Gli arabi e la fisica
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Gli arabi e la fisica



Gli arabi del deserto - beduini senza fissa dimora - solcavano a dorso di cammello spazi infiniti in cui mancavano punti fissi di riferimento. Dalla nascita fino alla morte, l’unico tetto che avevano era quello della volta celeste che si estendeva con una chiarezza e una nitidezza sconvolgente sopra le loro teste . Ecco perché gli arabi, sin dai tempi preislamici, diedero grande importanza alle stelle e ai copri celesti elevandone alcuni al rango di divinità. All’avvento dell’Islam il culto delle stelle e delle meteoriti ebbe fine ma l’importanza pratica dell’osservazione celeste rimase intatta. La verità però è che il particolare interesse della scienza islamica per l’astronomia deriva sopratutto dal suo confronto con le antiche comunità religiose orientali, come i Parti e soprattutto i Sabei dell’antica Mesopotamia, il cui centro principale si trovava nell’Irak settentrionale e che nell’XI secolo confluirono nell’Islam. Il loro culto degli astri, originariamente babilonese, si era trasformato con l’influenza ellenistica in monoteismo. Nonostante ciò, i Sabei conservarono il sapere orientale antico circa il calcolo matematico delle orbite dei pianeti. Questo sapere affascinò gli scienziati islamici proprio perché essi, sotto l’influenza greca, identificarono il Creatore del mondo come un grande matematico e geometra, che teneva tutto in movimento secondo leggi esattamente calcolabili. Nell’ambito delle scienze dell’Islam, in particolar modo delle cosiddette scienze esatte o naturali, erano considerate autorità indiscusse gli antichi scrittori greci: in particolare i filosofi Socrate, Platone e Aristotele, a cui – in un modo o nell’altro - si riferivano tutti gli scienziati. Ma rispetto alla storia della ricezione occidentale che nella scienza araba e persiana vede soprattutto un’opera di conservazione e trasmissione dell’eredità classica, si deve sottolineare l’originalità intellettuale e la maestria con cui gli eruditi e studiosi islamici utilizzarono i testi dell’antichità: l’eredità greca non fu semplicemente copiata e accettata ma rielaborata, completata e ampliata in sintonia con i bisogni della cultura e della religione islamica.


 


E’ oggi difficile valutare le conseguenze dell’incontro – che ebbe luogo soprattutto a Baghdad nel corso del IX secolo – tra il giovane Islam e la scienza e filosofia antiche. I musulmani erano disponibili a integrare tutte le conoscenze del tempo nel loro sistema di pensiero. Questo scambio culturale non si limitò a Baghdad. Nelle province dell’Iran Nord-orientale, nel Khorasan e in Andalusia, all’altro capo del mondo islamico, si svilupparono velocemente scuole locali di filosofia, teologia, scienza del diritto e scienze naturali, che raggiunsero già nel X secolo un’importanza particolare. Successivamente videro la luce scuole scientifiche di maggiore o minore importanza anche nell’Irak settentrionale nonché nelle capitali imperiali (Il Cairo, Istanbul, Samarcanda, Delhi) e in misura più modesta anche a Isfahan e nelle capitali religiose. Il periodo di fioritura della scienza islamica si colloca nell’epoca del Medioevo europeo, tra il IX e il XIII secolo, e in particolare nel periodo aureo del califfato degli Abbasidi, dal IX all’XI secolo. La scienza e l’istruzione avevano un grado di diffusione notevole in molte classi sociali del mondo islamico: i cavalieri islamici, al tempo delle Crociate, sapevano leggere e scrivere, cosa che costituiva un’eccezione tra i loro nemici occidentali. Il sostegno della scienza e dell’arte era soprattutto compito delle corti, da quella dei califfi di Baghdad fino alle residenze dei governatori locali e dei potentati regionali minori. Alcuni sovrani, poco importanti da un punto di vista politico, fecero della corte un significativo centro di scienza e arte: l’esempio più vicino sono i sovrani Taifa della Spagna, nell’XI secolo. Era considerato giusto che i sovrani sostenessero non solo le arti, ma anche le scienze e coloro che vi si dedicavano. Talvolta i sovrano o il ceto dominante, cercavano di imporre determinate idee e comportamenti culturali, ma nella maggior parte dei grandi centri si svilupparono anche posizioni alternative che culminarono a volte in aperti e aspri contrasti.


 


Gli scienziati  arabi analizzarono sistematicamente e con  ricerche metodiche la volta celeste, catalogarono le stelle e fecero osservazioni astronomiche simultanee a Baghdad e a Gundisciapur, controllate tre anni più tardi a Damasco, rimaneggiarono le tavole astronomiche di Tolomeo e diedero origine ad una terminologia scientifica usata ancora oggi (molti termini come alchimia, algebra, alcol, chimica, cifra, calibro, carato, zenit e zero e tanti altri ancora sono stati ripresi nelle lingue europee proprio dall’arabo o dal persiano) sotto il regno di grandi califfi come Al Mansur, Harun Al Rachid, e Al Mamun - fondatore di Bayt Al Hikma (la Casa della saggezza) - ovvero la Grande Università e Biblioteca di Baghdad.  Tutti i più importanti scienziati e filosofi del mondo islamico hanno vissuto almeno per un certo periodo in una di queste corti e hanno ricevuto da questi signori interessati e aperti non solo sostegno materiale ma anche cariche pubbliche, come quella di consiglieri politici.



Manoscritto islamico medievale raffigurante una lezione di medicina: gli allievi circondano il medico mentre applica delle ventose alla schiena del paziente.


 


Uno dei dotti universali più importanti dell’islam fu Ibn Sina (980-1037) di Bukhara, conosciuto in Occidente con il nome di Avicenna. Questi compilò un compendio di tutto il sapere del suo tempo e scrisse testi di filosofia, astronomia, grammatica e poetica. Nella sua opera principale, il libro della guarigione (dell’anima), collega la metafisica e la medicina alla logica, alla fisica e alla matematica. Un contemporaneo di Avicenna, Al-Biruni (973-1048) nel suo libro “Giardini della scienza” mise in stretta correlazione astronomia e filosofia. Il dotto Al Biruni esegui misurazioni della circonferenza della terra molto precise, costrui un grande globo e fece enormi progressi verso la scoperta della rotazione terrestre e della forza di gravità. A quel tempo i fenomeni delle eclissi solari e lunari potevano essere calcolati perfettamente grazie ad una gamma variegata di strumentazione scientifica fra cui figuravano i quadranti murali, azimutali e l’astrolabio. L’astrolabio fu re-interpretato e modificato dagli arabi e mentre i greci conoscevano pochi mezzi per servirsene, gli scienziati arabi ne descrissero circa mille. Ed è proprio nel corso del X secolo che studenti europei portarono in Europa quegli strumenti finemente cesellati spiegandone l’uso e le qualità. Fu solo nel XIV secolo, ossia solo tre secoli più tardi, che si cominciò a produrne in Occidente


 


L’astronomia poi si legò sempre più all’astrologia, e il calcolo delle congiunzioni “favorevoli” si sviluppò in un sapere che dispiegava la sua influenza anche in campo politico. Si sono conservati molti astrolabi e tavole delle costellazioni, redatte da sovrani esperti di astronomia. Il loro massimo rappresentante fu il nipote di Tamerlano, Ulugh Beg (1394 – 1449), residente a Samarcanda che fece costruire nel 1428-29 un enorme osservatorio astronomico con un sestante per calcolare la grandezza del sole e che, con l’aiuto di importanti astronomi, produsse la carta delle costellazioni più precisa di tutto il medioevo. Tutti i filosofi importanti e anche molti sovrani si occuparono di astronomia ed eseguirono calcoli dell’orbita dei pianeti, misurazioni della circonferenza terrestre e previsioni riguardanti il clima e lo stato delle acque, che rispondevano ad esigenze di carattere pratico. È cosi che il Califfo dei Fatimidi Al-Hakim sfruttò le conoscenze dell’astronomo e fisico Ibn Al-Haitham o Alhazen (965 – post 1040), uno studioso di scienze naturali proveniente da Bassora, che dovette calcolare i livelli dell’acqua del Nilo per l’utilizzo agricolo. Alhazen è considerato il più importante fisico del Medioevo e si distinse soprattutto per i suoi lavori di ottica, nei quali descrisse molti fenomeni ottici di particolare importanza, aprendo cosi una nuova via con un contributo interessante e fertile. “Non è un raggio che parte dall’occhio che produce la visione. Al contrario, è l’oggetto visto che invia i suoi raggi attraverso l’occhio, che li assimila a sua volta attraverso il suo corpo trasparente”…scoperta straordinaria considerato che Tolomeo ed Euclide avevano sempre sostenuto che era proprio un raggio lanciato dall’occhio a permettere la percezione visiva degli oggetti. Alhazen aveva approfondito lo studio delle ombre in un trattato intitolato “Sulla natura della proiezione delle ombre” e fu il primo a servirsi di una “camera oscura” cosa che gli forni la prova della traiettoria rettilinea del raggio luminoso e del capovolgimento delle immagini. Alhazen studiò anche la rifrazione della luce nel suo passaggio da un mezzo all’altro, studio che gli permise di calcolare con una sconvolgente precisione l’altezza della troposfera. Applicò le sue conoscenze nella costruzione di strumenti ottici. Studiò e calcolò la riflessione nello specchio concavo del segmento sferico e della sezione conica e scopri le leggi della proiezione luminosa. Studiò il potere calorifico e “magnificante” delle lenti e immaginò il primo paio di occhiali. La sua opera tradotta in latino “Opticae thesaurus” è la base su cui lavorò Leonardo Da Vinci, Kepler e Galileo.


 


Mohamed Ben Mussa invece, noto scienziato all’epoca del Califfo Al Mamun, si era addirittura lanciato nell’impresa del calcolo della circonferenza terrestre. Fece parte di uno dei due gruppi che partirono in direzioni opposte finché il primo non vide la Stella Polare salire sensibilmente e il secondo non la vide abbassarsi dello stesso numero di gradi. Dalla distanza che separava entrambi i gruppi, gli osservatori calcolarono un grado del meridiano con una precisione sconvolgente. Lo stesso Ben Mussa, che si interessava pure alla meteorologia e si dedicava a studi sull’atmosfera, scrisse, in collaborazione con i suoi due fratelli, un’opera sulla misura delle superfici piane e sferiche che Gerardo di Cremona tradusse in latino sotto il nome di “Liber trium fratrum de geometrica”. L’altro fratello di Mohamed, Ahmed, era un noto studioso di meccanica  che ci lasciò un’opera straordinaria: “il libro dei dispositivi ingegnosi” dove, con dovizia di particolari, vengono descritti i procedimenti per trasformare dei vasi in strumenti per calcolare il peso specifico di alcuni liquidi, uno strumento per l’irrigazione che dà l’allarme quando l’acqua raggiunge un determinato livello o una bottiglia da cui si può versare l’acqua e il vino separati o mescolati. I due fratelli combinarono i loro sforzi per la costruzione di un’apparecchiatura meravigliosa per l’epoca. Mentre Mohamed studiava il moto dei corpi celesti, Ahmed adattava i suoi pezzi meccanici ai tempi e ai movimenti descritti del fratello. Quando nell’807 d.C. il Califfo Harun al Rascid inviò un’ambasciata a Carlomagno, tra i regali destinati all’Imperatore c’era  quindi “un orologio frutto di una prodigiosa arte meccanica”: arte mechanica mirifice compositum, descritto in questo modo: “funziona ad acqua ed indica le ore, suonate da palline di bronzo che cadono su un bacino di ottone. A mezzogiorno, dodici cavalieri escono da dodici finestruole che poi si chiudono dietro di loro”. Il testo di Eginardo (Annales ad annum), cui dobbiamo l’informazione, tradisce il senso di attonito stupore e sconfinata ammirazione che il marchingegno arabo provocò nella corte franca. In tutto l’Occidente non era possibile produrre o vedere simili meraviglie.


 


E’ sorprendente l’erudizione universale degli scienziati islamici: i pensatori del primo periodo erano quasi tutti medici colti la cui autorità nel loro campo era universalmente riconosciuta. Esperti di astronomia, svilupparono sistemi filosofici complessi fondandosi sulle scienze naturali. Si occupavano però anche di riconciliare e limitare reciprocamente fede e scienza che, sulla base del concetto della ragione nell’Islam, non costituivano una contraddizione. Molti di loro scrissero  anche resoconti di viaggio e biografie, si dilettarono di alchimia e in particolar modo della creazione di metalli nobili. In tutti questi campi scrissero opere immense, formarono allievi, tennero lezioni o arricchirono le biblioteche dei loro mecenati. Un’eredità a cui - ancora oggi - dobbiamo moltissimo.


di Sherif El Sebaie | 11/12/2004



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