Mediatori, mestiere nel caos: Stipendi incerti e pochi diritti
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Mediatori, mestiere nel caos:

Stipendi incerti e pochi diritti

 


 

Nessuno sa quanti sono, dove operano esattamente né con quali modalità. Ma sempre più li si ritrova nelle istituzioni italiane, con incarichi di volta in volta differenti: sono i mediatori culturali. Ospedali, questure, scuole, carceri, Comuni, ministeri, servizi sociali: queste e altre sono le sedi in cui operano a stretto contatto con gli immigrati. Frutto di un'Italia sempre più multiculturale, quella del mediatore è una professione in espansione e che sfugge alle definizioni. Spesso straniero egli stesso, il mediatore non di rado ha iniziato ad aiutare altri immigrati muovendosi nel mondo del volontariato, per poi formarsi con uno o più corsi professionali. Proprio i corsi di formazione sono uno degli aspetti più controversi. Vengono organizzati un po' da chiunque, con più o meno serietà, e con una durata totale che varia da meno di cento ore a più di mille. Alcuni rilasciano la qualifica, altri solo un attestato di partecipazione; in ogni caso i più ricercati sono quelli organizzati dalle Regioni, che a volte riescono anche a stabilire un percorso chiaro. "E' il caso del Piemonte, dove dal 1993 esiste un solo corso standard che oggi è anche l'unico a garantire l'accesso diretto al lavoro sul territorio della Regione", assicura Giovanna Zaldini, responsabile della mediazione culturale per il centro Alma Mater di Torino. Accanto ai percorsi professionali, dopo il 2000, sono nati anche corsi di laurea specifici come quelli dell'Università per stranieri di Siena e dell'università di Milano, che stanno sfornando i loro primi laureati. Ad aumentare la confusione sulla figura del mediatore c'è anche il proliferare delle definizioni. Oltre a quella più diffusa di "mediatore culturale", infatti, si sente parlare di "mediatore linguistico- culturale", "animatore interculturale", "operatore interculturale" e così via. A richiedere una definizione ufficiale e requisiti professionali più certi sono gli stessi lavoratori del settore, che a Roma hanno creato il Comitato costituente per l'associazione professionale dei mediatori culturali. A questo primo passo è seguito di recente un incontro (cui hanno partecipato mediatori provenienti da tutta Italia) in cui sono state gettate le basi dell'associazione ed è stata presentata la bozza dello statuto. Per l'italo-iracheno Latif Al Saadi, uno dei componenti più attivi del Comitato, bisogna "istituzionalizzare" la figura del mediatore: "Da un lato -- dice -- , la poca chiarezza danneggia la qualità del servizio offerto, dal momento che oggi si può ottenere un attestato da mediatore anche con corsi di poche ore. Dall'altro, finché non ci saranno regole noi continueremo a lavorare in modo precario, retribuiti con tariffe sempre diverse e discrezionali. Oggi siamo tanti, ma disorganizzati. Con l'associazione vogliamo fare un primo passo verso la creazione di un albo nazionale". "L'incontro che abbiamo organizzato è stato positivo -- aggiunge Danuta-Maristella Gaszowska, mediatrice di origine polacca e membro del Comitato -- , il prossimo sarà in autunno, quando approveremo lo statuto e creeremo ufficialmente l'associazione". 

 

I mediatori linguistico-culturali mettono a disposizione dei cittadini stranieri che vivono in Italia un insieme di conoscenze utili nel rapportarsi con il mondo delle istituzioni: scuole, strutture sanitarie, servizi sociali, questure, sportelli unici dell'immigrazione, per citarne solo alcuni. Possono lavorare anche per telefono, fornendo informazioni in diverse lingue sulla prevenzione delle malattie oppure raccogliendo le denunce dei cittadini che hanno subito episodi di discriminazione. Per capire meglio l'utilità di questa figura professionale può essere utile qualche esempio. Se una donna deve sottoporsi ad una visita ginecologica ma ha paure o diffidenze dovute alle usanze del suo Paese d'origine, una mediatrice culturale, da un lato, potrà assistere la donna, rivolgerle domande sul suo stato di salute e starle vicino spiegandole cosa le stanno facendo. Dall'altro lato, potrà aiutare il medico a gestire meglio la situazione e ad essere più sensibile alle esigenze della paziente. Ancora, se in una classe arriva un bambino che è scappato da una guerra, il mediatore culturale potrà, da un lato, aiutare il piccolo profugo a relazionarsi meglio con i nuovi compagni. Dall'altro, sostenere insegnanti e alunni affinché l'inserimento nella nuova realtà sia il meno traumatico possibile.

 

Così come non esiste una definizione ufficiale del ruolo del mediatore culturale, anche le regole sulla retribuzione e sul contratto di lavoro sono problematiche. Non esistono un albo della categoria né un tariffario standard per i pagamenti. Di conseguenza molti mediatori lavorano in modo precario e senza uno stipendio fisso. Hanno perlopiù contratti a progetto, la cui durata dipende dagli appalti pubblici vinti dalle singole organizzazioni: spesso ad aggiudicarseli sono gli enti che si sanno muovere meglio, hanno più agganci politici o forniscono più referenze. Per questo si viene retribuiti con tariffe discrezionali e la continuità lavorativa dipende dalla vicinanza del mediatore alle organizzazioni che ottengono gli appalti migliori più che dai singoli curriculum, per i quali non esistono criteri fissi di valutazione. Ma anche per i mediatori che lavorano da più tempo la vita non è facile. "Guadagno da un minimo di 250 euro al netto al mese a un massimo di 1.100", racconta Fatbardha Abazi, albanese, mediatrice dell'organizzazione non governativa Cies (Centro informazione educazione allo sviluppo). Cifre confermate a Torino dalla tunisina Zouhaira Ben Abdel: "Raggiungo il massimo d'estate, grazie alle sostituzioni e l'unica certezza che ho è un contratto a tempo indeterminato per due giorni a settimana". Contratto che, a Torino, è stato frutto anche del coinvolgimento dei sindacati. A Cagliari, invece, un accordo sull'orario minimo di impiego settimanale dei mediatori (25 ore) è stato raggiunto tra i sindacati e la Provincia. A preoccuparsi della retribuzione è anche Giovanna Zaldini, responsabile dell'agenzia di mediazione del Centro Alma Mater di Torino: "Il rischio è che, se gli appalti vengono vinti al ribasso, ossia assegnati a chi chiede meno soldi per gestire un servizio, i mediatori vengano pagati sempre meno". Con un ritorno al passato: "Oggi alcune agenzie vendono servizi di mediazione a 14 euro l'ora e solo la metà circa finisce al mediatore. Nel 1992, noi chiedevamo agli enti pubblici 28mila lire per la stessa prestazione". E c'è chi guadagna anche meno, come la togolese Juliette, mediatrice a Milano: "Lavoro per 3,6 euro all'ora in una scuola media -- racconta -- e quando la scuola finisce i fondi io resto a casa. E pensare che oggi ci sono anche corsi di laurea per mediatori, magari frequentati da persone che non hanno mai avuto a che fare con l'immigrazione e la diversità".

 

Zouhaira Ben Abdel non ha dubbi: "I casi più difficili, a livello professionale ed emotivo, sono le segnalazioni ai tribunali dei minori di Torino. Si tratta di situazioni delicate: a volte non ci sono reati, ma solo incomprensioni linguistiche e culturali che riguardano bambini e adolescenti figli di immigrati". Tunisina, 15 dei suoi 44 anni trascorsi in Italia, Zouhaira è una dei dodici mediatori culturali con contratto a tempo indeterminato che ruotano intorno all'agenzia di mediazione del centro Alma Mater di Torino. Nel 1993 ha partecipato al primo corso standard di 600 ore della Regione Piemonte: è stata quella la formazione che le ha permesso di inaugurare la sua attività di mediatrice di lingua araba. Un lavoro che svolge oggi soprattutto presso i servizi sociali: "Accompagno due volte a settimana famiglie disagiate, donne maltrattate e minori. Si fidano di più, hanno più coraggio ad aprirsi, quando con loro c'e una mediatrice che li capisce".

 

"Noi mediatori albanesi vivevamo nel campo profughi di Comiso per 15 giorni, a rotazione, restando a disposizione per qualsiasi emergenza 24 ore su 24. Tornavamo a Roma per perfezionare il percorso di formazione e ricevere sostegno psicologico, poi scendevamo di nuovo". Direttamente sul campo, durante l'emergenza della guerra del Kosovo del 1999, si è svolta la parte più importante della formazione di Fatbardha Abazi, 43 anni, mediatrice culturale del Cies (Centro informazione educazione allo sviluppo). Prima di seguire il corso accelerato del Cies, Fatbardha aveva lavorato per 4 anni nelle scuole materne ed elementari della capitale, facendo mediazione e animazione culturale. A cominciare dall'emergenza del campo profughi, gran parte della sua attività si è svolta poi all'interno delle questure per l'orientamento degli stranieri, da Bari a Brindisi, da Lecce a Roma, "fino allo Sportello unico immigrazione di Roma, dove lavoro dal mese scorso".

 

Per chi ha seguito il percorso universitario per diventare mediatore, il futuro lavorativo non è ancora del tutto chiaro. I primi corsisti si stanno laureando adesso, ma sarà il mercato del lavoro il banco di prova della loro laurea. Francesca Moino, 24 anni, sta partendo per la Cina, dove resterà per qualche mese prima di concludere i cinque anni di corso di laurea in Mediazione linguistica e culturale all'università di Milano. Più che inserirsi nel settore dei servizi pubblici frequentati dagli stranieri che vivono nella sua città, Francesca vorrebbe entrare in contatto con gli istituti di cultura. Per ora ha lavorato solo come interprete alla Fiera di Milano, accompagnando gruppi di imprenditori cinesi. Martina Pistarà, altra laureanda di Milano, più che insegnare l'italiano ai figli di immigrati preferirebbe un futuro in azienda. Ha già lavorato per una società di abbigliamento, con sede ad Alessandria, che ha accesso al mercato della Cina

 

I modi per diventare mediatore culturale sono tanti. Enti pubblici e privati come Regioni, associazioni e università, ciascuno a proprio modo, offrono numerosi percorsi formativi per questa nuova figura professionale. Di norma i corsi si distinguono tra quelli che prevedono un numero di ore inferiore o superiore a 600: alcuni danno diritto a un semplice attestato di partecipazione, altri riconoscono la qualifica. Tra i più autorevoli ci sono quelli organizzati dalle Regioni. Proprio di 600 ore è il corso standard finanziato ogni anno dal Piemonte, che fornisce un attestato di qualifica: esiste dal 1993, ed è l'unico percorso formativo a garantire l'accesso diretto al lavoro sul territorio regionale. E' una soluzione adottata per evitare il caos che regna altrove, dove una tale formazione non è vincolante per esercitare. Altro esempio è quello della Campania, che l'anno scorso ha organizzato un corso di secondo livello. I destinatari, per essere ammessi, dovevano aver già frequentato un corso che rilasciasse attestato o qualifica regolare, essere in possesso almeno di un titolo di qualifica professionale, essere residenti nella regione ed aver avuto un rapporto di lavoro della durata di almeno un mese. Il Lazio invece punta a una preparazione da seguire anche a distanza: per questo ha promosso il Comec, corso on line per mediatori culturali del costo di 300 euro, che rilascia un certificato di frequenza. Alla formazione pensano da anni anche organizzazioni non governative come il Cies (Centro informazione educazione allo sviluppo) di Roma, veterano nel campo, che prepara nuovi professionisti con competenze linguistiche e culturali adatte a una popolazione in trasformazione: è il caso dei mediatori originari dell'Europa dell'Est, oggi molto richiesti. Inoltre il Cies e le altre associazioni che hanno al loro interno mediatori puntano anche a riconoscere e perfezionare le competenze degli operatori che già lavorano in specifici settori, dalla scuola alla sanità, a seconda dei progetti che vengono finanziati. Della formazione dei mediatori si occupano oggi anche le istituzioni accademiche. A cominciare dall'Università per stranieri di Siena e dall'università degli studi di Milano che, dall'anno accademico 2001- 2002, hanno inaugurato corsi di laurea triennali accompagnati da specializzazioni, per la durata complessiva di cinque anni di studi. I costi sono gli stessi degli altri corsi di laurea e variano a seconda del reddito dello studente.

 

alen custovic e paula baudet vivanco

(23 luglio 2006)

 



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