Ritorno sul campo i lavori in corso di uno storico militante
Pur raggruppando ricerche assai diverse, il volume di Portelli possiede una non comune compattezza, pervaso com'è dall'analisi delle strutture proprie della storia orale e delle modalità con cui agiscono le memorie nel loro rapporto dinamico con il presente
Cesare Bermani
Storie orali. Racconto, immaginazione, dialogo di Alessandro Portelli è una raccolta di saggi metodologici da parte di uno storico che, con le sue ricerche sul campo, ha dato un impulso fondamentale a quella svolta culturale iniziata oltre trent'anni fa, grazie alla quale non solo la storia orale ma, direi, anche tutta la storia contemporanea è stata trasformata. Non saprei definire questo libro meglio di quanto abbia fatto Ronald Grele nella sua introduzione: «Nel corso del tempo Portelli ha continuato a ritornare sul campo, e ogni volta ne è riemerso con nuove domande, nuovi argomenti, nuovi modi di leggere la testimonianza, nuove considerazioni sul complicato intreccio di voci, atteggiamenti, passioni, possibilità nell'intervista. È stato un lavoro straordinario; ed è questo libro».
A proposito dei ventuno saggi, organizzati in cinque parti (Linguaggi; Guerra; Terni, Italia; Harlan, Stati Uniti; Fine secolo), che compongono il libro, l'autore precisa che sono anche «il riassunto del punto in cui mi trovo oggi, la base di altri lavori qui non rappresentati (le Fosse Ardeatine, Centocelle, il '68). Quasi tutti hanno una lunga storia di cambiamenti nel tempo: come si confà alla memoria, sono tutti lavori in corso, sempre aperti e mai finiti (molti, per esempio, li ho riscritti in italiano per la prima volta in questa occasione). Nati spesso per essere presentati oralmente, sono testi scritti contaminati (di nuovo, come tutta la storia orale) dalla performance: ogni volta che sono stati ri-pubblicati o ri-raccontati hanno incorporato i cambiamenti miei, i cambiamenti della ricerca e i cambiamenti dei destinatari. Quello che leggiamo qui è lo stato in cui si trovano adesso; domani, vedremo».
Dal momento che ogni colloquio tra ricercatore e narratore è irripetibile, tanto che fare un manuale di storia orale sarebbe forse impossibile e certo insensato, nel volume vengono attentamente analizzate le peculiarità di ciascun colloquio registrato e la struttura della relazione che si era instaurata tra i protagonisti del dialogo a seconda della situazione, della personalità dei narratori e dell'atteggiamento e delle domande del ricercatore.
Il volume, che pure raggruppa ricerche assai diverse tra loro, conseguenza delle molte curiosità del suo autore, finisce così per avere una non comune compattezza, pervaso com'è dall'analisi delle strutture linguistiche e cognitive proprie della storia orale, e dal tentativo di comprendere come funzionano le memorie, non semplici ricettacoli di un passato concluso, ma testimonianza attiva di un passato che agisce sulla vita presente in modo diverso da uno all'altro e che dalla vita presente subisce continue modificazioni.
Credo però che faremmo un torto a Portelli se lo considerassimo soltanto come uno dei maggiori storici orali viventi, perché Portelli è anche un uomo che ha fatto una netta scelta di campo collocandosi saldamente in quella tradizione di storia militante che ha avuto personalità così diverse come Gianni Bosio e Danilo Montaldi. Momenti alti della storia orale e insieme quanto di meglio la sinistra italiana abbia espresso sul terreno culturale. Una storia che si è sviluppata fuori dai partiti e che ha sempre rifiutato di farsi ancella della politica. Ne è una prova la definizione di storia militante proposta da Portelli (nel saggio «Sulla diversità della storia orale» apparso la prima volta nella rivista «Primo Maggio») e che mi pare tutta da sottoscrivere,: «Storia militante non significa dichiarazioni programmatiche, schieramenti soggettivi, e nemmeno scelta di un tipo di fonti anziché di un altro; significa presenza dello storico nella storia, assunzione di responsabilità che lo inscrive nella narrazione, anche se non emette giudizi, e che gli impone scelte politiche meno visibili, ma forse più fondamentali nel momento in cui mette in evidenza la narrazione storica come atto autonomo del narrare (quando cioè, insieme con il racconto della storia c'è anche la storia del racconto). L'idea della scomparsa dello storico come soggetto corrispondeva a una militanza intesa come annullamento dei ruoli personali e ritornava infine alla neutralità dello storico tradizionale, anch'esso negatore della propria presenza e responsabilità».
Portelli ricorda anche opportunamente come i discorsi su un uso corretto delle fonti orali non riguardino solo la storia ma - con effetti ben più nefasti dello scrivere un brutto libro - tutti coloro che possono, prima o poi, essere considerati alla stregua delle «classi pericolose». Nel saggio intitolato «La forma orale della legge: il processo 7 aprile e la storia», nota infatti come il magistrato Pietro Calogero si collochi come Renzo De Felice in quella tradizione storiografica che attribuisce alla fonte orale solo un valore sussidiario. E in polemica con Angelo Ventura, che sottolineava (peraltro giustamente) come le fonti orali fossero a volte usate in modo arbitrario nella ricostruzione storica, senza controllo e garanzia, diventando quindi facile preda di strumentalizzazioni politiche, Portelli domanda ironicamente «perché i controlli e le garanzie richiesti a chi usa le fonti orali per scrivere un saggio su una rivista possano essere ignorati quando si tratta di scrivere, a colpi di anni di carcere, la verità processuale sulla storia della Repubblica».
Una domanda la cui attualità purtroppo è ancora molto viva, dentro verità processuali che - come nel caso dei fatti del luglio 2001 - non colpiscono la violenza dello Stato e la brutalità poliziesca, bensì chi a essa si è opposto: quei giovani che a Genova, sottolinea ancora Portelli, hanno spinto gli adulti a seguire le loro tracce riprendendo pratiche politiche in prima persona, e spingendo così i genitori a tornare a un impegno civile, contraddistinto spesso da un atto d'amore verso i propri figli. Indubbiamente un bel modo di innovare i rapporti familiari.
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