Realtà e rappresentazione nella psicologia cognitiva. Alcuni spunti di riflessione - di Fiorangela Oneroso
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Fiorangela Oneroso


Realtà e rappresentazione nella psicologia cognitiva. Alcuni spunti di riflessione

Ad osservare le importanti trasformazioni in atto nella psicologia sociale europea di questi ultimi anni, l'aspetto che appare emergente è il modo in cui viene considerato al suo interno il rapporto tra soggetto e realtà.

Dalla prospettiva costruttivista-interazionista, così ben descritta nelle sue linee evolutive da Ugazio nel saggio introduttivo al volume La costruzione della conoscenza[1], la realtà viene assunta come una costruzione dell'individuo, una costruzione mediata, però, se così può dirsi, da schemi e processi di elaborazione dell'esperienza, dai quali, tuttavia, non possono ritenersi estranee né le condizioni socio-culturali dell'esistenza, né le implicazioni di carattere emotivo in esse contenute.

Ne consegue che ogni manifestazione della conoscenza umana non può essere intesa se non come esito di un processo altamente complesso, che riflette sia la estrema articolazione del reale sia la estrema complessità psicofisica dei processi mentali. Un processo nel quale, soprattutto dal punto di vista della teoria cognitiva, più aperta, sulla scia di Neisser, all'interazione costruttiva tra soggetto e realtà, convergono in varia misura, e a diversi livelli, più aspetti dell'esperienza, mentale, fisiologica, situazionale, culturale ecc.

Credo allora che sia questa l'esigenza di fondo che muove gli studiosi europei impegnati ad affrancarsi dalla prospettiva (puramente) cognitivista di matrice statunitense, e tentare una integrazione tra il costruttivismo e l'interazionismo. Si tratta di un tentativo che trova la sua più ricca espressione nella teoria delle rappresentazioni sociali. Ciò che emerge è l'esigenza di reintegrare l'oggetto di studio, e le procedure metodologiche, all'interno di un quadro teorico di riferimento più ampio possibile, adatto a cogliere i molteplici aspetti dell'esperienza della conoscenza sociale quale appare nelle recenti prospettive, più ricche e complesse rispetto alle ricerche tradizionali sugli atteggiamenti e credenze, e che la posizione costruttivista-interazionista consente di intravedere.

Da questa angolazione, sembrano potersi individuare, come componenti di questo processo, non solo nuclei di stabilità, ossia invarianti delle procedure mentali di elaborazione dei dati dell'esperienza, che costituiscono il solido ma pressocché esclusivo fondamento delle ricerche del cognitivismo "puro", lo human information processing, ma anche elementi variabili e fluttuanti, forse di più difficile ricognizione. Elementi che la prospettiva costruttivista-interazionista non tralascia di mettere in gioco. Mi sembra opportuno, perciò, alla luce di questo nuovo e più ricco modo di intendere la costruzione della realtà, interrogarsi sul carattere del rapporto tra realtà interna e realtà esterna, e sulle componenti che intervengono nei processi di costruzione-ricostruzione dell'una rispetto all'altra. Se si accetta la riflessione di Amerio circa il fatto che "la rappresentazione di un evento non è mai una sua copia, ma una sua ricostruzione a cui partecipano sia le caratteristiche dell'oggetto, fatto o evento, sia quelle del processo mentale"[2], si può allora dire, che una rappresentazione costituisce sempre uno scarto rispetto alla realtà, e che per questo motivo rientra nella categoria delle produzioni di senso. In ogni caso, parlare di rappresentazione significa evidenziare la assoluta mancanza di rapporto immediato o sovrapponibile tra realtà interna e realtà esterna, con tutte le problematiche inerenti tali definizioni.

Molto opportuno e adeguato perciò, mi pare lo spostamento dell'attenzione, avvenuto in questi ultimi anni, dalle "rappresentazioni" intese come "dato compiuto", al "processo" grazie al quale la "costruzione" delle rappresentazioni sociali può realizzarsi. Così che l'oggetto di indagine non sia più il dato compiuto ma quello processuale, vale a dire l'insieme complesso di eventi e procedimenti mentali che conducono individui e gruppi a rappresentarsi la realtà sociale, o meglio, di volta in volta parti di essa. Ne consegue la mediazione di schemi e sviluppi che costituiscono le invarianti dei processi di costruzione della mente e che consentono la semplificazione e l'organizzazione delle conoscenze, attraverso influenze di carattere situazionale, sociale, culturale, in un senso, certo, ancora da definire. Per di più, questo tipo di approccio all'oggetto di studio non può ritenere secondari gli esiti e gli effetti di questo processo: sulla realtà sociale da un lato e sul mondo cognitivo dall'altra, per il rapporto che intercorre tra realtà interna e realtà esterna, giacché tali modificazioni influenzano, trasformandoli, i contesti informativi nei quali i soggetti vivono e ai cui stimoli sono esposti. In altri termini entrano di diritto, come componenti sostanziali dell'oggetto di studio, ossia le rappresentazioni, i processi di influenza reciproca della dimensione individuale o di gruppo su quella sociale, e viceversa. Un aspetto, questo, che consente di cogliere la struttura fortemente articolata, e perciò stesso molto complessa, del rapporto tra individui, gruppi e società, ma che consente altresì di riscontrare nei processi di influenza una delle matrici dei cambiamenti e delle trasformazioni individuali e sociali.

Talune linee programmatiche emerse dalla ricerca in questi ultimi anni[3] offrono perciò, a mio avviso, l'opportunità di individuare alcuni nuclei di discussione intorno ai quali vorrei centrare l'attenzione, e che sono:

1) La dimensione linguistico-simbolica che, in quanto interna e costitutiva della teoria delle rappresentazioni sociali, impone una riflessione di carattere teorico metodologico sul linguaggio e sulle produzioni discorsive.

2) La riproposizione problematica del paradigma causalistico nelle scienze psicologico-sociali e lo stato della sua applicazione nelle teorie e nei modelli che la nuova prospettiva propone.

3) Il problema del sociale inteso come nucleo problematico fondamentale nei procedimenti di ricerca e nelle elaborazioni delle teorie che fanno capo al costruttivismo-interazionismo.

Per quanto riguarda il primo punto, ossia la centralità da attribuire alla dimensione linguistico-simbolica, è proprio Moscovici a sollecitare una riflessione sulla funzione del linguaggio, funzione che appare oggi cambiata, giacché, egli dice, "esso è ora esclusivamente connesso con le forme di organizzazione e comunicazione della conoscenza proprie della vita quotidiana"[4].

In quanto analisi delle produzioni discorsive, nel senso oramai storico ad esse assegnato da Moscovici, o in quello che ne costituisce un felice approfondimento, come ad es. per Le Bouedec[5], le rappresentazioni sociali sono completamente immerse, più o meno intensamente, a seconda del ruolo più o meno grande ad esso assegnato nei dispositivi di ricerca, nelle problematiche inerenti il campo del linguaggio.

Mi sembra perciò ancora molto attuale, e forse in parte realizzabile, l'auspicio di Saussure che "la scienza che studia la vita dei segni (linguistica generale) nel contesto della esperienza sociale, possa formare una parte della psicologia sociale e della psicologia generale"[6]. Un auspicio che sembra trovare conferma nel clima storico di questi ultimi anni in cui il concetto stesso di linguaggio all'interno della psicologia è venuto arricchendosi di nuove connotazioni che lo rendono più aperto alle connessioni con il sociale e le sue diverse articolazioni. Se spetta certamente a Piaget[7] il merito di aver colto nella distinzione operata da Saussure tra processo diacronico della lingua e "sistema", l'avvio dello strutturalismo propriamente linguistico, è anche vero che successivamente si è aperta la problematica implicita all'intero metodo strutturalistico che, nel privilegiare l'analisi del sistema linguistico come struttura, si trova poi a dover ricomporre queste analisi con la considerazione del linguaggio come "processo" e cioè a risolvere i problemi relativi all'opposizione tra carattere sistematico (predeterminato) e creativo (produttivo), del linguaggio.

In realtà proprio all'interno dello stesso sistema teorico strutturalistico non sono mancati propositi tendenti a rivalutare fattori processuali e diacronici. Non so se può essere utile ricordare qui il grosso contributo apportato alla linguistica da Jacobson, che ha teso a rendere meno rigida l'autonomia della struttura e delle sue leggi interpretando il soggetto parlante come capace di incidere sulla struttura stessa, in quanto soggetto che gode della possibilità di compiere scelte funzionali e non costituisce, quindi, una parte passiva del campo di forze in cui si compiono gli eventi linguistici. Per Jacobson, infatti, tra diacronia e sincronia si stabilisce in ogni caso una relazione dialettica. E' possibile comprendere la struttura, egli dice, come si da nel presente, solo nel processo funzionale di strutturazione, riferibile alle esigenze del parlante. Ogni struttura, cioè, anche sincronica, va esaminata dinamicamente nel suo costituirsi, in quanto esiste una possibilità combinatoria degli elementi della struttura anche se questa conserva una sua peculiarità. L'atto linguistico, egli afferma, implica la selezione di certe entità linguistiche e la loro combinazione in unità maggiormente complesse[8]. Non diversamente Bachtin nell'affrontare la natura sociale dei fenomeni linguistici, ne indicava il significato di messaggio, ma solo se questo si inserisce nel contesto dell'emittente, del ricevente e dell'ambito situazionale, e viene inteso perciò come un "processo", come un intreccio di relazioni "in cui è sempre compresa una relazione sociale anche quando esso è un segno naturale"[9].

La lingua dunque, non può tagliar fuori la realtà, né escludere l'esperienza della relazione dal momento che, dice Bachtin, il linguaggio verbale risulta essere lo strumento attraverso il quale si costruiscono le esperienze stesse, i processi mentali interni, intesi anch'essi come processi sociali proprio perché i segni della mediazione sono di natura sociale. In quanto prodotto della socializzazione, la parola può essere interpretata come uno "scenario" nel quale si rappresenta il processo di socializzazione che la produce. Di qui, a mio avviso, l'attualità del dibattito sulla lingua che ha impegnato gli studiosi degli anni venti, e la sua importanza nel campo delle rappresentazioni sociali.

Riletto in questi termini, l'orientamento emerso in questi ultimi anni in campo cognitivista, volto a dare importanza non al dato compiuto ma alla processualità delle rappresentazioni sociali, può essere inteso come una esigenza di conciliare stato e processo, di connettere insieme dimensione sincronica e diacronica; in altri termini di ampliare lo statuto teorico cognitivista e adeguarlo alle esigenze emerse dal più recente tentativo di raccordare la prospettiva costruttivista con quella interazionista, tentativo così ben esplicitato da Ugazio nel saggio introduttivo al volume da lei curato, La costruzione della conoscenza[10].

Un secondo punto mi sembra che possa riguardare il problema della causalità. Se nelle proposte teoriche e metodologiche di Moscovici, come sembra, entra in gioco "il rapporto tra la struttura dei diversi sistemi simbolici di comunicazione che esprimono contenuti diversi e sistemi cognitivi individuali e a loro volta diversi che predispongono all'azione in modo diversificato", ciò significa che il rapporto tra i vari sistemi di comunicazione e le forme disparate che le rappresentazioni sociali possono assumere, costituisce un esempio delle possibili articolazioni tra dinamiche sociali e organizzazioni cognitive individuali. Appare chiaro da queste considerazioni che il concetto polisemico delle rappresentazioni sociali rinvia ad un problema di rapporti tra cause ed effetti nella spiegazione della genesi e processo della loro costituzione. Del resto, se Moscovici dice specificamente, nel paragrafo sulla causalizzazione, nel suo saggio contenuto nel volume La costruzione della conoscenza, che "una teoria della causalità sociale è una rappresentazione"[11], più innanzi non manca d'esprimere le sue riserve per il fatto che gli psicologi sociali tendono a "studiare la teoria della causalità sociale solo a metà, come se nella scienza la relazione tra causa ed effetto potesse essere trovata a prescindere dalla teoria che la illumina"[12]. Ma a quali teorie della causalità occorre allora fare riferimento? In quanto tendenti alla semplificazione e organizzazione delle conoscenze, in quanto procedure cognitive per mettere ordine nel disordine, le rappresentazioni sociali sembrano rinforzare una tendenza alla causalità sulla quale conviene aprire una breve riflessione anche se rimangono ancora irrisolti alcuni interrogativi non certo nuovi nelle scienze psicologiche.

Se infatti la psicologia sociale si conforma al principio di verificazione scientifica, allora deve fornire un attendibile schema di spiegazione causale, e quindi di previsione dei fenomeni, rimanendo in qualche modo ancorata al paradigma causalistico delle scienze in generale, pur dovendo fare i conti con la crisi del principio di causalità unilineare e con la presenza di modelli di causalità multipla e circolare che, come ha avuto modo di dire con lucida chiarezza la Massucco Costa in occasione dell'ormai famoso congresso italo-sovietico di Torino del 1987, si inseriscono "nell'ambito di un orientamento olistico verso fenomeni e processi di alta complessità"[13].

Ne consegue che il rapporto causa-effetto appare oggi, soprattutto alla luce della teoria luhmaniana del funzionalismo sistemico[14], scomponibile in infinite possibilità, giacché ogni causa può produrre numerosi effetti e ogni effetto può essere riconducibile ad una molteplicità di serie causali[15].

Se, invece, la psicologia sociale utilizza procedure valutative, avrà come intento non la spiegazione ma la giustificazione normativa e prescrittiva e il suo procedimento non sarà mai avalutativo. Ne deriva una considerazione problematica: occupandosi, e non potrebbe non farlo, della dimensione linguistico simbolica, essa utilizza tale dimensione sia nell'oggetto di analisi, le produzioni discorsive, sia nel processo interattivo soggetto conoscente - soggetto da conoscere.

Situandosi, pertanto, nel complesso dei fenomeni e delle procedure di valutazione va incontro ai rischi impliciti nelle ricerche in cui vengono utilizzati contemporaneamente modelli e metodologie non sintonici né coerenti tra loro.

Il terzo punto riguarda il concetto di sociale che, in quanto concetto polisemico, appare oggi sottoposto a complesse analisi interpretative alla luce della nozione di complessità che ha dato origine a vivaci dispute tutt'ora in corso tra orientamenti teorici diversi come quelli del funzionalismo sistemico di Luhmann e delle teorie sul "moderno" di Habermas. Profondamente trasformato nel corso di questi ultimi anni il sociale appare legato all'esperienza della sua ipertrofia e della sua complessità. Credo possa essere utile fare un breve cenno ad una distinzione oramai classica[16] circa il sociale inteso o come "sistema", o come "mondo vitale". Nel primo caso la società, priva di capacità di riflessione su se stessa, può solo progettare analiticamente il proprio equilibrio e il proprio mutamento istituzionalizzato. Si iscrivono qui le conquiste dello stato socializzato, ma anche i segni del suo insuccesso, dello scacco del potere organizzativo e di controllo. Nel secondo caso, se interpretato, cioè, come "mondo vitale", il sociale diventa il quotidiano, le relazioni e le comunicazioni continuamente riproposte tra i membri di una società, organizzazione dell'esperienza, ossia "interazioni". Da questo punto di vista, il sociale cui la psicologia sociale può fare riferimento, non è un sociale "generico", ma un sociale "organizzato" le cui caratteristiche appaiono continuamente mutevoli, ma consentono di cogliere di volta in volta le varianti psicologiche di processi molto complessi come le relazioni tra individui e tra gruppi, le motivazioni e gli scopi che possono orientare l'agire sociale. Del resto, le interazioni comunicative cambiano e si trasformano anche in base alla velocità e contraddittorietà delle informazioni. Ne consegue un doppio fenomeno: da un lato, le nuove modalità di trasmissione e fruizione delle conoscenze e del sapere sommergono e destabilizzano i soggetti; dall'altro, la medesima accelerazione dei processi comunicativi, e l'accumulo delle informazioni, riducono i tempi necessari ai soggetti per approntare parametri adeguati ai processi di selezione e organizzazione delle conoscenze sulla base dei nuovi criteri di "rapidità".

Quando si parla di realtà sociale, dunque, occorre anche fare i conti con il fatto che la realtà sociale, linguistica, politica, organizzata, possiede oggi un ineludibile carattere normativo che fa riflettere sulle caratteristiche di chi, di volta in volta, sceglie o stabilisce le norme cui adeguare il proprio agire.

Non ultimo, poi, si apre un interrogativo su un punto ancora oggi contraddittorio, riguardante la conoscibilità del soggetto sociale, o meglio la conoscibilità dei suoi processi di organizzazione della conoscenza della realtà sociale. Appare essere questo il proposito centrale del nuovo corso di ricerche volte ad analizzare lo stato delle conoscenze sul cognitivismo. In realtà l'idea di soggetto come produttore di norme e simbologia sociale, o, se si vuole, costruttore di realtà, deve fare i conti con il suo inverso, con il fatto cioè che nella società post-industriale non siano piuttosto le norme e la simbologia sociale a produrre i soggetti, come vanno sostenendo alcuni studiosi di filosofia politica[17]. Vale a dire se non sia la realtà esterna a produrre un certo tipo di soggetti. Ciò che emerge comunque, come si diceva in apertura, è il grosso scarto che si presenta in modo evidente, e che la ricerca cognitiva non può omettere di prendere in considerazione, tra soggetto e realtà, o, ribaltando il problema, tra realtà e soggetto, per cui quest'ultimo, nelle sue procedure cognitive e nelle sue dinamiche sociali, risulta comunque spiazzato, o eccedente, rispetto al suo riferimento principale, la realtà che costruisce o da cui è costruito. Che non sia forse soprattutto questo scarto un oggetto di analisi nell'ambito dell'odierno cognitivismo, soprattutto nella sua prospettiva costruttivista-interazionista?

 




NOTE

1. UGAZIO V. (a cura di) (1987), La costruzione della conoscenza, Milano.

2. AMERIO P. (1988), "Un punto di vista cognitivo-costruttivistico in psicologia sociale: lineamenti teorici e percorsi di ricerca" in Psicologia oggi: paradigmi e metodi, ricerche e applicazioni, a cura di A. MASSUCCO COSTA e L. PEIRONE, p. 133.

3. Cfr. ad esempio il materiale di lavoro dell'incontro su "Costruttivismo e interazionismo in psicologia sociale" a cura di A. QUADRIO, tenutosi a Milano il 7-8 Aprile 1989.

4. MOSCOVICI S. (1988), "La costruzione della conoscenza come fenomeno collettivo", in La costruzione della conoscenza, a cura di V. UGAZIO, p. 259.

5. LE BOUEDEC G. (1986), "Implicazioni metodologiche degli studi sulle rappresentazioni sociali", in Psicologia e società, I, p. 8-16.

6. DE SAUSSURE F. (trad. it. 1970), Corso di linguistica generale, Bari, p. 26.

7. PIAGET J. (trad. it. 1968), Lo strutturalismo, Milano.

8. JACOBSON R. (trad. it. 1972), Saggi di linguistica generale, Milano.

9. BACHTIN M. (1929; trad. it. 1978 con il nome di Volosinov V. N.) Marxismo e filosofia del linguaggio, Bari, p. 85.

10. UGAZIO V. (1987), cit.

11. MOSCOVICI S., cit., p. 291.

12. Ivi.

13. MASSUCCO COSTA A., PEIRONE L. (1988), "Considerazioni sull'approccio sistemico in psicologia", in Psicologia oggi, paradigmi e metodi, ricerche e applicazioni, cit., p. 44.

14. LUHMANN N. (trad. it. 1979), Potere e complessità sociale, Milano.

15. LUHMANN N. (trad. it. 1978), Stato di diritto e sistema sociale, Napoli.

16. DONOLO C. (1982),"Sociale", Laboratorio politico, I, 103-120.

17. MARRAMAO G. (1983), Potere e secolarizzazione, Roma.


http://users.aliseo.it/angelo.vecchiarelli/realt%C3%A0%20e%20rappresentazione%20nella%20psicologia%20cognitiva_%20alcuni%20spunti%20di%20riflessione.htm



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