La danza che cura: riflessioni nel corso di una ricerca ed una pratica della danza indiana Bharata Natyam
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       La  danza  che  cura      


(Da "Anthropos & Iatria" - anno 2 - n° 2, 3,1998 - De Ferrari editore )


di Cristina Valle


Trovare il giusto accordo tra utilizzo dinamico del corpo ed equilibrio della mente rappresenta spesso un problema. Quando, nel corso della mia ricerca e pratica della danza indiana Bharata Natyam, mi sono trovata ad affrontare questa dicotomia, ho realizzato quanto il corpo sia uno strumento importante e quanto la crescita interiore abbia come presupposto fondamentale una confidenza profonda con questo nostro strumento.


Il corpo, infatti, è tanto più sano quanto più si è in grado di conoscerlo e gestirlo, per cui quanto più si riesce a farlo tanto più si crea una situazione di benessere.







Nel momento in cui ci si pone come obiettivo la salute dell’individuo, poi, occorre anche considerare il rapporto con ciò che ci circonda ed il modo in cui si utilizzano o si trascurano il corpo e le sue potenzialità.


I gesti che compiamo nella vita quotidiana, ad esempio, sono spesso meccanici ed automatici: riprendere il controllo su di essi significa entrare in contatto con gli elementi che usiamo ogni giorno, caricandoli di un preciso significato.


I gesti compiuti con attenzione, infatti, fanno sì che il mondo interiore entri in sintonia con quello esterno, armonizzandosi con la natura e le sue leggi, ed è proprio attraverso la danza, ritenuta una disciplina del corpo e della mente, che è possibile raggiungere non solo quella salute ed armonia dei movimenti a cui tutti aspiriamo, ma anche liberare un corpo trascurato e vincolato da preconcetti e cattive abitudini.


Tuttavia, se è vero che possiamo attribuire ad ogni stile di danza risultati di ordine pratico, come rafforzare il proprio corpo, affrontare situazioni difficili ed acquisire agilità e scioltezza, esistono però discipline che più di altre migliorano lo stato di salute generale grazie ad un effetto fortemente terapeutico.


Nell’ambito della danza indiana Bharata Natyam, originaria dell’India meridionale, ad esempio, si parla proprio di compiere gesti caricandoli di una nuova consapevolezza e non più in maniera distratta, oltre a mirare a trasfigurare e a perfezionare la personalità umana.


Attraverso il linguaggio gestuale di questa danza la personalità della danzatrice può subire mutamenti, trasformandosi in qualunque dio, demone o individuo essa impersoni.


Questo concetto di danza o, più precisamente, di "danza sacra", che permette alla danzatrice di superare la condizione umana e, attraverso gesti precisi e codificati, di identificarsi con la divinità che sta interpretando, favorisce il raggiungimento di un nuovo stato di coscienza e l’instaurarsi di una più completa armonia tra corpo e mente.


Secondo la tradizione indù, infatti, è possibile operare cambiamenti nell’organismo, persino a livello cellulare, influenzando il sistema neuro-vegetativo, i ritmi cardiaci e respiratori, oltre ad ottenere la padronanza della muscolatura liscia che normalmente, a differenza di quella striata sfugge al controllo umano, grazie alla danza e a particolari posizioni del corpo chiamate mudra. Per questo motivo, la danza è fiorita unitamente alle estenuanti pratiche ascetiche di coloro che praticano lo yoga, come lunghi periodi di digiuno, rituali, esercizi di controllo del respiro e di introversione assoluta.


L’asceta per eccellenza, sempre per la tradizione indù, è considerato il dio Siva, il quale è ritenuto anche il Signore della Danza e colui dal quale questa antica forma d’arte ha avuto inizio. Le leggende, secondo le quali la danza non è che un rito che appartiene esclusivamente alle divinità, spesso considerate abili danzatori, sono innumerevoli e, del resto, la danza è collegata tradizionalmente alla nascita del mondo.


Il fatto che questa disciplina sia unita alla nascita dell’universo e delle sue creature e che rappresenti il prototipo dell’attività di creazione, si può spiegare forse con il fatto che la danza possiede funzioni cosmogoniche in grado di risvegliare energie latenti, paragonabili a quelle che diedero origine al mondo. Questo, tuttavia, non è il solo collegamento che si può trovare tra l’utilizzo della danza a scopo terapeutico ed il fatto che essa sia consuetudinalmente legata alla generazione dell’universo: l’armonia e la precisione dei movimenti, infatti, rispondono alla necessità di riportare ordine nel caos che una malattia, come d’altronde il periodo che precede la creazione, rappresenta.


Attraverso gesti simbolici e rigorosamente codificati, inoltre, l’individuo malato può essere ricondotto ad un periodo mitico, ossia proprio all’inizio del mondo, soddisfando così il costante bisogno dell’uomo di realizzare gli archetipi.


Ogni danzatore, quindi, in un certo senso, simboleggia e ripropone costantemente questa attività creatrice, che egli compie nella gioia. Il mondo, infatti, secondo la cultura indù, non è stato creato una volta per tutte e, il tempo, anche se può apparire un paradosso, non ha avuto inizio in un determinato momento dell’eternità ma, al contrario, l’attività creatrice si snoda ininterrottamente.


Inserendosi in quel perpetuo flusso che sorge incessante dai primordi ad oggi e lasciandosi investire da quelle energie rigeneratrici in grado di proteggere e guarire dalle infermità, l’uomo non può che trarne vantaggio.


Dal momento che gli effetti fisiologici della danza sembrano essere simili a quelli che procura il piacere, l’atto di danzare presenta effetti narcotizzanti e stimolanti al tempo stesso, assicurando benessere, felicità e sollievo in colui che lo esegue.


Grazie all’effetto che provocano il ritmo serrato e un movimento costante ed intensivo, e cioè grazie alla produzione di endorfine, non è raro che aumentino la resistenza e la soglia del dolore e che diminuiscano lo sforzo fisico e mentale. La validità e l’efficacia curativa della danza e della musica, però, si accompagnano, soprattutto in India, dove religione, arte e medicina sono indissolubilmente legate, al loro aspetto sacro: l’aspetto terapeutico non rappresenta, dunque, che una conseguenza di una cerimonia religiosa atta a propiziare la divinità con la migliore delle offerte, quella realizzata con il proprio corpo.


Il campo di azione entro il quale i danzatori si muovono, allora, diventa uno spazio privilegiato, separato magicamente dal resto del territorio. In questo spazio, qualitativamente diverso, il sacro si manifesta mediante una rottura di livello che permette la comunicazione tra mondo umano e mondo divino.


Nel momento in cui si è introdotta la danza all’interno di gruppi psicoterapici e, in particolare, nel corso dei primi tentativi europei di utilizzo del Bharata Natyam a scopo curativo, si è tenuto conto dell’aspetto sacro di questa disciplina, seppure ponendo in primo piano la sua capacità di prevenire e curare malattie e rinforzare l’organismo. I movimenti ritmici e lo stato di esaltazione che pervade il danzatore e che lo conduce in uno stato di coscienza considerato diverso dal normale e su un livello differente rispetto all’esperienza quotidiana, producono anche un notevole allentamento delle tensioni psichiche.


D’altronde, questa non è che l’emulazione di metodi di guarigione indù antichi per cui tradizioni intere di sacerdoti inducevano, attraverso la danza, psicosi di massa o stati ipnotici. Questo tipo di suggestioni di gruppo o individuali venivano utilizzate nel momento in cui si riteneva che agenti soprannaturali fossero una delle cause principali della malattia; agenti che si pensava fossero indipendenti dalla volontà dell’individuo, come demoni o spiriti malefici, trasferendo quindi la responsabilità dell’accaduto a creature soprannaturali dette raksasa, che era possibile propiziare con opportune offerte e libagioni.


Allo scopo di indurre stati alterati di coscienza con funzione terapeutica in un contesto rituale, viene utilizzata la musica, la quale svolge un ruolo fondamentale nel coordinamento motorio della danza stessa; attualmente, nella maggior parte dei corsi di danza-terapia e nei casi di malattia mentale in particolare, alcuni terapeuti sono soliti accompagnare l’identità dei soggetti con l’uso del movimento e del ritmo in un percorso di espressione, comunicazione e socializzazione. Il sistema ritmico indiano, estremamente sofisticato e basato su sistemi di note e melodie chiamate raga, è, a questo proposito, particolarmente adatto ed efficace in quanto, associando le varie note a differenti tipi di emozione come la paura, la gioia, l’amore, la quiete e la serenità, tiene in considerazione non solo l’effetto gradevole all’orecchio e quindi prettamente estetico, ma soprattutto l’efficacia rituale e terapeutica che consiste nel provocare sensibili cambiamenti nell’ascoltatore e nel porlo a contatto con una realtà trascendente.


Durante il primo tentativo di usare il Bharata Natyam a scopo terapeutico in un centro di salute mentale di Madras, nel 1984, il metodo utilizzato è stato quello di associare un suono a ciascuna delle posizioni di danza: secondo quanto riporta Benedicte Bouquet des Chaux (1987), il gruppo di ragazzi psicotici che partecipava all’esperimento doveva memorizzare i suoni e i movimenti per poi cantarli ogni volta in coro. Gli obiettivi che ci si prefiggeva erano quelli di aiutare i ragazzi a migliorare la capacità di coordinazione, la consapevolezza della loro unità interiore, la concentrazione, la capacità di adattamento ed i rapporti sociali.


Una simile esperienza è stata anche realizzata nel 1985 in due ospedali francesi, dove si è impiegata la danza Bharata Natyam a scopo terapeutico su adulti schizofrenici. Nei corsi organizzati dal "Centre de Thérapeutique Expressionelle" dell’ospedale Esquirol di Saint Maurice e dall’Ospedale Wagram di Parigi, i partecipanti erano liberi di essere semplici spettatori o di unirsi al gruppo di attività, al termine del quale erano invitati a mettere per iscritto le loro impressioni e ciò che avevano compreso. Il terapeuta proponeva ai pazienti di riprodurre movimenti di danza che egli stesso eseguiva a ritmo di musica. Ognuno, era poi invitato, a turno, a fare da esempio agli altri. Questo metodo, che si basa sull’imitazione, ha lo scopo di valorizzare la persona che serve da modello, la quale, sentendosi osservata da tutto il gruppo, detiene anche temporaneamente il "potere" che le delega il terapeuta.


Anche allo scopo di fornire ai malati una migliore organizzazione sul piano psichico, i terapeuti introdussero, inoltre, un supporto sonoro basato sul sistema musicale indiano ed eseguito con il tala, uno strumento a percussione.


I pazienti tentavano, così, di riprodurre la sequenza ritmica con i battiti dei piedi, secondo tre velocità, poiché riproducendo con i piedi o con le mani combinazioni ritmiche complesse, essi giungevano a una strutturazione mentale che comportava sia un lavoro di coordinazione che di dissociazione di tutte le parti del corpo.


Ogni gesto, infatti, tracciando linee precise in una rigorosa costruzione spazio-temporale, permetteva ai pazienti di avere sempre precisi punti di riferimento.


Lo schizofrenico, del resto, secondo i terapeuti, è portato a ristrutturare e ridurre lo spazio secondo rigide linee di simmetria, comportamenti ripetitivi e compulsivi.


Talvolta, poi, le costruzioni deliranti di un individuo schizofrenico obbediscono alle stesse leggi delle nostre costruzioni matematiche e delle nostre figure simmetriche: non a caso si parla di "geometrismo" degli schizofrenici riferendosi, in modo particolare, proprio alla strutturazione dello spazio.


Inoltre, i gesti simbolici che si inscrivono nello spazio patologico dello schizofrenico riproducono certi archetipi delle antiche religioni. Questo ha portato autori, come V.L. Grottanelli, a citare in proposito la legge di regressione secondo la quale la malattia mentale sgretolerebbe gli strati più recenti del pensiero, facendo talvolta emergere le immagini della magia primitiva o delle religioni antiche, risvegliando gli archetipi addormentati.


Attraverso l’utilizzo di simboli e forme primitive, dunque, la danza indiana può, secondo i terapeuti, contribuire alla ricostruzione dell’identità perduta nella malattia mentale. Oltre all’azione catartica e liberatrice dal punto di vista emozionale che la danza come attività espressiva può, anche se solo temporaneamente, produrre, vi è inoltre la possibilità di rappresentare un valido strumento di comunicazione non verbale per esprimere l’immaginario e lo stato d’animo di soggetti psicotici, bloccati sull’uso della parola.


È possibile, quindi, affermare che l’individuo malato, posto all’interno di un sistema rigidamente codificato e che riflette l’ordine cosmico, non attivi soltanto un meccanismo di rivelazione dei contenuti inconsci e di allentamento delle tensioni psichiche del malato stesso, ma riesca anche a rigenerarsi, dal momento che la validità terapeutica della danza dipende soprattutto dal fatto che i linguaggi non verbali possiedono una maggiore universalità ed efficacia.


 


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI


 


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