Relazione scuola dal Seminario Nazionale Opera Nomadi
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Relazione scuola dal Seminario Nazionale Opera Nomadi




In attesa degli “Atti dell'VIII Seminario Nazionale Opera Nomadi”, si riporta la relazione introduttiva sulla scolarizzazione dei bambini rom sinti e caminanti, di Renata Paolucci.
“La mancanza di una politica dell’accoglienza che punti sulla valorizzazione della cultura rom e sinta e sul rispetto delle differenze, rischia di fare di questi bambini dei “diversi” influendo pesantemente sul loro grado di autostima e sui rapporti che si creano all’interno della classe. Si rischia che la scuola venga vissuta dai minori e dalle famiglie come un ambiente ostile, che svaluta la loro cultura e la relega a condizioni di svantaggio”.
“E’ evidente, quindi, come il problema dell’evasione e della dispersione scolastica non prescinda dal problema abitativo, igienico, e di futuro inserimento lavorativo e sia necessario attivare quindi progetti a 360 gradi mirati al superamento di tutte queste problematiche”.

Opera Nomadi
Ente morale (D.P.R. 26.03.70 N° 347) - Onlus

VIII° Seminario Nazionale
6/7 dicembre 2005

Relazione introduttiva sulla scolarizzazione
dei bambini rom sinti e caminanti
GRUPPO “SCUOLA”

A cura della Prof.ssa Renata Paolucci
Consigliere Nazionale Opera Nomadi
Referente Scuola Opera Nomadi Nazionale


LA SCOLARIZZAZIONE IN ITALIA
In Italia la piena scolarizzazione della popolazione dai 6 ai 10 anni è stata raggiunta sia per i maschi che per le femmine già a partire dagli anni ‘50 e a metà degli anni ’60 la riforma della scuola media consentì di completare la scolarizzazione con riferimento all’intero ciclo dell’obbligo scolastico.
L’esigenza di ottemperare al diritto all’istruzione per i minori rom e sinti si è sentita nel 1959, a livello di volontariato nelle carovane e negli edifici privati e, sulla scia di queste esperienza, lo Stato Italiano nel 1965 si dotava di uno strumento istituzionale costituito dalle classi speciali “Lacio Drom” (Buon cammino) che da 11 raggiunsero un numero di 60 nel 1970. Classi speciali quindi, all’inizio all’interno di edifici scolastici per favorire la socializzazione e, in seguito, a causa dell’opposizione dei responsabili locali della scuola e dei genitori degli altri alunni, i bambini rom e sinti furono ghettizzati in locali appartati, non idonei e isolati. Nel 1974, venne dichiarata l’eccezionalità di tali classi e fu disposto che i minori rom e sinti fossero inseriti nelle classi comuni, conservando però le classi speciali con una funzione di accoglienza di quegli alunni che presentavano un notevole ritardo scolastico o che avevano una frequenza irregolare, a causa della vita nomade. Nel 1982 ci fu la definitiva soppressione delle classi speciali, riconoscendo, nel caso gli alunni avessero difficoltà di apprendimento per l’appartenenza ad una cultura diversa o per il problema del bilinguismo (il “romanès” per alcuni è la sola lingua parlata in famiglia, per cui si rende necessario insegnare l’italiano come L2), un insegnante di sostegno.
Nel 1986 il Ministero diede nuove disposizioni in materia di scolarizzazione dei minori rom e sinti, disposizioni che precorrono la Risoluzione Europea del Consiglio dei Ministri dell’Educazione del 22/05/1989. Dopo aver richiamato la scuola materna, elementare e media al principio dell’obbligo scolastico che non è solo obbligo dei ragazzi a frequentare la scuola, ma anche obbligo della scuola ad assicurare il massimo possibile di apprendimento a tutti i frequentanti, il Ministero prescrive ad essa l’impegno di offrire un servizio adeguato nel “massimo rispetto dell’identità culturale dei soggetti interessati e il dovere di predisporre, per quanto possibile, un’organizzazione proficua, soddisfacente e rispondente ai reali bisogni degli stessi”.
Altro elemento importante è la creazione presso i Provveditorati agli Studi e gli Uffici Scolastici Provinciali di un Centro di competenze specifiche con il compito di conoscere, vagliare, coordinare, le iniziative scolastiche sul territorio, in collegamento con l’apposito gruppo di lavoro che avrebbe dovuto funzionare al Ministero, con gli Enti locali chiamati a garantire i servizi integrativi necessari per la piena scolarizzazione. Nel 1989 e nel 1990 infine, il Ministero della Pubblica Istruzione ha emanato due importanti Circolari riguardanti il diritto all’istruzione ai figli degli immigrati, quindi anche dei Rom giunti dall’Europa Orientale: la scuola li deve accogliere anche se i genitori sono privi di permesso di soggiorno e realizzare un’educazione interculturale sia per superare ogni forma di rigetto, sia per garantire ai bambini stranieri il rispetto della loro cultura.
Non solo, ma a proposito della lingua “romanès” nel 1981 il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione aveva approvato ed inviato al Ministero una Raccomandazione (n° 125) della lingua zingara insistendo non solo sul rispetto della lingua e della cultura nelle scuole ma anche chiedendo appositi corsi di formazione di Rom e di Sinti in grado di insegnare la propria lingua (tutto ciò non fu mai attuato).
A tutt’oggi nonostante le Disposizioni Ministeriali, la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia e le Raccomandazioni n° 563 del 1969, n° 1203 del 1993, n° 11 del 1995, n° 4 del 2000 adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 03 febbraio 2000 sulla scolarizzazione dei Fanciulli rom e sinti in Europa e le Risoluzioni n° 125 del 1981, n° 249 del 1993, n° 16 del 1995, ancora pochi sono i progetti avviati nel nostro paese per permettere un proficuo inserimento scolastico dei Bambini rom e sinti, e si continua purtroppo a registrare un elevato numero di minori che evadono la scuola dell’obbligo o la frequentano saltuariamente.
Purtroppo, dopo un periodo di discreto interesse da parte delle Istituzioni, che ci permetteva di pensare, lavorando in sinergia, di poter cominciare a risolvere le problematiche inerenti la scolarizzazione, ultimamente sembra che da parte degli Enti Locali, delle Regioni e dell’Istituzione Scuola, tale interesse si sia affievolito.
E’ stato fatto un passo avanti con la firma del Protocollo di Intesa per la tutela dei Minori rom e sinti, tra l’Opera Nomadi e il Miur. Tale protocollo dovrebbe stimolare e sensibilizzare le varie Direzioni Regionali, i C.S.A., le Regioni e gli Enti Locali a investire risorse economiche per attivare iniziative atte a contrastare il fenomeno dell’abbandono e della dispersione scolastica, a favorire l’inserimento e l’integrazione dei minori rom, sinti e camminanti , a promuovere iniziative di formazione, specifiche.
Abbiamo infatti constatato che si risolve, almeno in parte la piaga dell’evasione scolastica, solo attraverso progetti mirati che impegnino mediatori culturali ed operatori a svolgere un lavoro di recupero scolastico e di inserimento socio-culturale di mediazione, appunto, con la famiglia e con la scuola.
Confrontando le varie esperienze vissute dagli operatori che lavorano nei progetti di scolarizzazione dei bambini rom, sinti e camminanti presenti in Italia si sono individuate alcune problematiche ricorrenti, legate all’apprendimento scolastico:
- difficoltà di memorizzazione.
- Difficoltà di mantenimento dell’attenzione e della concentrazione.
- Difficoltà della lettura, scrittura e comprensione di un testo.
- Difficoltà nel tradurre in forma scritta pensieri, conoscenze e contenuti appresi e precedentemente espressi oralmente.
- Difficoltà di astrazione: scarsa capacità di applicare regole logiche che prevedono il passaggio dal particolare la generale dal concreto all’astratto.
- Scarsa conoscenza lessicale e difficoltà di comprensione delle regole grammaticali.
Riteniamo che tali problematiche siano da attribuirsi a :
1) il limitato interesse suscitato dagli argomenti trattati a scuola: le materie insegnate non trovano alcun riscontro pratico nelle esperienze quotidiane maturate in ambito familiare pertanto la scuola viene vissuta come un’istituzione inutile che non fornisce strumenti adeguati al proprio stile di vita.
2) l’appartenenza ad un cultura orale. Infatti nella società dei Rom e dei Sinti non esiste nessuna cultura di linguaggio codificato, è un mondo di suoni e quindi di azione; il suono, infatti, significa avvenimento e la parola parlata è evento non oggetto, non significa ma agisce. Le parole hanno potere sulle persone e possono provocare danni, sono come armi. L’uomo orale è dogmatico (si racconta solo la verità) e, per questo, ciò che viene raccontato non permette la capacità di critica e la possibilità di confronto. Il racconto è una forma di insegnamento e la conoscenza si fonda sulla vita collettiva, su ciò che è stato detto, che viene aggregato e accumulato mnemonicamente. Il racconto è condizionato dalla prossimità e manca la dimensione del tempo narrato. L’oralità dipende dalla socialità e respinge l’individualismo.
A scuola, perciò, per chi è abituato alla tradizione orale, le difficoltà sono le seguenti:
a) mancanza di abitudine all’osservazione
b) difficoltà a ridurre il vissuto a dimensione visiva.
c) mancanza di abitudine alla critica e al confronto.
Per una cultura specializzata nella sintesi orale, l’osservazione visiva è irrilevante; la scrittura, invece, sviluppa la percezione visiva e l’osservazione individuale (per osservare qualcosa, quel qualcosa deve stare fermo mentre il suono esiste nel tempo e non si ferma). Se la tradizione orale respinge l’individualismo (l’uomo esiste nella socialità), la scrittura stacca l’uomo dal gruppo, dà origine al pensiero originale isolato e presuppone l’introspezione che manca nella cultura orale dove l’uomo è più attento a cogliere le opinioni degli altri piuttosto che a riflettere sulle proprie affermazioni. Per la cultura orale il nostro modo di comunicare è inefficace, la scuola dovrebbe quindi adottare metodi diversi e munirsi di strumenti idonei per permettere a questi bambini di apprendere, passando, appunto, dallo loro cultura orale a quella della scrittura.
3) all’interno di molti gruppi familiari i minori parlano il romanès: ne deriva quindi che l’italiano risulta essere la II^ se non la III^ lingua, (è il caso dei rom stranieri che parlano anche la lingua del paese di ultima provenienza, dei sinti veneti, lombardi, marchigiani , ecc e dei Rom dell’Italia meridionale che utilizzano parlate dialettali) e l’utilizzo che ne fanno è limitato a fini pratici. Il “romanès” presenta una struttura molto diversa da quella della lingua italiana e pertanto risulta difficile per i bambini rom e sinti comprendere e utilizzare in maniera adeguata la nostra sintassi.
4) la mancanza di un percorso prescolastico: il forte senso di protezione dei genitori nei confronti dei figli in giovanissima età e l’importanza che questi gruppi attribuiscono all’educazione familiare si manifestano in atteggiamenti di resistenza nei confronti della scuola materna. Di conseguenza i bambini rom e sinti affrontano la classe I^ senza quei prerequisiti indispensabili ad accedere con facilità e in tempi brevi, al pari degli altri compagni, all’apprendimento della lettura e della scrittura.
5) L’analfabetismo e la diffidenza, più o meno accentuata, a seconda dei gruppi di appartenenza, dei genitori nei confronti della società dei gagè. Accettano con difficoltà l’inserimento scolastico dei loro figli, considerando non formativo l’incontro con la nostra ed eventualmente altre culture. Il più delle volte la scuola viene più o meno frequentata per fini utilitaristici.
6) La mancanza di una politica di accoglienza da parte delle scuole che deve avvenire in modo serio e progettuale. Deve consistere in una prima fase temporale ben precisa del primo arrivo con l’incontro tra chi arriva e chi c’è già e deve continuare con atteggiamenti e attitudini nei confronti dell’alterità e della differenza.
Accogliere ed essere accolto significa prestare attenzione ai bisogni dell’altro, sviluppando atteggiamenti di apertura, ascolto e reciprocità. Per tutto ciò è necessario adottare una serie di dispositivi, norme, atti, circostanze e risorse previsti e realizzati in una determinata fase, da parte di chi accoglie.
La mancanza di una politica dell’accoglienza che punti sulla valorizzazione della cultura rom e sinta e sul rispetto delle differenze, rischia di fare di questi bambini dei “diversi” influendo pesantemente sul loro grado di autostima e sui rapporti che si creano all’interno della classe. Si rischia che la scuola venga vissuta dai minori e dalle famiglie come un ambiente ostile, che svaluta la loro cultura e la relega a condizioni di svantaggio. Spesso si utilizza una didattica che tende ad accentuare le diversità e le difficoltà anziché superarle, valorizzando i punti comuni e le potenzialità di ciascuno, condizione indispensabile per attuare un’ effettiva integrazione. Il livello di integrazione ed il grado di autostima influenza, non solo l’impegno e quindi il successo scolastico, ma anche la frequenza.
A differenza dei bambini stranieri, per i Rom e i Sinti, la politica dell’accoglienza deve essere mantenuta nel tempo, pena il rischio di distanza e di conflitti difficilmente recuperabili.
7) Non è da sottovalutare, anzi da porre in rilievo come l’habitat influisca sulla frequenza e sul rendimento scolastico: dove esistono condizioni abitative decorose, alloggi, case, terreni privati, ecc., più facilmente si nota un abbassamento delle percentuale di coloro che evadono l’obbligo scolastico.
E’ evidente, quindi, come il problema dell’evasione e della dispersione scolastica non prescinda dal problema abitativo, igienico, e di futuro inserimento lavorativo e sia necessario attivare quindi progetti a 360 gradi mirati al superamento di tutte queste problematiche.
E soprattutto è necessario mirare al superamento dei campi nomadi, dove esistono, che risultano essere una prospettiva non solo ghettizzante ma, come da definizione dell’ European Roma Right Center “l’emblema della segregazione razziale per eccellenza” e, secondo il Comitato per l’Eliminazione delle Discriminazioni dell’ONU, “un mix tra le favelas e i campi di concentramento” (l’Italia è l’unica nazione dell’Europa che ne mantiene l’esistenza).

EDUCAZIONE INTERCULTURALE
Accanto ad una politica dell’accoglienza, è di fondamentale importanza prevedere di applicare nelle scuole la didattica interculturale. Esiste una normativa dell’interculturalità nel nostro ordinamento scolastico; i documenti sono numerosi e di diversa natura, tra questi i più significativi sono:
1) Circolare n° 301 del 08/09/1989 e la successiva Circolare Ministeriale n° 205 del 26/07/1990, la n° 73 del 02/03/1994, La Pronuncia del C.N.P.I. del 23/04/1992 e del 24/03/1993, i programmi della scuola media che risalgono al 06/02/1979, della scuola elementare del 12/02/1985, la Legge di riforma dell’ordinamento della scuola elementare del 05/06/1990 n° 148..
Nonostante le Circolari Ministeriali, la Pronuncia del C.N.P.I., le premesse generali ai programmi dei vari ordini di scuola, i programmi della scuola elementare e della scuola media, ancora in molte scuole la didattica interculturale non viene applicata. Si tende a fornire un’educazione multiculturale al posto di un’educazione interculturale. L’educatore che assume una prospettiva multiculturale considera la coabitazione delle differenze etniche, culturali e religiose come un processo storico naturale di cui si prende atto, imposta tra le diverse culture un rapporto di tipo oggettuale (è una cultura in più da approfondire) tutto basato sull’oggetto dello studio e sulla materia. Quando invece l’educatore costruisce un progetto educativo intenzionale, cioè compie una scelta, passa dal multiculturale all’interculturale, non riducendo l’altra cultura ad un oggetto di studio in più ma imposta il rapporto tra le culture in questo modo: non oggettuale ma soggettuale, non estrinseco ma intrinseco, non cumulativo ma interattivo, non enciclopedico ma epistemico nel senso che l’altra cultura deve interessare per modificare lo spettro di indagine, assumendo un punto di vista diverso sulla realtà, esterno al proprio sistema cognitivo.
L’educazione interculturale non è naturale ma deve essere voluta e provocata, l’insegnante stesso deve avviare un processo personale di decostruzione mentale data da stereotipi e pregiudizi, cambiando la sua visione del mondo, superando il concetto di monocultura e di centralità europea.
L’educazione interculturale è: riconoscimento dell’identità dell’altro, tutela e promozione del diritto di cittadinanza, educazione antirazzista, prevede e comprende atteggiamenti e comportamenti, è superamento del monoculturalismo. E’ un processo multidimensionale di interazione tra soggetti di identità culturale diverse, che, attraverso l’incontro (interculturale), vivono un’esperienza profonda e complessa di conflitto/accoglienza. Ciò diviene una preziosa opportunità di crescita della cultura personale di ciascuno nella prospettiva di cambiare tutto quello che è di ostacolo alla costruzione comune di una convivenza civile, è, infine, considerarsi cittadini del mondo superando il concetto di nazionalismo dato dalla rigidità delle frontiere.
Tutto ciò si può riassumere nei quattro elementi strutturali dell’interculturalità:
a) l’interazione.
b) L’empatia.
c) Il decentramento.
d) La transitività cognitiva.
Il conseguimento degli obiettivi succitati esige almeno tre cambiamenti del sistema scolastico:
a) l’attuazione del principio delle pari opportunità,
b) Il rifacimento dei libri di testo e l’adozione di tecniche attive e di strumenti multimediali.
c) La riqualificazione degli educatori.

FINALITA’ DEI PROGETTI
I progetti che devono essere attivati per favorire l’integrazione scolastica dei bambini rom e sinti devono avere le seguenti finalità:
1) incentivare e regolarizzare la frequenza dei Rom e dei Sinti nella scuola materna, elementare e media.
2) Migliorare la convivenza tra gli alunni rom e sinti e gagè.
3) Combattere la formazione di stereotipi e pregiudizi.
4) Migliorare il livello di apprendimento dei bambini rom e sinti, sensibilizzare, informare e aggiornare gli insegnanti e le diverse componenti scolastiche ed extra-scolastiche perché approfondiscano la conoscenza del mondo dei Rom e dei Sinti.
5) Coinvolgere le famiglie rom e sinte nella partecipazione alla vita della scuola.
6) Coordinare gli interventi dei diversi ordini di scuola, dell’Ente locale e delle USL.
7) Contribuire alla diminuzione dell’emarginazione sociale dei Rom e dei Sinti.
8) Favorire l’inserimento lavorativo e sociale, qualificato per la loro realtà.
9) Ottenere che in futuro si possa arrivare al superamento del progetto stesso. Dobbiamo cercare di contribuire a costruire una scuola specializzata in cui la riflessione sulla pluralità incammini il pensiero verso una maturità interculturale, dove venga riconosciuta la ricchezza che deriva dal dialogo e dalla scambio fra diversi orizzonti culturali, per una ridefinizione degli stessi.
Con una buona accoglienza da parte delle scuole, con l’attivazione di una didattica finalizzata all’educazione interculturale e con la nostra presenza come operatori e mediatori, di deve mirare a ottenere che gli alunni rom e sinti che si affacciano al mondo scolastico della cultura maggioritaria con una assenza totale di autostima, SI SENTANO IMPORTANTI E INTERESSANTI al pari degli altri. Per farli sentire interessanti deve essere messa in evidenza e valorizzata all’interno delle classi, la loro lingua d’origine, la loro storia e la loro cultura, perché siano e si sentano importanti, al pari degli altri bambini, si deve arrivare ad una maturazione della loro personalità, mantenendo la cultura d’origine senza che venga assimilata nella nostra e, come a tutti, deve essere data anche a loro la possibilità di scelta nella vita.

CONCLUSIONI
Purtroppo non siamo in grado ancora di rilevare delle percentuali reali riguardanti l’evasione e la dispersione scolastica dei minori appartenenti alle comunità rom sinte e camminanti. Auspichiamo che, grazie al Protocollo di Intesa possa attivarsi un progetto di monitoraggio a ,livello nazionale anche con il sostegno economico della Comunità Europea, della popolazione rom, sinta e camminante presente in Italia. Tale progetto, pur mantenendo l’anonimato delle persone, permetterebbe di rilevare il reale numero dei minori che evadono la scuola dell’obbligo. Infatti i dati forniti dalle scuole rispecchiano solo in piccola parte la realtà; è necessario contattare i Rom e i Sinti, famiglia per famiglia, negli alloggi, nelle case, nei terreni privati, nei campi comunali e nei campi abusivi.
E’ indispensabile anche investire risorse economiche per finanziare seriamente i progetti di cui si è parlato in precedenza, se effettivamente esiste la volontà politica di tutelare i diritti della popolazione dei Rom e dei Sinti; altrimenti i vari Seminari, i vari Convegni e tutti i bei discorsi rimangono lettera morta e perdita di tempo e, intanto, quelle persone con i loro bambini continuano ad essere vittime di pregiudizi, del razzismo e di ghettizzazione totale.


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