Bologna - I rom: la minoranza meno accettata nella società occidentale
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Bologna - I rom: la minoranza meno accettata nella società occidentale


Identità negata e rappresentazione stereotipata


La gente ha paura dei rom e ciò genera spesso pregiudizi ed incomprensioni, portando alla nascita dell’odio e dell’intolleranza.



Per poter sperare di creare un giorno una società più aperta e consapevole è necessario conoscere gli altri, i diversi da noi, è necessario considerare questi ultimi come portatori di una cultura, né migliore e né peggiore, ma solo diversa dalla nostra.
I rom sono una minoranza che viene vista come la meno accettata nella società occidentale; anche nell'immaginario degli italiani il rom è rappresentato come l' uomo nero, il cattivo, il rapitore di bambini.
E’ lo straniero, con la sua situazione di precarietà, che fa riemergere il ricordo e la paura della perdita di certe sicurezze, e con essa anche il senso di fallimento, l’immagine infantile che ciascuno di noi porta nel profondo di essere disprezzato, indesiderato e non amato.
Per rimanere indenni da questi sentimenti ecco che le persone o gruppi creano un’immagine negativa degli altri, basata su inadeguate o parziali informazioni, esasperando il reale o creando miti che sedimentano poi nell’immaginario collettivo, generando opinioni e sentimenti sostenuti perfino di fronte alla prova del contrario.



La difficoltà nell’affrontare il “problema dei rom” deriva dal fatto che sono componente intrinseca, parte storica delle nostre società, del nostro passato e del nostro presente, tanto da divenire nell’immaginario collettivo l’altro per antonomasia, con tutto il suo corredo di fascinazione.
Rappresentano la minoranza per eccellenza, presente e visibile da secoli in tutti i paesi europei.
Essi costituiscono la vera sfida alla coesistenza interetnica ed interculturale.
Le comunità rom vengono emarginate su tutti i fronti, e subiscono una penalizzazione sempre più netta che non può fare altro che approfondire il divario tra la società dei rom e quella dei gagè, i non-rom. Fra i rom e le popolazioni che li circondano, il vettore più importante è fatto di immagini, di rappresentazioni sociali cristallizzate in stereotipi. Questo unico punto di conoscenza diviene un fattore importante di incomprensione. Se in epoche passate l’atteggiamento meno rigido è stato quello di una simpatia romantica legata al folklore, quindi superficiale, oppure quello di una curiosità intellettuale tinta di compassione o di pietà, non appena se ne presenta l’occasione sono gli aspetti più negativi dell’immagine ad essere evocati. I rom sono considerati ladri, rumorosi, sporchi, immorali, truffatori, asociali, oziosi. Nella maggior parte dei paesi il termine per designare i rom è peggiorativo, portatore di tutta la negatività dell’immagine.
La repressione è una politica persecutoria che le autorità politiche e la società civile spesso non attuano più sotto forma di violenza fisica, ma verbale e mediatica, conseguenza di uno stile di vita, per la popolazione romanì, di segregazione legalizzata.
Il cattivo uso letterario dell’immagine del rom, manipolata in una gamma che va dal romanticismo folkloristico all’allarmismo terrorizzante, si trova esacerbato nella stampa quotidiana più popolare, che fa presto ad incoronare un “re zingaro” e a sottolineare che il tale atto delittuoso è stato commesso da uno zingaro.
La stampa fa anche da supporto alle “lettere aperte” di comitati di quartiere e alla posta dei lettori che elencano tutte le ragioni per cui non vogliono gli zingari come vicini.
Il discorso politico fa anch’esso grande uso di immagini stereotipate, sia nell’immagine che ne danno i testi di legge e i regolamenti, sia mediante le definizioni che si introducono nel corso dell’azione politica. Le rappresentazioni sono parte integrante del discorso ed è per questo che negli anni si assiste alle trasformazioni delle immagini in funzione dell’uso che se ne deve fare, in funzione dell’evoluzione delle istituzioni.

E’ il caso del Campo di Trebbo di Reno di Bologna, che nasce nel 1994 come sistemazione momentanea.
Il Comune di Bologna aveva attrezzato quest’area per accogliere i rifugiati della guerra dell’ex Jugoslavia, ma ancora oggi queste persone si trovano in questo campo costrette a vivere in container che giorno dopo giorno si degradano sempre di più.
Nel campo vivono circa 90 persone per la maggior parte donne e bambini. La preoccupazione più grande in questo momento è la questione igienica e le condizioni di salute, soprattutto per i bambini, tutti affetti da bronchite.
All’interno del campo sta lavorando l’associazione Harambè di Bologna ed alcuni volontari ci hanno descritto le condizioni del campo [ ascolta ], ma soprattutto le attività che vengono svolte all’interno di esso.
L’associazione si occupa principalmente dei bambini che vivono nel campo, svolge attività di dopo scuola, laboratori di musica e teatro, perseguendo l’obiettivo dell’integrazione. Ma la faccenda si fa assai più complicata dal momento che non c’è integrazione ed accettazione dell’altro nemmeno all’interno del campo stesso, visto che vi vivono rom di diverse nazionalità ed “in guerra” da anni fra loro.
E come se non bastasse il Comune di Bologna da due anni a questa parte ha imposto a queste famiglie di pagare le bollette dell’elettricità, con costi salatissimi, dal momento che il riscaldamento è elettrico, “costringendo” al lavoro nero e all’elemosina per poter pagare, ma soprattutto impedendo, a chi volesse, di cercare un’altra sistemazione, più consona alle esigenze personali di ciascuna famiglia.


L’animosità nei confronti dei rom da parte delle popolazioni maggioritarie deriva dai pregiudizi ben radicati nella memoria collettiva, aggravati dalla difficile situazione economica.


L’incontro con l’altro, per portare ad una effettiva conoscenza, implica un dire e un ascoltare, un dare e un ricevere, una reciprocità capace di superare squilibri di rapporto. Per ascoltare l’altro occorre prima ascoltare noi stessi; scoprire quella parte di noi che forse non vorremmo conoscere, fare chiarezza sui nostri presupposti ideologici e sui sedimenti culturali, che potrebbero portarci a sovrapporci all’altro. Ascoltare significa anche sospensione del giudizio; scoprire ed accettare il cambiamento che l’altro può provocare in noi. Di fondamentale importanza è il dialogo fra le diverse culture, riconoscendo il diritto alla differenza, all’irriducibile alterità, una interdipendenza che valorizzi le due culture, per raggiungere il clima necessario per la salvaguardia dell’infinita ricchezza dell’originalità umana. Per questo bisogna promuovere iniziative per migliorare le condizioni, affinché i rom possano usufruire dei diritti di tutti gli altri cittadini, osservando i doveri che questo comporta. Costruendo orizzonti educativi interculturali, per garantire spazi di incontro, dialogo e confronto, preparando le scuole ad accogliere il bambino rom col suo diverso vissuto culturale, non attraverso strategie di assimilazione, ma riconoscendo e valorizzando le competenze acquisite in situazioni diverse. Creando opportunità lavorative, adatte a questa popolazione, evitando di incentivare il lavoro nero, che non permette loro di usufruire del diritto di cittadinanza. Queste ed altre soluzioni devono essere trovate per garantire al popolo rom la libertà di esistere e di esprimersi.




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