L'odissea dei ricongiungimenti
Madri e figli divisi dalla povertà
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L'odissea dei ricongiungimenti


Sono migliaia le persone immigrate che non sono ancora riuscite a ricongiungersi con la propria famiglia. Un terzo di queste ha impiegato più di 7 anni per ritrovare l'unione, il 38,5% tra i 4 e i 6 anni; il resto meno di 3 anni. Le associazioni che si dedicano ai problemi di chi è rimasto solo
di GIULIA CERINO

ROMA - Su 421 famiglie immigrate in Italia solo 109 sono completamente ricongiunte. Un terzo di queste ha impiegato più di 7 anni per ritrovare l'unione, il 38,5% tra i 4 e i 6 anni; il resto meno di 3 anni, mentre un'altra piccola percentuale non è mai riuscita a ricongiungere tutti i membri della famiglia, avendo dovuto lasciare, a causa della miseria, i propri figli sparsi qui e là nel mondo. E' questo il risultato dell'inchiesta condotta da due ricercatrici milanesi, Paola Bonizzoni ed Elena Caneva, che hanno raccolto le testimonianze di 422 genitori sbarcati in Italia, scoprendo le diverse dinamiche delle migrazioni familiari.

La maggioranza sono romene. I questionari sono stati sottoposti a 257 donne di 31 paesi diversi, soprattutto latinoamericani (202 persone intervistate) ed est europei (53 persone). In Italia, infatti - stando agli ultimi dati della Caritas 1 disponibili - su oltre un milione e ottocentomila donne straniere, pari quasi alla metà del totate degli immigrati presenti sul territorio nazionale, la maggior parte arriva dalla Romania (quasi trecentomila), dall'Albania (cinquantamila), dal Perù e dall'Equador (cinquantamila circa).

Il risultato della ricerca. E' chiara una cosa: che quando sono le donne a partire per cercare lavoro, verso l'ignoto, la probabilità di ricongiungersi con i propri figli è inferiore a quando sono i padri a farlo. Non solo. Lo shock dovuto al distacco dei piccoli dal calore materno è inoltre di gran lunga superiore al trauma, seppur considerevole, che gli stessi subirebbero qualora fosse il papà ad abbandonare la casa di famiglia per primo. E questo per varie ragioni. Se sono le donne a partire, di solito si tratta di vedove, divorziate o separate. I figli, quindi, sono - il più delle volte - costretti a rimanere con le nonne, per tutto il tempo necessario a far sì che le migranti riescano a raccimolare denaro a sufficienza per finanziare un'eventuale arrivo del o dei discendenti e il loro inserimento nella nuova società.
Quando invece la donna è sposata ma è la prima a partire, il ricongiungimento è comunque spesso lento e complesso. Prima arriva il marito. Se trova lavoro, solo allora, il figlio potrà fare i bagagli per l'Italia, ma solo a patto che, se extracomunitario, abbia già compiuto 18 anni, età che permette di inserirsi nel mondo del lavoro: un passo indispensabile, questo, per aumentare il reddito totale della famiglia.

E c'è di più. Si stima che nel 60% dei casi le donne dirette in Italia che hanno figli a carico trovano lavoro come colf, badanti o babysitter. Tradotto, molte di loro soggiornano in case che non gli appartengono. Una volta raggiunta la madre, quindi, è probabile - salvo eccezioni - che al figlio non sia concesso di alloggiare nella stessa abitazione. Per tutto questo, quando ad emigrare per prima è una donna, la tendenza è ad evitare che gli eredi arrivino in un Paese nel quale nessuno può accoglierli a dovere. Così, "all'aumentare del numero dei figli - spiegano le ricercatrici - aumenta anche la durata della separazione".

I contatti con i propri figli. Per addolcire l'attesa, le mamme "transnazionali" le tentano tutte. Anche grazie al sostegno di numerose associazioni che, in Italia, lavorano per sostenerle. E' il caso di Candelaria 2, un'associazione indipendente che riunisce donne immigrate di tutto il mondo, promuove l'intercultura, l'integrazione e l'empowerment attraverso percorsi di formazione tra "donne del mondo". Lo scopo è creare relazioni d'amicizia e solidarietà tra italiane e straniere, affinché si esprimano e si ascoltino l'un l'altra. Perché in fondo, a prescindere dalla nazionalità, l'essenza delle donne è quasi la stessa in tutto il mondo. Sulla stessa linea si muove anche Reti MIGRAnti 3 nata nel 2009 nell'ambito della pianificazione del Progetto Interculturale MIGRAntes dell'Associazione di Promozione Sociale MIGRAs 4, che, attraverso il progetto Etnos patrocinato dal comune di Roma, ha avuto un'idea: permettere l'integrazione tra le diverse comunità di migranti residenti in Italia o all'estero, offrendogli la possibilità di stabilire contatti, creare cooperazione e partecipazione sfruttando le risorse multimediali della rete internet come strumento di comunicazione, dialogo e solidarietà.

Il ruolo della rete. Le donne possono conoscere persone nuove con cui condividere il proprio sapere, cultura e interessi, contando su altri migranti per facilitare il processo d'integrazione, ottenendo informazioni sulle iniziative culturali, politiche ed educative organizzate sul territorio, cercare partner o soci per promuovere e sviluppare le proprie iniziative, trovare connazionali nello stesso luogo di residenza o in altri paesi. Ma non solo. Dall'indagine delle due ricercatrici milanesi, emerge infatti che le donne - seppur a centinaia di chilometri di distanza - tendono, più degli uomini, alla ricerca di un contatto, almeno telefonico, con i figli. Parlando di scuola, salute, amore o sport. Ecco perché, Etnos ha deciso di sfruttare la rete con un altro scopo: per permettere alle migranti di mantenere - a basso costo - i contatti con il paese d'origine, con i tuoi parenti, amici lontani e con i figli.

Lavoro. Per aiutare le donne a far fruttare i propri impieghi nel settore dell'assistenza e della cura, per fare di un "lavoretto" un vero e proprio business, ci ha pensato Agorà 5 l'associazione trentina gestita da sette donne di nazionalità diverse che per "assicurare l'orientamento sul territorio, mediare i conflitti con i datori di lavoro, promuovere l'imprenditorialità e facilitare l'inserimento nel contesto lavorativo dei figli delle donne immigrate occupate nel settore di assistenza anziani, disabili, bambini e famiglie", organizza corsi di formazione modellati sulle singole esigenze individuali delle lavoratrici, come quello "impariamo a vivere in Trentino", attivato per "permettere alle donne di realizzare progetti lavorativi ambiziosi" o anche solo di trovare lavoretti part-time, per raccimolare denaro, indispensabile per far sì che un giorno sia possibile riabbracciare i proprio figli. Perché anche quando le frontiere reali separano dagli affetti, la mamma, che sia senegalese, albanese o serba, è sempre la mamma. Ed è disposta a tutto per i propri bambini.


http://www.repubblica.it/solidarieta/volontariato/2010/10/22/news/l_odiessea_dei_ricongiungimenti_madri_e_figli_divisi_dalla_povert-8330676/

(22 ottobre 2010)

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