il manifesto del 30 Gennaio 2008
«La Fiera non è un'occasione agiografica».
Ernesto Ferrero risponde alle polemiche
«Tutto ciò che possiamo fare è mettere a disposizione uno spazio di incontro e di dialogo, ovviamente non siamo qui per legittimare né demonizzare nessuno»
Francesca Borrelli
Da quando alla conferenza stampa indetta per presentare la prossima edizione della Fiera del libro si è appreso che il paese ospite sarà Israele, una serie di reazioni scomposte hanno tentato di tagliare la strada alla evocazione di questioni drammaticamente complesse. Forse i tre mesi che mancano saranno una buona occasione per rispolverare i libri di storia e persino le annose polemiche letterarie che hanno opposto per anni marxisti e formalisti, con la speranza che i fautori del boicottaggio si convertano all'evidenza segnalata da Sklovskij secondo cui la parola non è l'ombra dell'oggetto che nomina, e da un'opera d'arte non ci si deve aspettare che rifletta la realtà, bensì che la sottragga agli automatismi della percezione e ce la restituisca «straniata»: sta anche in questa peculiarità della letteratura il suo potenziale rivoluzionario dell'esistente. Scorrendo l'elenco degli invitati alla Fiera ci si imbatte non soltanto nei nomi ricorrenti - saranno effettivamente presenti solo Amos Oz e David Grossman, mentre Abraham Yehoshua e il musicista Daniel Barenboim non verranno perché impegnati altrove - ma anche in altri buoni scrittori come Aaron Appelfeld e Meir Shalev, mentre tra le voci più critiche nei confronti della aggressività israeliana ci sono il romanziere Sami Michael, che un gruppo di scrittori palestinesi ha candidato al Nobel, e lo storico Ilan Pappé. Tra i pochi scrittori arabi invitati almeno quelli più accreditati non parteciperanno, e con l'ottima ragione di non avallare i festeggiamenti impliciti a una ricorrenza per loro luttuosa. Ernesto Ferrero, il direttore della Fiera, se ne rammarica, perché - dice - «l'esacerbazione è più che comprensibile, ma esserci e parlare è meglio che negarsi questa opportunità».
Tuttavia, fin dall'inizio non le sarà sfuggito il fatto che la coincidenza della Fiera con il sessantesimo anniversario dalla fondazione dello Stato di Israele, ovvero con lo sfratto violento dei palestinesi, rischia di rendere implicito uno schieramento...
No, non è questo lo spirito della Fiera, che è al tempo stesso una vetrina, una grande mostra mercato, un festival con sette-ottocento incontri, e tra questi gli appuntamenti con gli autori israeliani saranno circa venticinque. La letteratura non stila manifesti politici, e quando lo fa i risultati sono disastrosi.
Il vostro comunicato stampa ha esplicitato il fatto che la scelta del paese ospite era caduta sull'Egitto, a sua volta subentrato al Cile, i cui intellettuali sarebbero stati impegnati in una attività culturale contemporanea alla Fiera. Poi l'ambasciata di Israele ha avanzato la sua candidatura sottolineando, appunto, l'anniversario politico, e ottendendo la vostra accoglienza. Possibile che non vi siate posti nessuna altra questione di opportunità se non quella relativa a coincidenze di carattere culturale?
Proprio così, infatti ho già ricordato che la scelta di rimandare l'ospitalità all'Egitto è stata motivata dal desiderio di farla coincidere con una grande mostra in cui verranno esposti, l'anno prossimo, i suoi tesori sommersi; mentre d'altra parte la legittimazione dello Stato di Israele non passa per la Fiera del libro. Tutto ciò che possiamo fare è mettere a disposizione uno spazio di incontro e di dialogo, non credo che la logica bipartisan vada riprodotta anche in ambito culturale. Comunque, tra i miei amici e consulenti c'è la arabista Isabella Camera d'Afflitto alla quale anche quest'anno ho chiesto consigli sugli autori da invitare nello spazio che abbiamo chiamato «Lingua Madre». Nel nostro elenco figurano infatti la regista e scrittrice di Ramallah Liana Badr, il poeta Ibrahim Nasrallah, il direttore delle collane arabe di Actes Sud Farouk Mardam-Bey e il poeta Mahmoud Darwish che è già stato a Torino tre volte: alcuni di loro hanno fatto sapere che non verranno, e io non posso che prenderne atto.
Le scelte degli autori israeliani le ha fatte lei o l'ambasciata?
Non c'è stata alcuna pressione da parte dell'ambasciata perché invitassimo i cantori del regime, d'altra parte proprio qualche giorno fa Amos Oz ha dichiarato che Israele non ha fatto nulla per la pace e tra gli invitati ci sono anche altre voci ben più critiche. Le scelte sono state fatte come sempre insieme agli editori, le ripeto che la Fiera non è pensata in alcun modo come una occasione agiografica. Del resto, sarà preceduta dal Salon du livre di Parigi, che fino ad ora non ha scatenato reazioni nonostante anche lì il paese ospite sia Israele, rappresentato da un numero ben più nutrito di scrittori, circa trenta.
Questo dipende solo dal fatto che la Francia traduce di più...
Sì traduce di più, e tuttavia il loro Salone è meno affollato, noi abbiamo circa trecentomila visitatori loro un centinaio di meno.