nega il nulla e per fondare questa sua negazione propone un Primo Mobile, Dio, come origine del Tutto inteso come Tutto Pieno. E' in questo Primo Mobile aristotelico che  i cristiani credono di trovare il punto di congiunzione tra la cultura greca e la loro religione. Questo tentativo  integrista non è affare da poco.  E la creazione ex nihilo di cui è capace il Dio dei cristiani è uno dei formidabili ostacoli da rimuovere.


Dell'impresa si incaricano in molti.  Tra questi i più grandi uomini di pensiero del cristianesimo: Agostino e Tommaso.  Agostino cerca di risolvere il conflitto sul niente che nasce tra la filosofia di Aristotele e la narrazione della Bibbia, sostenendo che il nulla da cui Dio ha creato il mondo non è il vuoto fisico, che non esiste, ma un vuoto spirituale: l'assenza del divino, cioè il male.  Dio ha creato il bene dal male.  Tommaso preciserà poi che Dio non ha creato il mondo dal nulla, ma attraverso la progressiva eliminazione del nulla, cioè del male.  Insomma nella interpretazione scolastica del mondo, la cifra del niente è una cifra puramente spirituale e non può essere ridotta a una cifra numerica.


Ecco, dunque, che quando sbarca in Sicilia e in Spagna come rappresentazione numerica del niente, i cristiani d'Europa temono un nuovo e mortale attacco alla loro civiltà.  E innalzano enormi barriere culturali nel tentativo di arginare la logica irresistibile di quell'idea.  Idea astratta di matematici, che ha il grave difetto di funzionare nella oltremodo pratica contabilità dei mercanti.  Arginarne l'impeto non è impresa facile.  Ci tenta Leonardo Pisano, che nel XIII mostra di apprezzare la ragion pratica di quel numero ma cerca di svuotarla della sua ragion critica.  Per questo ribattezza il sift arabo nel latino zephirum (da cui zero), per cercare di separare il numero 0 dal significato eversivo di niente.  L'opposizione all'idea di zero si protrasse per secoli, fino al Rinascimento, coinvolgendo in una disputa logica sul significato di niente intellettuali come Pico della Mirandola e Marsilio Ficino.  Ma, lentamente, prima il comodo numero poi la pericolosa idea sono stati assorbiti anche nella coriacea Europa.  Fino a quando nel XVII secolo la «cifra del niente» non è diventata la base di quel calcolo infinitesimale che, da Newton e da Leibniz in poi, è lo strumento con cui si è realizzata la matematizzazione della fisica.  Fondamento, a sua volta, dell'intera impresa scientifica contemporanea.


Lo zero come rappresentazione numerica del niente si è presa la sua definitiva e clamorosa rivincita.  C'è tuttavia da rilevare che ancora oggi, la fisica, ormai quantistica, ha difficoltà a concepire la realtà, fisica, del nulla.  E quando parla del vuoto, anche se lo descrive con uno zero, preferisce parlare di un niente potenziale, pieno zeppo di materia ed energia virtuali pronti a divenire, come il niente del platonico Plotino, una concreta realtà.  La logica non aborre più lo zero matematico, ma la natura forse continua ad aborrire il niente.


L'Unita'-10 LUGLIO 2002


http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/020710c.htm



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