Straniero in classe. Una pedagogia dell'ospitalità
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Davide Zoletto

Straniero in classe.
Una pedagogia dell’ospitalità


Milano, Cortina editore, 2007



Davide Zoletto è un filosofo nato e cresciuto sulle frontiere del nord est, dove l’Italia declina, protesa tra Austria e Slovenia. Allievo a Trieste di Pier Aldo Rovatti (con cui ha scritto un libricino stupendo - La scuola dei giochi, Bompiani 2005) ha lungamente studiato due fra i più geniali filosofi del ‘900, Bateson e Derida, cui ha dedicato due densi saggi (Pensiero e scritture del doppio legame, Trieste EUT 2001; e Il doppio legame. Bateson, Derrida, Milano, Bompiani 2005).
Da anni è redattore della rivista filosofia Aut Aut per cui ha curato il n. 312 (Gli equivoci del multiculturalismo) di cui abbiamo lungamente parlato anche in questa rubrica ed il più recente (marzo 2006) Gayatri Chakravorty Spivak. Tre esercizi per immaginare l'altro
.
L’intreccio tra cultura della post modernità, complessità, differenza, studi post-coloniali, border studies (ancora una volta la frontiera come paradigma e paradosso) oltre alla conoscenza scanzonata di quella dolce follia che è l’umorismo (sempre per cortina Zoletto ha curato il volume di William Frey dedicato proprio all’ironia ed all’umorismo) permettono a Zoletto di guardare all’incontro tra alunni stranieri e scuola da una prospettiva ancora troppo spesso inusuale nella letteratura scientifica italiana.
In realtà, nel frattempo Davide Zoletto ha fatto per due anni l’insegnante di Italiano per stranieri al Centro Territoriale Permanente di Gemona del Friuli ed è diventato ricercatore di Pedagogia Generale presso l’Università di Udine. Insomma, un sentiero da cui è possibile guardare in modo nuovo alle questioni interculturali.


Chi è straniero in classe?


La domanda da porsi, aprendo lo studio di Zoletto, è: Chi lo straniero in classe? Ben strana domanda, si dirà. Lo straniero è lo straniero, è l’altro, è chi viene da lontano, è colui per il quale la nostra scuola organizza protocolli di accoglienza, percorsi di apprendimento di italiano come L2 , laboratori pseudo interculturali, ecc…
Insomma: noi sappiamo chi è lo straniero. E’ colui che si erge di fronte a noi, colui che attraversa frastornato le nostre classi, colui che deve entrare in mondo per lui nuovo ma per noi notissimo. E noi gli faremo da guida, novelli Virgilio.
Ebbene…. tenete a mente la domanda perché alla fine del libro la risposta non sarà poi così scontata.
I capitoli del volume si stagliano infatti come un percorso di frontiera dove ad ogni passo sembra di intravedere le stazioni della dogana con le guardie ad interrogare ed a chiedere il passaporto. Accoglienza, prima conoscenza, inserimento, italiano come L2, curricoli, territorio: in ogni passaggio l’indagine di Zoletto evidenzia che "
l’integrazione e l’intercultura non sono qualcosa che riguarda gli stranieri, ma riguardano tutti" (pag. 125).
In caso contrario il percorso si trasforma in un sentiero di disciplinamento dunzionalista in cui all’altro è chiesto di diventare "adatto" alla scuola italiana senza che questa in nessun modo viva il percorso di straniamento che la interpella.


L’intercultura e le sue tecniche


In questi anni la pedagogia italiana ha lungamente riflettuto sulla dimensione plurale ed interculturale della scuola entro una società multiculturale.
Tuttavia, ben presto le riflessioni si sono concentrate sulle tecniche della intercultura (spesso anche mal declinata e mal concepita) tralasciando di sottoporre ad analisi il senso delle tecniche stesse e l’orizzonte entro cui queste sono adoperate.
In questo modo è sfuggito il fatto che spesso le tecniche, pur validissime, se inserite in contesti e scenari di matrice omogeneizzante non possono che portare a risultati paradossali e contradditori.
Ha così ragione Zoletto quando scrive che "
mentre le teorie dell’intercultura parlano di mobilità, intrecci, meticciamenti secondo epistemologie pluraliste e complesse che sembrano assegnare pari valore a una molteplicità di punti di vista, le tecniche dell’intercultura assumono la forma di progettazioni e pianificazioni assai meno pluraliste e complesse, che si preoccupano soprattutto di identificare, ordinare, gestire in modo razionale e funzionale culture e identità che si vorrebbero rigide e schematiche, mentre sono sempre plurali e sfrangiate" (pag. 156).


Una pedagogia dell’ospitalità?


Da dove può nascere, allora una pedagogia dell’ospitalità?.
In primo luogo dal sentirsi spaesati. La relazione con gli alunni stranieri è infatti essa stessa sempre spaesante per gli insegnanti e gli educatori.
E proprio assumendo questo spaesamento l’ospitalità può diventare qualcosa di più che la semplice risposta ai bisogni agli allievi stranieri: "
in una scuola in cui tutti – insegnanti e allievi, stranieri e italiani – si scoprono ad un tempo ospitanti ed ospitati, l’ospitalità può diventare una dimensione che caratterizza la quotidianità della vita scolastica" (pag. 11).
Senza questo percorso di straniamento si corre il rischio di rivivere, ogni giorno, l’incontro tra Robinson e Venerdì.
Ricordate? Robinson, naufrago sull’isola, vede un’orma sulla spiaggia e pensa: "Un selvaggio …sulla mia isola?" Più o meno come ogni insegnante pensa, all’arrivo di un nuovo alunno : "Uno straniero nella …mia classe" Un selvaggio-studente a cui il nome viene dato da Robinson. Uno straniero a cui Robinson insegna a parlare.
Si, Robinson è, scrive Zoletto, uno dei prototipi degli insegnanti di Lingua 2: "poco dopo iniziai a parlargli e ad insegnarli a parlarmi" (pag. 81).
Non occorrono commenti per comprendere l’ambiguità della posizione di Robinson e dei tanti insegnanti-Robinson che, pur con tutte le buone intenzioni del caso, non riescono a vivere lo spaesamento e trasformano così la scuola in un luogo di disciplinamento che costruisce gli stranieri in quanto stranieri.
Ma un’altra possibilità esiste, scrive Zoletto: "In ognuna delle tappe del nostro percorso è emerso che ilprimo modoper costruire davvero una scuola più accogliente è quella di sentirsi noi, da insegnanti, stranieri in classe: non dare per scontato nulla delle nostre procedure, dei nostri metori, dei nostri contenuti, dei nostri contesti. Per poterli re-imparare (e reimmaginare) insieme ad allievi e allieve. Facendo ricerca assieme. Quasi dovessimo esercitarsi di continuo a una specie di autostraniamento che non può mai diventare metodo, ma che rimane proprio per questo alla base della nostra responsabilità di educatori" (pag. 159).


Verso una società plurale: da costruire assieme.


Il documento del Ministero sulle nuove indicazioni nazionali sottolinea che




La promozione e lo sviluppo di ogni persona deve stimolare in maniera vicendevole la promozione e lo sviluppo delle altre persone: ognuno impara meglio nella relazione con gli altri. Non basta convivere nella società, ma questa stessa società bisogna crearla continuamente insieme.


Si tratta di una riflessione fondamentale: Non basta convivere assieme, occorre creare assieme, ogni giorno, il contesto, la società, la classe in cui vivere assieme.
E per farlo nessuno può pensarsi come una volta per tutte già a casa propria.
Occorre sperimentare il difficile percorso del divenire stranieri, dello straniamento. Perché solo in questo modo sarà possibile costruire qualcosa di nuovo assieme.
Per questo, alla fine del libro, spesso l’unico straniero in classe risulta essere l’insegnante.
Come il Robinson i Defoe sull’isola che credeva deserta e di cui si sentiva padrone


Segnalato da ASGI "Associazione studi giuridici sull'immigrazione"

Maria Campagnolo email:luna672002@libero.it

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