
Dal Falò alla Rete Incontro con Fabrizio Casavola
Salve, avrebbe voglia di scrivere qualche riga che racconti il suo progetto da inserire sul blog? Grazie in ogni caso, Amelia.
Tutta colpa della parola “progetto” se adesso non so come iniziare. Abbiate pazienza, proverò a scrivere una storia, che potrebbe chiamarsi “E’ impossibile non comunicare”. Io provo a mettere un po’ d’ordine, voi aggiungete la pazienza. - Estate 1989: uno zingaro chiese aiuto ad un animatore per prepararsi all'esame di guida. I due si trovarono a studiare nei bar guardati a vista dagli avventori, o dentro roulottes affollate da bambini che dormivano e da curiosi che intervenivano affacciati ai finestrini. In poco tempo, quei due formarono una classe di una ventina di individui: chi voleva reimparare a scrivere, chi voleva solo disegnare, chi voleva giocare, qualche bambino che faceva i compiti di scuola...con tutti i problemi che ciò creava: dove riunirsi, procurarsi libri, matite, quaderni, cosa fare e come farlo... I nostri chiesero aiuto in giro e nacque un primo progetto. Ci fu chi credette in questa gente e nella loro proposta. Col tempo, sono cambiate tante volte le persone coinvolte, ma dopo 15 anni il progetto viene riproposto ogni anno (non ho detto che venga anche rifinanziato, però).
- Sono partito da così lontano, perché senza fondamenta non ci può essere “progetto”: la situazione allora era quella di un gruppo che incominciava a frequentare la scuola dell’obbligo e a porsi il problema di recuperare uno storico gap di comunicazione. La figura dell’animatore era, giustamente, uno strumento. Con le insegnanti elementari si definirono i primi passi:
* definire se stessi e lo spazio intorno; * definire ruoli, diritti e doveri, partendo dalla propria esperienza comunitaria; * trovare un linguaggio comune… e qui il discorso diventò complesso, non solo perché per loro l’italiano era la seconda lingua, ma perché nel termine linguaggio va intesa la gestualità, la vita di relazione, tutti quei codici comportamentali che fanno parte del patrimonio genetico (e che non si finisce mai di imparare).
Dovendo essere per forza schematico: in questi primi anni si lavorò soprattutto per un mutuo riconoscimento e ad una accettazione non conflittuale. Si lavorò all’interno del “gruppo”, comprendendo in questa definizione anche quell’area istituzionale e di volontariato che aveva relazioni col campo. Per forza di cose, si passò dal lavoro su se stessi alla relazione col mondo intorno, che era maggioritario e necessario per sopravvivere.
- Cinque anni dopo, il “progetto” iniziale aveva le gambe per chiedere un nuovo finanziamento: un bollettino scolastico su carta. Tra gli scopi principali: fornire notizie sui Rom raccolte ed elaborate direttamente da loro; scrivere un giornale ricco di storie, favole, disegni (l’età media nel campo sosta è di 20 anni) rivolto alle scuole; rinsaldare i rapporti con le associazioni, i cittadini e quanti avevano un rapporto con la comunità.
Il tutto cominciò in maniera molto provvisoria: un vecchio computer 386 e casa mia che accoglieva i due redattori del campo-sosta (nessuno dei vicini ha mai avuto niente da dire). Usare un computer da parte di chi a malapena sa leggere e scrivere, può sembrare un azzardo: viceversa scoprimmo che anche per loro era più facile esprimersi così che con carta e penna. Prima avevo accennato al lavoro fatto sul linguaggio comune: la grammatica mentale dei Rom, abituati ad esprimersi con concetti semplici ma evocativi, la mancanza di timore nel rivolgersi agli estranei, era un linguaggio ideale per rivolgersi ai bambini, anche quando si scriveva di teatro, di lavoro, di leggi o di tradizioni. Il fatto poi che nel nucleo famigliare Rom le generazioni parlino tra loro costantemente, aiutò parecchio a trovare gli argomenti e i testimoni. Quel giornale divenne un importante strumento di aggregazione:
INTERNO - man mano anche gli altri componenti dei campi partecipavano alla raccolta delle notizie, a piegare le pagine fotocopiate, a farsi fotografare, a chiedere quando sarebbe uscito il prossimo numero. Arrivarono col tempo i contributi di altri campi, di Rom di passaggio... Le pagine, da 4, dovettero passare ad 8. ESTERNO - Una tiratura di quattrocento copie (ma probabilmente la divulgazione era + ampia), e corrispondenze con scuole, giornali, anche TV, facemmo di tutto per girare e farci conoscere. Scoprimmo che avevamo lettori in tante città d’Italia e anche all’estero. Quando sembrava che fossimo riusciti a creare qualcosa di diverso nell’enorme panorama della comunicazione, il progetto fu chiuso in fretta e furia per mancanza di soldi (almeno, questa fu la versione ufficiale).
Ognuno dei “redattori” riprese la sua strada. L’ultimo numero terminava così: “...Mentre ci leggete, noi staremo discutendo come continuare a scrivere questo giornale... Ci rivolgiamo ai nostri lettori più "antichi", quelli che ci leggono dal primo numero, per dir loro: "Però qualcosa abbiamo fatto, da allora il giornale è cresciuto, è migliorato". Ci dispiace di non avere certezze per noi e non poterle offrire ad altri. Ma per noi Rom questa è la norma. Siamo certi che in qualche maniera ritorneremo, più belli e con altre notizie. Non sappiamo dove ci porterà il viaggio del titolo. Incerti sul quando e come. Non vi libererete di noi. Questo giornale ha sangue zingaro.”
- Sembrava solo un messaggio retorico e invece quella parola “progetto” prese un’altra strada. Su http://www.sivola.net/rom.htm scrissi un riassunto di tutte queste esperienze. Mi arrivarono email da gente mai vista né conosciuta, che in altri angoli d’Italia stavano provando esperienze simili. Quando la posta divenne tanta, ripubblicai di nuovo tutto sul web. Fu allora che alle esperienze italiane si aggiunsero le testimonianze dalle comunità rom nel mondo, traducevo in italiano quello che mi scrivevano e lo ripubblicavo, se riuscivo provavo a rispondere… col rischio di creare l’ennesimo spazio per “esperti”, se non avessi continuato a tenere i contatti con quanto restava di quel gruppo iniziale di Rom. Rapporti come tra buoni vicini, intendo, perché la chiusura del giornale aveva disilluso un po’ tutti sulla possibilità di continuare.
Eppure, se ci sono notizie, addirittura network tra Rom, in tutto il mondo (per lo più in lingua inglese), perché di queste notizie non circola niente in Italia? Perché è + facile sapere cosa fanno i Rom in Slovacchia, in Germania, e non cosa succede in Italia? Siamo diversi? O ancora troppo selvatici?
- Quali sono i rischi per “un’agenzia stampa Rom”? Cedere al pietismo o viceversa alla rabbia, insomma cadere nel sensazionalismo conto terzi. Oppure credere che basti aver accesso a fonti di informazioni ben selezionate per avere automaticamente la verità in tasca. Non mi sembra che esistano ricette magiche per evitare gli errori, per limitare i danni consiglio la vecchia ricetta: verificare le notizie (se possibile), dividere i commenti dalle notizie e non aver paura di discutere con chi la pensa differentemente.
- Infine, rispettare chi legge e metterlo a proprio agio nella lettura. Su Internet i tempi di attenzione sono più brevi che nella stampa e le notizie (vere e false) si amplificano e si perdono con una facilità impressionante. Non è solo un problema di contenuti, ma anche di come presentarli. Prima, dicevo che le mail divennero una pagina web, poi trasferii tutto su gruppi di discussione, per creare una specie di comunità aperta con notizie e risorse disponibili a chi fosse interessato a quegli argomenti. A questo punto ebbi paura di creare un nuovo circolino ristretto e autosufficiente, dove si discute tra chi la pensa alla stessa maniera; fu per questo che nacque anche il blog, che in effetti è uno strumento immediato, di semplice gestione e che favorisce lo scambio di idee ed esigenze differenti.
- C’è chi ha idee fulminanti e semplici da realizzare, non è questo il caso che ho raccontato. Sono passati 15 anni da quando si è iniziato, forse si tratta solo di essere costanti e di osservare come evolve il mondo della comunicazione. In tutto questo tempo, si è lavorato per aggiunta, senza rinnegare quello che era stato fatto prima, come un sassolino che cresce rotolando dalla montagna. Intanto, stiamo lavorando perché questa storia rimanga anche un “progetto”: organizzare un corso di computer e giornalismo nei campi sosta, per creare non solo una redazione, ma ragazzi che siano in grado di lavorare da soli, come webmaster piuttosto che giornalisti, una volta terminato il corso. Di nuovo è aperta la caccia a chi crede in noi.
Mi hanno insegnato che un viaggio non si fa da soli, ed è giusto ringraziare chi mi ha portato qui: Amelia Capobianco per la gentile ospitalità e poi la comunità Rom di via Idro, l’Ufficio Stranieri del Comune di Milano, l’Opera Nomadi, la scuola di via Russo, Giulia Mucelli e i Khorakhané di Foggia, Roma Network, con tutti non ho mai smesso di litigare e di fare assieme un pezzo di strada. Grazie anche a chi mi sono scordato di menzionare.
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