Lo choc culturale
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Lo choc culturale


di Marco Muzzana




qualcosa non va




"E pensare che con qualsiasi altro lavoro non si troverebbe ora lì, alle 5.30 di sabato mattina, sotto questo maledetto temporale, ad aspettare tutta fradicia e gelata il furgone sgangherato della cooperativa.


Suo padre continua a dirglielo di trovarsi qualcos’altro. Forse non ha tutti i torti, vista anche la miseria che le danno. Lavorare per un’impresa di pulizie non è mai stata la sua massima aspirazione, ma neanche studiare: per questo, la prima occasione che l’è capitata, non se l’è lasciata scappare.


Dopotutto, le altre ragazze non sono tanto male: hanno formato una bella squadra e insieme anche quel lavoro sembra meno pesante.


Tra tutte, è Majda quella con la quale ha legato di più. Sono ormai tre anni che si conoscono e sono diventate subito inseparabili: Majda e Alessandra, dove c’è una c’è sempre anche l’altra. Tra di loro non ci sono segreti ed è bello sul lavoro avere qualcuno con cui confidarsi, disponibile ad ascoltarti anche quando si è distrutti dalla fatica. Perché Majda è così, sempre sorridente, attenta e premurosa: una vera amica.


Peccato solo la storia dell’altra sera.


Non sa proprio come dirglielo e Majda non è stupida: si è accorta subito che qualcosa non va.


Era contenta, dopo così tanto tempo, di conoscere finalmente la sua famiglia. Lei gliel’aveva proposto tante volte ma Majda, per un motivo o per l’altro, aveva sempre rimandato. Ad un certo punto, s’era anche rassegnata: ha pensato che forse si vergognasse, non so… per la casa o anche per il marito, del quale, peraltro, non parlava mai molto volentieri. S’era immaginata che da loro si usasse così, che la donna araba fuori casa dovesse essere riservata e non parlare con altri delle cose di famiglia. Anche se era strano, perché dei suoi genitori, delle sue sorelle rimaste in Tunisia le aveva sempre raccontato tutto ma del marito, invece, mai una parola oltre il minimo indispensabile. Sapeva solo che si erano conosciuti dopo che lui era già partito da alcuni anni per l’Italia e che lei lo aveva raggiunto appena finiti gli studi, contro il volere dei suoi. Forse, chissà, adesso avevano dei problemi.


Inaspettatamente l’altro giorno, dopo che su questa cosa s’era messa il cuore in pace, Majda la invita a cena a casa sua.


Lei c’è andata con Luca, il suo fidanzato. Era tanto emozionata, non era mai stata a casa di immigrati: era curiosa di vedere come vivono, com’è la loro casa, le loro cose e poi voleva scoprire se l’idea che si era fatta del marito, Rachid, corrispondeva alla verità.


Il problema è stata proprio la verità. Una verità che lei non si sarebbe mai immaginata. E si, perché la sorpresa non è stata tanto sul marito, che in fin dei conti non si è rivelato molto distante dall’immagine che Alessandra si era creata, quanto invece proprio sulla sua amica della quale in questi tre anni s’era fatta una certa idea, e che invece adesso, dopo quella cena, non ritrova più.


Alessandra ha sempre ritenuto Majda una donna estremamente moderna, intraprendente ed emancipata: nonostante la giovane età e il fatto di essere straniera è riuscita a farsi rispettare da tutti sul lavoro, tanto che il capo le ha assegnato l’incarico di coordinatrice della loro squadra. E’ precisa, sveglia, ha sempre una parola buona per tutte. Di fronte alle difficoltà non si lascia mai prendere dal panico: trasmette sicurezza e protezione. Oramai è lei che gestisce i rapporti con il capo: tutte le altre ragazze fanno riferimento a lei per i turni, per i permessi, per qualsiasi altro problema. Spesso è persino lei che tratta con i clienti. A volte per lavarsene le mani, molto più spesso perché si è reso conto che ci sa fare, il capo delega a Majda la risoluzione dei frequenti scontri sui contratti, sulla qualità degli interventi, sulle continue richieste dei vari interlocutori che incontrano durante lo svolgimento della loro attività.


Alessandra è sicura che Majda, tra non molto, farà il salto di qualità, che non farà più le pulizie con loro, per dedicarsi a tempo pieno agli impegni di ufficio e al coordinamento.


Ma l’altra sera, questa Majda è scomparsa, lasciando il posto ad un’altra donna, completamente diversa. Quando si è aperta la porta, si sono trovati di fronte una donnina semplice, dimessa e ossequiosa. Non aveva niente della Majda che Alessandra conosceva: sembrava perfino più vecchia, i capelli raccolti dietro la nuca, avvolta in un triste abito lungo rosa, con orribili ricami di strass e perline, in assoluto contrasto con i vestiti moderni che le aveva sempre visto addosso e spesso anche invidiato. Ma non era solo l’aspetto. Majda era irriconoscibile, l’ombra del marito: tra di loro parlavano in arabo –e di per sé già questo era abbastanza strano, visto che dopo tanto tempo era la prima volta che la sentiva parlare così- e qualsiasi cosa lui dicesse o chiedesse lei era lì pronta a servirlo ed approvarlo come un automa. Praticamente non stava mai seduta, comandata dagli sguardi di lui. Alessandra era senza parole. Dov’era finita la sua amica? Cosa le era successo?… Perché si comportava così? E poi Rachid, odioso e prepotente che attirava su di sé tutte le attenzioni. Decisamente un uomo sgradevole.


Era andata lì tutta entusiasta ed ora non vedeva l’ora di tornarsene a casa, di uscire da quell’incubo.


E il giorno seguente non ha avuto neanche il coraggio di dirle quello che aveva provato, del perché appena dopo pranzo erano dovuti scappare all’improvviso, con una scusa banale. Il coraggio, poi, non le era venuto per tutta la settimana seguente. Ha cercato di evitarla, di far finta di non accorgersi che Majda c’era rimasta male e che tentava continuamente di avvicinarla per chiederle il motivo del suo imbarazzo.


Ma per Alessandra è troppo difficile spiegarle la sua delusione. Non riesce ancora a razionalizzare lo sconcerto e il forte risentimento: si sente tradita, defraudata. E’ come se le avessero portato via la cosa più cara: nessuna giusficazione gliela potrebbe riportare indietro. Ha scoperto due Majda e quella nuova, di certo, non le piace. Non sa più se fidarsi ancora della sua amica.


Anche adesso, sotto la pioggia e senza alcun riparo, il pensiero più forte è quello che quando arrivi il furgone, l’unico posto libero, non sia quello accanto a Majda: non saprebbe cosa dirle, non riuscirebbe a rispondere al suo sorriso, al suo abbraccio senza farle percepire che anche oggi… qualcosa non va."



 


Sarebbe facile spiegare questa vicenda con i limiti della giovane donna italiana, incapace di cogliere, dietro l’apparente doppiezza identitaria dell’amica tunisina, un normale processo di adattamento in emigrazione.


Quello che, però, ci interessa è soffermarci sullo sconcerto di Alessandra e sul meccanismo che lo ha generato.


La sua è una reazione emotiva di profondo spaesamento, caratterizzata da ansietà e frustrazione, motivata dallo scontro con un modo di essere di Majda che non si sarebbe mai aspettata e che delude l’immagine che di lei si era fatta fino ad allora. Il giudizio nei confronti dell’amica è, quindi, decisamente negativo.


Siamo di fronte ad un evidente caso di choc culturale, elemento ricorrente nelle relazioni interculturali: questo, difatti, avviene ogni qualvolta l’altro (in questo caso lo straniero, ma si può verificare anche con chi ci è molto più vicino), esce -con i suoi comportamenti e le sue parole- dai nostri schemi logici, urtando contro le nostre sensibilità e certezze.


Alessandra si era fatta un’idea precisa di Majda, e cioè di una donna estremamente occidentalizzata e moderna, capace, nonostante le sue origini, di imporsi sul lavoro, anche nei confronti degli uomini. Ai suoi occhi, Majda rappresentava l’ideale della donna emancipata, capace di emergere da un contesto profondamente limitante, dove la donna appare sottomessa all’uomo e relegata a funzioni marginali e subalterne.


Questa rappresentazione, tranquillizzante, risolve l’ansia del relazionarsi con una persona proveniente da un contesto tanto diverso: il modello della donna moderna ed emancipata, è utilizzato, in questo caso, per superare l’imbarazzo generato nella donna italiana dall’immagine negativa che normalmente si ha della donna araba; un modello nel quale la modernità sembra vincente sulla tradizione, un modello nel quale è facile identificarsi ritrovando, appunto, i propri valori di riferimento. E’ una rappresentazione, tuttavia, fortemente etnocentrica: dato che le nostre concezioni, le nostre certezze, i nostri bisogni sono gli unici elementi che possono dare senso e sostanza all’esistenza, l’altro acquista senso e dignità solo nel momento in cui ce li ripropone. Con Majda andava tutto bene fino a quando Alessandra ha potuto rispecchiarsi in lei. Quando ha scoperto che la vita dell’amica tunisina era anche altro, le sue sicurezze sono entrate in crisi: si è manifestata la sua incapacità di gestire la dissonza tra il suo quadro di riferimento e quello di una donna che esprime anche altre modalità, altre logiche, altri riferimenti. I nuovi tratti identitari (ricondotti ad un mondo considerato primitivo e degradante, almeno per la donna) rimangono nel quadro di riferimento di Alessandra assolutamente incompatibili, anzi conflittuali. Si genera quella che qualcuno chiama una vera e propria minaccia identitaria, nei confronti della quale si reagisce istintivamente con distacco e rifiuto. Una donna moderna ed emancipata non può relazionarsi con suo marito come fa Majda: sarebbe un comportamento profondamente incoerente ed irrazionale. Vorrebbe dire negare valore alla lotta di emancipazione compiuta dalla donna nella società moderna, riportando in auge un sistema vetusto di relazioni coniugali in vigore almeno un secolo fa. Vorrebbe dire negare la storia. Negare diritti, negare libertà.


E difatti, Alessandra è profondamente frustrata: si sente minacciata da questa scoperta e non sa come reagire. Le sue certezze sono messe in discussione da una realtà più complessa di quanto si era immaginata, i suoi riferimenti risultano impotenti di fronte alla diversità di Majda.


Quello su cui possiamo riflettere e lavorare, non è tanto la possibilità di eliminare lo choc culturale dalle relazioni con l’altro, ma sul prenderne coscienza e valorizzarlo come occasione unica per far emergere i nostri presupposti e i nostri schemi mentali. E’ proprio attraverso lo choc culturale che possiamo arrivare a comprendere l’altro e, forse ancor prima, a comprendere noi stessi attraverso l’altro.


In tal senso, allora, le relazioni tra persone portatrici di elementi culturali differenti, potranno diventare l’incontro dinamico tra due identità che si danno mutualmente senso, in una prospettiva, quindi, che sia realmente e costruttivamente interculturale.


 


 


 


Hanno detto


Margalit Cohen-Emerique, psicosociologa:


"La rappresentazione sociale non è solamente ‘un’opinione su, un’immagine di, un atteggiamento verso’. Le rappresentazioni sociali sono teorie, scienze, concezioni, destinate alla scoperta del reale e al suo ‘riordino’ .


Rappresentarsi non è solamente proiettare un’idea che si ha sull’altro, qualcosa di vicino, qualcosa del proprio polo di soggettività; è andare oltre, è edificare una dottrina che tenta di anticipare degli atti e delle valutazioni.


Una rappresentazione è un sistema di valori, di pratiche, di emozioni. Questo sistema, fortemente caratterizzato etnocentricamente, diventa uno dei principali ostacoli nelle relazioni interculturali.


Ogni cultura codifica come dobbiamo comportarci, trattenere il corpo, farlo esprimere o esteriorizzarlo. Io che ho vissuto in Oriente, ma ero occidentalizzata, ero molto scandalizzata perché mio zio e mio nonno ruttavano dopo ogni pasto. Ma io avevo appreso a scuola e nel mio ambiente che il rutto era qualcosa di molto volgare e non bisognava farlo, mentre nella cultura orientale il rutto è un’espressione normale.


Un altro esempio è il rovistarsi nei denti, cosa che non si fa mai in Francia, ma in Italia o in Spagna si trovano sempre gli stuzzicadenti nei ristoranti.


Un altro tipo di rappresentazione, che ostacola la comunicazione interculturale, è la nostra concezione egualitaria del ruolo e dello statuto della donna di fronte a una concezione dell’interiorità della cultura tradizionale. Oppure la nostra concezione liberale moderna dell’educazione del bambino, senza punizioni corporali, che si pone di fronte a una educazione tradizionale, rigorista che può utilizzare pene corporali. O ancora, la concezione individualista della persona che preme per l’autonomia, l’affermazione di sé di fronte a una concezione comunitaria che tende all’interdipendenza tra i membri.


E il riconoscimento dei diritti dei bambini rispetto ad una concezione -che è anche esistita in occidente- del bambino come proprietà dei suoi genitori.


La libertà religiosa o la laicità, di fronte a una concezione in cui l’uomo è in un ambito religioso nel quale il religioso, il sacro, il magico sono al centro della sua vita quotidiana…"


dietro le parole


Interculturale


Interazione tra due identità che si danno mutualmente un senso, in un contesto da definire ogni volta: l’interculturale è dunque, innanzitutto, una relazione tra due individui che hanno interiorizzato nella loro soggettività una cultura, ogni volta unica, in funzione della loro età, sesso, statuto sociale e traiettorie personali. (Martine Abdallah Pretceille, 1989)


Multiculturale


Ambito, contesto, situazione creata da popolazioni diverse che portano specifiche culture, endogene e esogene. Quindi le società, per definizione, sono ‘multiculturali’.


Pluriculturale


Con questo termine si definisce l’esistenza, all’interno di un determinato gruppo, di una molteplicità di esperienze culturalmente codificate, a ognuna delle quali si attribuiscono caratteri distintivi rispetto alle altre.


Tutte le società umane hanno sempre avuto al loro interno la presenza del pluralismo culturale, in quanto le loro differenziazioni –sessuali, generazionali, di provenienza etnica- per quanto ridotte e semplici, hanno sempre dispiegato una vasta gamma di codificazioni culturali delle diverse esperienze.


La qualificazione di pluriculturale nell’epoca contemporanea, sta ad indicare che una società –o un suo settore- per ragioni economiche, politiche e sociali pone in contatto, al suo interno, gruppi appartenenti a culture diverse, i quali nel passato, per ragioni storiche e geografiche, si sono organizzati indipendentemente gli uni dagli altri.


 


Vedere e leggere



  • AAVV, Avanzamenti in psicologia transculturale. Nuove frontiere della cooperazione, Franco Angeli, 1991, Milano


  • C. CAMILLERI, M. COHEN-EMERIQUE, Choc de culture?, L'Harmattan, Paris, 1989.


  • Di Cristofaro Longo G., Identità e cultura. Verso un'antropologia della reciprocità, Studium, 1993, Roma

  • Fabietti U. L'identità etnica, La Nuova Italia Scientifica, 1995, Roma

  • Fedeli L., Individuazione e identità, Borla, 1990, Roma


  • G. HOFSTEDE, Culture's consequences: International Differences in World Related Values, Beverly-Hills, 1980.



  • G. HOFSTEDE, D. BOLLENGER, Les différences culturelles dans le Management, Edition d'Organisation, 1987.


  • Grinberg L.-Grinberg R., Identità e cambiamento, Armando, 1976, Milano

  • Levi Strauss (a cura di), L'identità, Sellerio, Palermo

  • M. ABDALLAH PRETCEILLE, L. PORCHER, Education et communication interculturelle, Presses Universitaires de France, Paris, 1996

  • M. ABDALLAH PRETCEILLE, Pédagogie Interculturelle - Bilan et perspective, L’Interculturel en éducation et sciences humaines, Publications Université Toulouse Le Miral, Toulouse, 1983.

  • M. COHEN-ÉMÉRIQUE, Élément de base pour une formation à l’approche des migrants et plus généralement à l’approche interculturelle, Annales de Vaucresson n° 17, 1980,

  • M. COHEN-ÉMÉRIQUE, L’approche interculturelle dans le processus d’aide, in "Santé mentale au Québec", 1993.

  • Mazzara B. Appartenenza e pregiudizio. Psicologia sociale ed interetnica, Ed. La Nuova Italia Scientifica, 1996, Bologna

  • Perotti A. La via obbligata dell'interculturalità, EMI, 1994, Bologna

  • SELIM ABOU, Identité culturelle, Antrophes, Paris, 1981.

 http://www.interculturando.it/5%20choc.doc



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