Neri e indios divisi da una legge
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Neri e indios divisi da una legge


 

di Michel Agier e Odile Hoffmann*
Nel dipartimento di Narino, a pochi chilometri dalla frontiera con l'Ecuador, Santa Rosa è l'ultimo dei villaggi che sorgono lungo il fiume Mejicano, prima della densa foresta e delle colline dove gli esseri leggendari sono più numerosi degli umani.

E' il mondo del giaguaro, del serpente e dello zio coniglio, del folletto incantatore e della lucciola dei fiumi, della madre d'agua (madre dell'acqua) e della madre del monte (madre della montagna)... Don Hipolito, un paesano, dice che gli spiriti abbandonano la foresta. Non sono più loro che "spaventano" gli uomini, ma gli esseri umani stessi. Abbattendo la foresta con la sega elettrica, piantando immense distese di palme, è stato soppresso l'habitat degli spiriti e distrutte le riserve dei contadini. Quelli di Santa Rosa hanno terre vicine al villaggio, e come molti nella regione non amano particolarmente la "legge 70". Temono di perdere i diritti sulle proprie terre (anche se spesso non hanno nessun titolo di proprietà individuale), il diritto di offrirla o di farne diventare eredi i loro discendenti, e soprattutto il diritto di venderla in caso di difficoltà.




Votata nel 1993, le legge delle "negritudini" (o legge 70) è una delle applicazioni di un principio inscritto nella Costituzione del 1991 (articolo 7), che riconosce il carattere "multietnico" della nazione colombiana, e si propone di tradurre questa diversità in termini territorali, politici e di istruzione. La legge 70 prevede l'attribuzione di titoli di "proprietà collettiva" alle popolazioni nere che non possiedono titoli di proprietà fondiaria legali. La legge riguarda il "gruppo etnico" delle "comunità nere", "l'insieme delle famiglie di ascendenza afro-colombiana che possiedono una propria cultura, condividono una storia e hanno proprie tradizioni e costumi (...), che mostrano e conservano una coscienza dell'identità che li distingue dagli altri gruppi etnici" (articolo 2, paragrafo 5).
Questa legge è geograficamente circoscritta alle terre basse della costa del Pacifico, una zona di fiumi e foreste tra i 100 e i 150 chilometri di larghezza per circa 800 chilometri di lunghezza, che ricopre quattro dipartimenti (Choco, Valle del Cauca, Cauca, Narino), che si estende dalla frontiera di Panama fino a quella dell'Ecuador. La popolazione rurale della zona è valutata a più di 550mila persone (un numero equivalente si trova in zona urbana, ma questa legge non li riguarda). Secondo le stime del dipartimento nazionale di statistica (Dnp), nel 1992 i neri rappresentavano il 90% della popolazione della regione del Pacifico, mentre gli indios (gruppi Embera principalmente e Awa a sud) e i bianchi (negozianti di origine straniera arrivati all'inizio del secolo, funzionari e commercianti venuti dalle zone andine) si dividono il rimanente 10%. Questi dati non indicano la parte rappresentata dalla popolazione meticcia, presente in tutta la regione.

Alla riscoperta delle terre "pacifiche" La regione del Pacifico in quanto tale, a lungo marginalizzata, luogo di tutti i record nazionali per quello che riguarda la povertà, la mancanza di infrastrutture o la mortalità infantile, non esiste sul piano amministrativo, ma da una quindicina di anni è oggetto sia di una scoperta di ordine politico e intellettuale, che di interventi internazionali di aiuto umanitario, per la protezione della "biodiversità" e per lo "sviluppo durevole". E' in questo contesto di internazionalizzazione dello sguardo e di intervento nella regione che si situa la legge delle negritudini (1).




Su scala nazionale, 23 titoli di proprietà collettiva sono stati finora consegnati ufficialmente alle popolazioni interessate (il più importante, nel dipartimento del Choco, riguarda un solo territorio di 700mila ettari e raggruppa 50mila contadini). Nel solo dipartimento di Narino, sono in preparazione una ventina di titoli di proprietà. Ma la moltiplicazione dei conflitti tra indios e neri nel Choco e nel Cauca, tra imprese agro-industriali e comunità nere nel Choco e nel Narino, e più recentemente l'assassinio del rappresentante legale di un territorio in corso di costituzione nel Narino, sono la spia di un'inquietante crescita della violenza.

Con la legge 70, lo stato invita esplicitamente le popolazioni riunite da vaghi riferimenti di identità colore della pelle (neri), luogo di abitazione (Pacifico) e "tradizioni e costumi" (afro-colombiani) a costituirsi in "comunità" e a creare dei propri governi locali. Questi governi assumono la forma legale di consigli comunitari istanze peraltro inesistenti nella "tradizione" afro-colombiana con il compito di elaborare i regolamenti interni delle comunità territoriali, secondo "i mandati costituzionali e legali e quelli che vengono assegnati loro dal sistema di diritto proprio a ciascuna comunità" (decreto 1745 del 1995, di regolamentazione della legge 70).

Lo stato in questo modo rinvia la realizzazione del contratto sociale su una parte del suo territorio a una confusa tradizione etnica oggetto di polemiche che presuppone l'esistenza di modi specifici e comunitari di occupazione, di uso e di gestione delle terre. Questo intervento pubblico si fonda sul modello delle riserve indigene, a sua volta frutto delle politiche coloniali di marginalizzazione delle popolazioni locali (2).




Trae egualmente ispirazione dalla nuova retorica che, nelle istanze internazionali di cooperazione e di finanziamento, propugna uno sviluppo a carattere liberista (meno stato) e neo-comunitarista (sostegno alle iniziative e identità microlocali). Ma, sul campo, alcuni contadini non sono in grado di far applicare questa legge, altri mancano di informazione o di possibilità di critica.
Infatti, presa alla lettera, la legge 70 potrebbe permettere il riconoscimento dei diritti fondiari individuali acquisiti, integrandoli all'interno di insiemi protetti collettivamente. Ma la redazione del testo è confusa: un buon avvocato troverà senza difficoltà molteplici interpretazioni possibili. Inoltre, alcuni discorsi sono meno rassicuranti. L'approccio molto politico che sovente ignora le realtà locali a favore del recupero delle terre ancestrali, inquieta i contadini. In ultimo, è possibile temere un'applicazione deviata e gli abusi di potere, poiché ogni operazione fondiaria è sottoposta al particolare regolamento di ciascun consiglio comunitario.

Sono così apparse opposizioni sempre più aperte, mettendo di fronte uno all'altro contadini che si sentono minacciati nel poco che hanno già (terre sulle quali possono cacciare, coltivare qualcosa per il loro sostentamento, un po' di cacao e di cocco per la vendita) e giovani cittadini scolarizzati, la cui ideologia etnica viene incoraggiata dalla nuova legislazione.

Grazie ad essa trovano nei testi di applicazione della legge la legittimità per occupare funzioni di coordinamento, federazione, consulenza, per aiutare in linea di massima la formazione dei consigli comunitari, tutte funzioni che non vogliono poi abbandonare una volta svolto il ruolo richiesto.
Un conflitto etnico per il controllo del territorio A sette ore di marcia da Santa Rosa, dopo aver attraversato vari ponti di legno, interminabili tronchi d'albero abbattuti sul sentiero e cinque colline fangose, si trova la casa di Rafael, un indigeno Awa. Suo padre e suo suocero, insediati non lontano, sono arrivati lì una trentina di anni fa, dopo aver abbandonato una riserva indiana situata un po' più a sud. Le loro sono le tre sole case in questa porzione di foresta. Numerose terre della regione sono così occupate da indios insediati fuori dai resguardos (le "riserve" indigene). Sono occupazioni individualizzate, in genere recenti (una o due generazioni), frutto di accordi puntuali tra famiglie indios e villaggi neri per quello che riguarda la vendita e l'uso delle terre, con o senza titolo legale di proprietà (3).




Gli indios, minoritari e debitori nei confronti dei loro compadres neri nel contesto locale, su scala nazionale hanno un vantaggio importante sul piano dell'ideologia e della legislazione etnica. I neri dicono allora che "la legge è dalla parte degli indios". Un indio che rivendica un diritto territoriale in un'istanza nazionale, anche se quella determinata terra è poco ancestrale e poco autoctona, avrà tutte le possibilità di ottenere quello che non riesce ad avere nei rapporti di forza locali. Di questo si lamenta Don Pedro, contadino nero della regione, in conflitto con altri indios Awa. E' fermamente impegnato in un movimento che mira al titolo di proprietà collettivo di una terra di 1500 ettari, situata due fiumi più a sud, che lui e i suoi amici hanno battezzato "sipario verso Nelson Mandela". Il loro movimento è iniziato a metà degli anni '70, quando di fronte all'estensione delle imprese agro-industriali per la produzione dell'olio di palma in quelle che consideravano le loro terre (ma senza averne il titolo legale di proprietà) invasero a loro volta una terra vergine, qualche chilometro più in là nella foresta. Adesso cercano di ottenerne la legalizzazione grazie alla legge delle negritudini, e perciò i non-neri del movimento (una piccola minoranza di bianchi e meticci) hanno dovuto abbandonare il progetto. L'arrivo recente di indios Awa sulla terra che loro avevano individuato, ha provocato dei conflitti (sei case bruciate, in particolare), seguiti da difficili negoziati con gli avvocati e i rappresentanti etnici degli Awa venuti da Bogotà. Poiché la prospettiva di ottenere un titolo di proprietà si allontanava, i soci hanno smobilitato e Don Pedro, il loro dirigente, comincia ad aver paura. In effetti, al pari di questa associazione, alcuni gruppi di abitanti dei villaggi approfittano della legge delle negritudini per cercare di recuperare terre vendute di forza, oppure confiscate dopo gli anni '50 dalle grandi imprese di allevamento, dai produttori di olio di palma o dagli allevamenti di gamberetti.




Le tensioni maggiori sono apparse in questo contesto. "Terre ancestrali" per i contadini e i militanti neri, alcune terre vengono sfruttate, a volte senza titolo di proprietà, dagli agro- industriali. In mancanza di una forza pubblica neutra, che controlli in modo fermo e durevole i necessari negoziati, i rapporti di forza sul campo tra i rappresentanti del capitalismo agro-industriale (in genere originari della regione di Cali) e i contadini senza terra, sono squilibrati. Nel sud del paese, il dirigente di un consiglio comunitario del fiume Mira, Francisco Hurtado, è stato ucciso nel febbraio del 1998. Stava censendo le terre e le famiglie che avrebbero dovuto insediarsi nel futuro territorio collettivo che lui rappresentava, limitrofo ai palmeti industriali.

Tre situazioni principali di conflitto appaiono nell'applicazione della legge 70: conflitto interno al mondo contadino di ascendenza afro-colombiana; conflitto tra neri e indios; conflitto tra contadini spoliati e agro-industriali. Due altri protagonisti rimangono sullo sfondo. Da un lato, la guerriglia avrebbe lasciato intendere che non sarebbe intervenuta se gli interessi delle popolazioni contadine fossero stati rispettati. Dall'altra parte, i narcotrafficanti, presenti sul posto, ma meno interessati al possesso delle terre che al controllo dei territori utilizzati parzialmente a fini illegali. Anche se si trova sempre qualche abitante del villaggio pronto a lavorare con i trafficanti, è proprio di questi "stranieri" che hanno maggiore timore i contadini, poiché non sanno, per il momento, come reagire di fronte alla violazione delle loro terre, se non aspettando la partenza degli intrusi. In mancanza di solidi sostegni per affrontare questo tipo di violenza, affermano, non potranno fare nulla per liberare il territorio collettivo a cui, secondo quanto è stato loro detto, avevano diritto.




E' facile prevedere nel futuro immediato una crescita della violenza, man mano che la legge 70 verrà applicata. Una revisione della legge è quindi urgente, tanto quanto lo stanziamento di finanziamenti consistenti per renderla applicabile. Con la frettolosa adozione nel 1993 di una legge di stampo etnicista, l'intenzione del governo era forse di lasciare ad alcuni contadini senza mezzi il compito di risolvere, in micro-conflitti violenti ma poco mediatizzati, la questione cruciale del controllo del territorio, mentre lo stato si sarebbe accontentato di creare spazi dotati di una propria legalità? Questo comunitarismo, sostenuto dalle reti e dalle agenzie di sviluppo su scala mondiale, mostra da sé i propri limiti e rischi.

I disaccordi in seno alla popolazione interessata sono numerosi e profondi (nozioni di appartenenza collettiva, uso dello spazio, organizzazione del lavoro, rapporti inter-etnici ecc.).
Rivelano la fragilità delle ideologie identitarie, dei presupposti culturalisti e dell'apriori del particolarismo etnico. Quando queste ideologie, dotate di potere politico o di esistenza giuridica, rendono più fragili le popolazioni e le spingono, impotenti, verso un nuovo fronte della violenza, c'è materia per rimettere in causa la deresponsabilizzazione dello stato nel controllo dei conflitti e dei territori, e per incitarlo ad impegnarsi in una vera riforma agraria nazionale, senza discriminazione (né negativa né positiva) razziale, etnica o regionale.




note:

* Rispettivemente antropologo e geografa dell'Istituto di ricerca per lo sviluppo (Ird) all'università del Valle, Cali.
Michel Agier è stato il curatore dell'opera collettanea Anthropologues en danger. L'engagement sur le terrain, Parigi, Jean-Michel Place, 1997.

(1) Cfr. Pablo Leyva, a cura di, Colombia Pacifico, Santafé de Bogotà, Proyecto Biopacifico/Fondo FEN, 1993; Arturo Escobar e Alvaro Pedrosa, a cura di, Pacifico: desarrollo o diversidad? Estado, capital y movimientos sociales en el Pacifico colombiano, Cerec, Bogotà, 1996.

(2) Cfr. Peter Wade, "Identités noires, identitités indiennes en Colombie", Cahiers des Amériques latines, n.17, Parigi, Iheal, 1994, pp.125-140; sulla nuova politica delle riserve indigene dopo la Costituzione del 1991, cfr. Christian Gros, "Un ajustement à visage indien", in J.-M. Blanquer e Christian Gros, (a cura di), La Colombie à l'aube du troisième millénaire, Editions de l'Iheal, Parigi, 1996, pp.249-275.

(3) Gli scambi sociali e simbolici tra indios Embera e neri nel Choco di recente sono stati oggetto di una ricerca pionieristica sull'argomento (cfr. Anne-Marie Losonczy, Les Saints et la Fôret, L'Harmattan, Parigi, 1997).
(Traduzione di A.M.M.)


http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Febbraio-1999/9902lm14.02.html


vedi anche:
http://www.etniasdecolombia.org/



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