Gli artisti cubani cantano ... malgrado tutto
Condividi questo articolo


Cantano, malgrado tutto



Hernando Calvo Ospina
«De Alto Cedro voy para Marcané / Luego a Cueto voy para Mayari»(1).
Riprendendo espressioni nate dalla fantasia popolare, gli artisti cubani interpretano canzoni che si ispirano alla vita reale, alle cose semplici. Sonorità forti, armoniose, che si ispirano alla tradizione africana, europea e araba. Questi musicisti divertono e fanno ballare il pubblico di tutto il mondo. Sempre in tournée, ricevono elogi entusiastici ovunque e la loro formazione professionale e artistica è per lo più di alto livello. Nonostante ciò, rimangono accessibili ai loro compatrioti. Spesso simpatici e chiacchieroni, non è raro vedere questa spontaneità scomparire quando un giornalista straniero chiede loro un'intervista. E hanno le loro buone ragioni: «Con noi la stampa internazionale cerca sempre l'aspetto politico delle cose per deformare le nostre affermazioni, per danneggiare Cuba e la rivoluzione», dice Chucho Valdés, uno dei pianisti più completi del mondo, premiato con cinque Grammy Award e con diverse lauree honoris causa, a dimostrazione della sua fama internazionale.


Nel 1960 alcuni artisti hanno lasciato il paese, quando hanno capito che la rivoluzione avrebbe messo fine alla bella vita organizzata da Cosa Nostra. Quest'ultima aveva fatto dell'isola il cabaret e il centro di prostituzione più grande dei Caraibi. La fuga si è accelerata quando il governo ha riformato il sistema di produzione musicale.


A partire da quel momento le radio, la televisione e le case discografiche sono state nazionalizzate e raggruppate; la pubblicità è stata vietata; gli artisti hanno cominciato a ricevere uno stipendio stabile e uguale per tutti.


All'inizio del 1962 il continente americano perde la sua principale fonte di musica popolare da ballo quando il presidente americano John F. Kennedy, seguito da quasi tutti i governi del continente, rompe ogni tipo di relazione con L'Avana. Per la musica popolare gli effetti di questo isolamento si aggravano con le misure prese sull'isola. Il jazz, il rock e il pop, considerati veicoli di «penetrazione imperialista», sono di fatto censurati per alcuni anni. Definiti «vestigia» di un'epoca che si considera finita, la produzione di musica da ballo, la sua diffusione e i grandi concerti di massa si riducono considerevolmente. «Di fatto queste musiche sono diventate tabù, e si è cominciato a darne un'immagine sbagliata», commenta Juan Formell, il cui gruppo Van Van, creato proprio durante questo periodo (alla fine degli anni Sessanta), è diventato un simbolo cubano mondiale. «In realtà non sono mai state vietate ufficialmente, non c'è mai stato un ordine esplicito, solo la decisione di alcune persone».
Infatti alla ricerca forse della purezza culturale e sociale della rivoluzione, alcuni funzionari fanno espellere o criticano severamente gli allievi di conservatorio sorpresi a suonare jazz o musica popolare.


«Si trattava di poche persone che avevano deciso di complicarci la vita perché credevano che dopo la musica classica - la musica "colta" - non potesse esserci niente altro», conferma Giraldo Piloto, uno dei più giovani compositori cubani di oggi, percussionista e direttore del gruppo Klimax. Oggi Chucho Valdés afferma: «Nei primi tempi abbiamo vissuto un periodo di incomprensioni e di errori. Ma è normale che all'inizio di una rivoluzione ci sia confusione. È per questo motivo che una rivoluzione è una rivoluzione. In quel momento qualcuno ha smesso di suonare; noi invece abbiamo continuano la nostra battaglia, fino a vincerla».
Nel 1977 l'arrivo del governo del presidente James Carter sembra mitigare l'aggressività degli Stati uniti nei confronti di Cuba.


Diversi gruppi di giovani artisti vanno in America del nord e dimostrano che la produzione artistica dell'isola, anche se molto lentamente, continua a evolvere. Quello stesso anno arriva a Cuba una nave con più di cinquanta musicisti jazz guidati da Dizzie Gillespie e Dave Amram. All'incirca nello stesso periodo La Típica 73 diventa il primo gruppo latino di salsa degli Stati uniti a visitare l'isola. Al loro ritorno i musicisti ricevono a New York e a Miami minacce di morte, mentre numerose radio boicottano le loro canzoni.


Ritroviamo le stesse reazioni quando nel 1983 il salsero venezuelano Oscar d'León partecipa al Festival internazionale di musica di Varadero.


Poco dopo le organizzazioni controrivoluzionarie di Miami chiedono al cantante delle scuse pubbliche e l'impegno a non tornare più a Cuba se vuole evitare il boicottaggio della sua musica. Per timore di perdere questo immenso mercato, d'León si piega alle richieste.
A partire da questo momento è solo al contagocce e quasi sempre clandestinamente che un piccolo gruppo di orchestre di musica latina osano esibirsi sui palcoscenici di Cuba.
All'inizio degli anni Novanta, il crollo del blocco socialista provoca gravi conseguenze per l'economia cubana, compreso nel settore artistico.


«Gli strumenti sono diventati molto cari», spiega Pancho Amat, uno dei più grandi virtuosi mondiali del tres (la chitarra a tre corde doppie), «e gli studenti non hanno più accesso al conservatorio Ciaikowskij di Mosca. Andare laggiù significa spendere un sacco di dollari, lo zucchero non è più accettato come mezzo di pagamento».
Approfittando dell'isolamento politico di Cuba, Washington rafforza il blocco economico adottando leggi di tipo extraterritoriale - contrarie ai trattati internazionali - che rendono molto difficile per qualunque paese commerciare con l'isola. Di fronte a questa situazione L'Avana decreta un «periodo speciale».


Flautista eccezionale e capo dell'orchestra NG La Banda, José Luis Cortés ricorda: «In questa situazione terribile, con la pancia vuota, senza elettricità né gas, abbiamo cercato di dare un po' di gioia al popolo suonando gratuitamente in campagna, nelle fabbriche, nei quartieri. Una parte di quello che abbiamo guadagnato suonando all'estero lo abbiamo dato per fare in modo che non mancasse il latte nelle scuole».
Paradossalmente è proprio nel corso di questo «periodo speciale» che si assiste al boom della musica popolare da ballo cubana e il Buena Vista Social Club diventa un fenomeno mondiale. Diretto dall'americano Ry Cooder e dal cubano Juan de Marcos González, questa all stars riunisce la voce di grandi artisti del passato come Compay Segundo, Omara Portuondo e Ibrahim Ferrer, e gli strumenti di giovani musicisti, per interpretare delle canzoni di prima della rivoluzione.
Tuttavia la carriera di un artista cubano, anche se famoso, è piena di imprevisti. Per suonare sul territorio degli Stati uniti deve essere invitato da un'università o da un'istituzione culturale. Le leggi americane vietano l'esistenza di qualunque tipo di contratto commerciale con Cuba e il denaro può essere versato solo a titolo di rimborso spese. Inoltre ottenere un visto dal Dipartimento di stato è un vero e proprio terno al lotto. Non c'è alcuna logica politica, se lo si è ottenuto una volta, non è detto che lo si avrà la volta successiva. Può capitare che tutti i membri di un gruppo lo ottengano tranne il capo dell'orchestra o uno dei musicisti più importanti.
È il trattamento che hanno ricevuto i membri di Buena Vista Social Club e lo stesso Chucho Valdés, al quale peraltro sono state consegnate le «chiavi» di città americane come San Francisco, Los Angeles, Madison e Neuilly. Il visto viene rifiutato in base all'applicazione della legge sull'emigrazione 212-f, la stessa che è adottata per i terroristi, gli assassini e i trafficanti di droga.
«Siamo "puniti" perché creiamo all'interno della rivoluzione e rimaniamo in questa isola "comunista", "castrista" o come preferite chiamarla», reagisce Juan Formell, senza nascondere la sua indignazione. «Una "punizione" che ci è stata inflitta anche in America latina e a volte in Europa, impedendoci l'accesso alle reti di promozione. Sono infatti le imprese americane che decidono su questo mercato e rischierebbero una multa da parte del Dipartimento del tesoro se lavorassero con noi».
Tuttavia il successo inatteso di Buena Vista Social Club, con i suoi milioni di dischi venduti, ha permesso ai suoi membri di firmare dei contratti con filiali transnazionali americane. Ma altri artisti che erano riusciti a ottenere un contratto di questo tipo hanno avuto meno fortuna e sono stati completamente emarginati, poiché non hanno beneficiato di alcuna distribuzione.
Quando si chiede a questi grandi artisti perché rimangono a Cuba, le risposte vengono direttamente dal cuore. Formell: «All'estero mi hanno offerto soldi, ville e grandi mercati. È tutto molto allettante.
Ma le condizioni che mi chiedono in cambio sono inaccettabili. In altre parole mi si chiede di lasciare definitivamente Cuba». Adalberto çlvarez, un grande rinnovatore dei ritmi tradizionali cubani: «Viaggio, mi guardo intorno e mi dico: perché andare via? Nessuno può dire che a Cuba esiste la miseria nella quale milioni di persone vivono in America latina o negli stessi Stati uniti. I nostri problemi sono veramente poca cosa rispetto a quelli che ho visto all'estero».
Il grande Ibrahim Ferrer, morto il 6 agosto scorso all'età di 78 anni, dopo aver conosciuto - sul tardi - la gloria in tutto il mondo, diceva di sentirsi molto fortunato di vivere nel suo paese: «Racconto ai miei nipotini come si viveva prima della rivoluzione, in modo che imparino ad apprezzarla, perché quando avevo la loro età non ho avuto neanche la possibilità di imparare a scrivere il mio nome».
Ed ecco come Giraldo Piloto vede la sua vita a Cuba: «Anche se qui abbiamo molti problemi, perché non credo che siamo una società perfetta, sono convinto che all'estero avrei molte difficoltà a realizzare il mio progetto. Ci sarà un produttore che mi imporrà la musica che devo suonare e se questa non mi piace, dovrò fare qualcos'altro per vivere. Qui invece faccio la musica che mi piace. Che cosa può chiedere di più un artista?» Quando li si vede sulla scena, non si immagina che questi artisti difendono il loro sistema politico con tanto entusiasmo. Anche se non si fanno scrupoli a parlare degli errori compiuti nel corso della costruzione della «loro» rivoluzione.
Un artista senza peli sulla lingua come José Luis Cortés afferma: «Fidel decida se essere comunista o socialista, per quanto mi riguarda io sono "fidelista". Mi è capitato più di una volta di discutere con qualche burocrate, ma questa non è certo una ragione per dichiararsi contro la rivoluzione. A Cuba tutto è politico ed è così che ci si batte. Se la democrazia degli Stati uniti garantisce tutte le libertà, perché allora non ci lasciano tranquilli? Se qui esiste un Partito comunista, perché non lo si lascia in pace? Ci odiano perché non possono dirci quello che dobbiamo fare. Abbiamo il diritto di avere il sistema che vogliamo. E quello che abbiamo lo cambieremo il giorno in cui ci farà più piacere. E Fidel lo sa!».
All'indomani di un concerto davanti a migliaia di giovani entusiasti nella capitale cubana. David Calzado ammette: «Ho la mia storia, che non è quella del comunismo né della rivoluzione, ma quella di una realtà oggettiva. Sono un prodotto di questo sistema che mi ha dato la possibilità di essere quello che sono: un artista nero e un uomo felice, qui, a Cuba».



note:

* Giornalista, autore di Sur un air de Cuba, Le Temps de cerises, Pantin, 2005.

(1) «Da Alto Cedro vado a Marcané / Poi da Cueto vado a Mayari» (Compay Segundo e il Buena Vista Social Club, Disky Music Products, 2000).
Alto Cedro, Marcané, Cueto e Mayari sono città della regione orientale di Cuba.
(Traduzione di A. D. R.)


http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/ultimo/0512lm10.02.html#1



Condividi questo articolo

in Multimedia: Gli artisti cubani cantano ... malgrado tuttoSUBSONICA

CORPO A CORPOPremio Amnesty - Vince Paola Turci - Il Ruanda in una canzonePERCORSI AFRICANI - Quatro film per un progetto congiunto di approfondimento della cultura e della società africanaIl presidente Usa interviene contro Nuestro Himno - Il testo ed il file in .mp3 da scaricareNuovomondo di Emanuele CrialeseNuovomondo: il trailer  


Copyright © 2002-2011 DIDAweb - Tutti i diritti riservati