Estate a Milano - In piazzale Maciachini, punto d'incontro della città multietnica
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In piazzale Maciachini, punto d'incontro della città multietnica


Tra Stelvio e Jenner un quartiere che non ha paura degli stranieri. Loro sono rimasti nel quartiere e lo animano con la loro presenza

di Davide Carlucci


All'inizio sembrano deserti, i giardinetti di piazzale Segrino. Arrivando da via Thaon di Revel, oltre le aiuole si nota solo una vasta adunata di piccioni: occupano le panchine lasciate vuote dai soliti vecchietti. Dietro un cespuglio, però, si scopre un giovane clochard di colore che dorme il sonno benedetto del pomeriggio.

E in fondo, seduta sola, c'è un'anziana ingobbita, Giuseppina, 82 anni e origini liguri, minuta ma per nulla impaurita: «E ci mancherebbe che anche in pieno giorno si debba aver paura». Poi arrivano due ragazze indiane, una ha con sé un violino.

E prende posto anche un uomo con un cappellino, latinoamericano. Si chiama Ivan Pereda Morales, ha 48 anni, viene dal Perù. Lavora in un'impresa di pulizie e legge Sandro Veronesi, "La forza del passato". «Non ce la facevo a leggere in casa, troppo caldo». È arrivato al punto in cui la moglie del protagonista confessa di averlo tradito. Divora letteratura, il signor Morales: ha appena terminato Tolstoi e Hugo. A casa possiede tutta la collezione dei libri di Travaglio — «è un tipo di giornalista in via di estinzione» — e ammira tanto Oliviero Beha. Dice che l'Italia è la sua seconda vita, la prima è stata in Perù, dove sarà anche la terza. «Ma non chiedetemi quando, troppo difficile come domanda».

È un'altra Milano, insospettabile — così lontana dagli stereotipi sugli stranieri e sui timori che essi dovrebbero infondere — quella che si ritrova intorno a piazzale Maciachini quando la massa è in vacanza. Come se quelli che non sono partiti fossero un'umanità selezionata. O come se essere pochi, in città, di per sé rendesse migliori.

Un giocoliere, Lucio Zurlo, si dispiace per il trasferimento dalla moschea di viale Jenner, «che poi era solo un garage». Una coppia di anziani in bici, Sergio e Giovanna, che non si sente a disagio a parco Livigno con tutti quei marocchini: «La paura e l'insicurezza ce la stanno mettendo addosso loro, gente come La Russa».



Eppure Deborah Caloiero, parrucchiera per il negozio Hc, in via Farini, vede dai suoi occhi verdi incorniciati da capelli rossi «la fame e la tristezza, i lupi e gli orsi polari», modi fantasiosi per dire il deserto urbano di Ferragosto popolato solo da «cinesi e indiani», da cui fuggire solo al Leoncavallo o all'Alcatraz. E Gianna, da un palazzo di via Butti, vede uscire solo «prostitute cinesi».

Ma sono gli stranieri a salvare questo angolo di Milano dalla morte civile estiva. O gli impiegati di banca che pranzano in pizzeria, l'unica rimasta aperta in zona. O i consulenti aziendali come Antonio Cosmacini, che lavora per una ditta farmaceutica e trova viale Stelvio molto più vivo del suo quartiere, Città studi.

I residenti sono orgogliosi della loro solitudine: Armando Colombo, pensionato, è contento delle sue passeggiate pensierose fino al Duomo. Vorrebbe solo meno sporcizia, la imputa agli extracomunitari.

Sporcheranno pure, ma sono loro a tener vivo il quartiere e per capirlo bisogna guardare il mondo da un'edicola. Anzi, da due. Quella di Angelo Gatti, all'angolo tra viale Stelvio e via Farini, che assicura che nulla è cambiato dal resto dell'anno perché tanto ci sono sempre loro, gli stranieri: «Non comprano giornali ma schede telefoniche e biglietti della metropolitana sì. E questo mi basta». Per Maurizio Pergetti, invece, è il primo agosto da edicolante, in piazza della Fontana: i suoi clienti sono tutti in ferie, «hanno cominciato a partire in maggio». Non rimpiange il suo passato da operaio a Trezzano, «mi ero stancato di essere preso in giro». Ma trascorrere la prima metà d'agosto in città, «un'imposizione del Comune», non gli è sembrato un grande affare. «L'anno prossimo farò tesoro di quest'esperienza».

Di fronte alla sua nuova avventura imprenditoriale c'è da un lato un palazzo abitato da viados e dall'altro una chiesa. I transessuali tornano alle prime ore del mattino, quando lui taglia lo spago ai quotidiani appena arrivati. I fedeli, invece, si materializzano la domenica mattina per comprare il giornale dopo la messa. Ora, però, la chiesa è quanto mai vuota. «Qui sitit veniat ad aquas», chi ha sete venga a bere, è scritto sul portone del santuario di Santa Maria alla Fontana, che nel 2007 ha compiuto 500 anni. Ma un cartello all'interno avverte che «oasi di incontri chiude oggi 27 giugno e riapre il primo settembre».


Anche la segreteria dell'archivio parrocchiale è chiusa per tutto agosto. E al citofono un giovane sacerdote appena arrivato avvisa che il parroco tornerà dopo Ferragosto (mentre il vicario è in Terrasanta con alcuni parrocchiani) e che non resta che don Giorgio, il prete residente, una specie di pensionato del culto da utilizzare come riserva in giorni come questi. Ma, conoscendolo, sembra che nessuno meglio di questo prete anziano e riflessivo, un po' cagionevole, possa far compagnia a chi vive agosto come la peggiore delle solitudini. «Ho una trentina di persone qui nel quartiere: ammalati, vecchi, inabili. Li vado a trovare e parlo un po' con loro. Poi se vogliono, faccio loro la comunione. Altrimenti va bene anche così».

E dove va Faical, poliomelitico tunisino, se non nella moschea di viale Jenner? «Lì ci prego, dal kebab mi lasciano mangiare gratis». A Ferragosto, però, andrà a pregare al Palasharp: «Sarà il primo anno». La signora Lina Cavalli da San Severo, 82 anni, ha sposato un avvocato egiziano, ma non è tanto di Allah o del Padreterno che parla bene. La grazia gliel'ha fatta un cinese, Mei Rong Ping, quando ha comprato, quattro mesi fa, l'Happy one, il bar sotto casa sua: «In appartamento non riesco a stare e vengo qui da loro. Sua moglie, Giulia, è un amore, mi tiene compagnia. Sono così braaavi…» . E se li abbraccia.


(13 agosto 2008)

 



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