Un topolino alla conquista del futuro - Un'intervista con Jeremy Rifkin. Il vecchio continente visto da uno studioso al di là dell'Oceano
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Un topolino alla conquista del futuro
Un'intervista con Jeremy Rifkin. Il vecchio continente visto da uno studioso al di là dell'Oceano
BENEDETTO VECCHI


L'Europa vista da un liberal americano. E' questo il significato più profondo del libro Il sogno europeo. E se poi è scritto da Jeremy Rifkin è uno sguardo nutrito da una mole di dati che spesso disorienta rispetto alla semplice tesi che vuol sostenere: la potenzialità del modello sociale europeo nel riuscire a mettere in discussione la supremazia statunitense nel mondo. Rifkin è ovviamente critico verso la guerra in Iraq, mentre considera gli Stati uniti una nazione che ha ipotecato il proprio futuro in nome della crescita economica, l'altare sul quale sacrificare chiunque non riusca a stare al passo con essa. L'intervista con Rifkin è avvenuta durante un suo passaggio a Roma.




Molti studiosi statunitensi, ma anche europei, indicano nella Cina la futura alternativa all'egemonia mondiale americana. Nel libro lei afferma invece che se un'alternativa va cercata, bisogna volgere lo sguardo alla Vecchia Europa. Può spiegare meglio questo punto di vista?

Il primo problema da affrontare è quello della «percezione». Gli americani hanno sempre amato parlare dei loro successi, tralasciando di affrontare le cose che non vanno. L'Europa, invece, ha sempre amato parlare dei propri insuccessi e mai dei suoi successi. Entrambi, però, concordano nel giudicare gli Stati uniti un gigante economico che ha sbaragliato tutte le economie potenzialmente concorrenti. Nel mio paese, inoltre, c'è chi rappresenta l'Europa come un topolino che sta per essere schiacciato dal pachiderma statunitense. La realtà non è questa. L'Unione europea vede oltre quattrocento milioni di persone che vivono in venticinque stati e che tutti insieme sono riusciti, in quasi cinquant'anni, a dare vita a un'unione economia e poltica. Parlare degli Stati uniti d'Europa è sicuramente una forzatura della realtà, ma se la guardiamo in una prospettiva storica quello che sta accadendo nel vostro continente è proprio un processo di integrazione politica ed economica irreversibile. Più che parlare di futuro, restiamo però ancorati alla realtà presente.

L'Europa è il più grosso mercato esistente, ha un un prodotto interno lordo di 10.5 trilioni di dollari in più degli Stati uniti. Nel vecchio continente hanno sede 61 delle più grosse corporation del mondo a fronte delle 50 statunitensi; 14 delle banche più importanti su scala mondiale sono europee. Certo, gli Usa sono teste di serie nel software, nell'auto e nell'industria farmaceutica, ma molte imprese made in Europe hanno la leadership in altri settori, come quello aereospaziale, chimico, edilizio, di beni di consumo. Tutto ciò dimostra che l'Europa non è il topolino su cui indugiano tanti analisti. Inoltre, è impossibile paragonare i singoli paesi europei agli Stati uniti. E' infatti più corretto paragonare la Germania con la California: così facendo ci accorgeremo che l'economia californiana è la quarta al mondo, ma la terza posizione spetta alla Germania riunita. E lo stesso vale se mettiamo a confronto la Francia con il Texas, l'Italia con la Florida, la Spagna con l'Illinois.

Per quanto riguarda la sua domanda, mi limito a constatare che per fare l'economia europea, che è in una condizione non proprio felice, ci vorrebbero sei paesi come la Cina con una crescita economica costante per decenni e a ritmi di questo ultimi cinque, sei anni.

Da questa parte dell'Oceano mi sembra però che la percezione sia più frastagliata, meno lineare di quella che lei prospetta. Il processo costituente europeo è stato segnato da aspri conflitti sull'assetto istituzionale, sul rapporto tra nucleo iniziale e paesi inclusi successivamente. Anche sulla natura dei rapporti con gli Stati uniti sono emerse diversità di non poco conto...

Mi sembra del tutto comprensibile che siano emerse differenze. L'Europa ha conosciuto recentemente due guerre mondiali e la Shoa, mentre nel passato è stato un continente scosso da guerre di religioni e di guerre tra stati. Eppure, siamo arrivati al punto che presto sarà approvata una costituzione. Non mi soffermerei quindi sulle differenze, quanto sull'irrevesibilità del processo di integrazione.

Io sostengo che, così come gli Stati uniti sono stati resi possibili da un sogno, da una grande idea sul futuro da condividere insieme, come unione di realtà differenti, anche in Europa si sta manifestando un sogno simile. L'Unione europea non sarà però la brutta copia degli Stati uniti, ma una realtà economica e politica basata su specifiche forme di rappresentanza politica e di rapporti tra singoli e stato incentrati su quell'insieme di norme che voi europei chiamate diritti sociali di cittadinanza.

Prendiamo il concetto di libertà. Per gli americani, questo vuol dire autosufficienza, un fiero individualismo, mobilità, duro lavoro al fine appunto di perseguire l'autosufficicienza. Voi europei, invece, avete vissuto l'esperienza del welfare state e per voi libertà vuol dire, tra le altre cose, non essere lasciati in balia delle forze del mercato. Da qui, la centralità delle relazioni interpersonali e del «vivere in società».

In sintesi, l'Europa ha conosciuto conflitti di classe che hanno assegnato alla qualità della vita un valore che negli Stati uniti non ha mai oltrepassato la soglia dell'autosufficienza individuale. Per noi, infatti, la ricchezza e il successo individuale era espressione della propria autosufficienza rispetto agli altri. Per voi, invece, il denaro è un mezzo per poter garantire al maggior numero di persone una se non buona, discreta qualità della vita. Noi parliamo di crescita economica e voi di sviluppo sostenibile; noi parliamo di diritti di proprietà e di diritti individuali, mentre voi accettate, anche se in misura diversa da paese a pase, che i diritti di proprietà siano subordinati ai diritti sociali; noi parliamo di patriottismo, voi invece vi sentite romani, italiani, europei e cittadini del mondo, mentre gli americani si sentono americani e niente più. E l'elenco può continuare: in Europa, l'attenzione della qualità della vita ha portato a una copertura sanitaria che ha avuto caratteristiche universali, noi invece abbiamo oltre 40 milioni di persone senza assistenza sanitaria; da voi il livello di alfebetizzazione è molto più alto che da noi. Insomma, voi siete inclusivi, gli americani no.

Durante i lavori della commissione c'è stato però chi ha sostenuto che l'Europa dovesse omologarsi agli Stati uniti. Inoltre, mi sembra che il cosidetto modello sociale europeo non goda buona salute. In quasi tutti i paesi europei il welfare state si è ridotto a un'immagine sbiadita di quello che era nelle intenzioni non tanto di Lord Keynes quanto di Lord Beveridge...

Se questo avvenisse davvero sarebbe un disastro. Negli Stati uniti, la crescita economica si è basata sull'indebitamento. Noi abbiamo ipotecato il nostro futuro. Voi non lo avete ancora fatto e questo è un vostro punto di forza. Noi abbiamo una povertà che sta cominciando a interessare l'equivalente del vostro ceto medio. Insomma, basta guardare le statistiche sul lavoro, la scuola e ci accorgiamo che negli Usa stiamo in condizioni niente affatto rosee. Voi avete una gallina delle uova d'oro: i grandi lavori sulle infrastrutture europee. Se prevarranno leader politici che pensano europeo, il modello sociale europeo può ritrovare lo smalto perduto.

http://www.ilmanifesto.it/


 



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