Il dialogo tra ebrei ed arabi è possibile? Le testimonianze dello sceicco Ghassan Manara e di Roberto Arbib. Un articolo di Silvia Haia Antonucci
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Il dialogo tra ebrei ed arabi è possibile?
di Silvia Haia Antonucci


Le testimonianze dello sceicco Ghassan Manara e di Roberto Arbib

"Bisogna sviluppare una cultura di pace, veniamo tutti dallo stesso Padre; è giunto il momento di cambiare, anche se non è facile" ha affermato Roberto Arbib, rabbino israeliano intervenuto all'incontro presso l'Istituto Pitigliani di Roma, che ha mostrato due esempi di dialogo tra ebrei ed arabi. Clotilde Pontecorvo ha introdotto gli ospiti mettendo in evidenza l'importanza e la difficoltà dell'educazione alla pace.

La prima testimonianza è stata portata da Ghassan Manara, sceicco musulmano sufi (sunnita), e Roberto Arbib, rabbino che guida una comunità "conservativ" a Tel Aviv, la cui collaborazione dura da sei anni all'interno del gruppo "La via di Abramo". Il primo ha sottolineato l'importanza di avviare un dialogo innanzitutto all'interno del mondo arabo, con i gruppi fondamentalisti, fatto che sta già avvenendo, e poi con gli altri. A questo riguardo ha parlato del lavoro del gruppo "La via di Abramo", un centro sufi inaugurato a Nazaret che comprende programmi sia per bambini sia per adulti, fornendo educazione e sostegno per evitare che essi cadano preda dei fondamentalisti a causa dell'estrema povertà ed ignoranza in cui vivono.

E' attivo anche un corso di formazione per Imam, le guide spirituali dei musulmani, che comprende alcune lezioni sull'ebraismo, ed un altro dedicato ad insegnati ebrei ed arabi che è alla sesta edizione.
Rav Arbib ha affermato che l'ebraismo ha bisogno del contatto con l'altro per arricchirsi, ed ha portato a testimonianza l'esempio del rapporto tra Maimonide, fondamentale commentatore della Torah vissuto nel Medioevo, e l'Islam. Egli ha spiegato che durante gli incontri del loro gruppo si cerca di rompere le barriere studiando entrambi i testi sacri ed al termine viene recitata una preghiera nelle due lingue. Venivano anche effettuati incontri nei Territori occupati, ma negli ultimi tre anni, ovvero da quando si sono intensificati gli scontri della seconda intifada, non è stato più possibile. Egli ha sottolineato l'ignoranza che c'è in Israele riguardante il mondo arabo e la necessità di colmarla per avere un ebraismo allo stesso tempo aperto verso l'altro e cosciente di sé.

Mustafa Qossoqsi, psicologo arabo israeliano, ha raccontato l'esperienza di alcuni progetti che hanno visto l'incontro tra bambini ebrei ed arabi, e tra psicologi israeliani e palestinesi, definito "un dovere morale particolare per il tipo di professione che esercitiamo, necessario proprio in un periodo di conflitto". Egli ha terminato il suo intervento con una nota positiva, spiegando che quando una persona subisce un trauma, se non riesce a superarlo, è come se congelasse il proprio tempo, la vita si ferma a quel determinato momento e non evolve, invece egli sente che adesso il tempo si sta scongelando e che c'è la possibilità di avanzare verso momenti migliori. Hanno concluso la serata le toccanti testimonianze di due membri del "Parents' Circle-Families Forum", un'associazione composta da persone che hanno perso i propri cari nel conflitto israelo-palestinese.

L'israeliana Manuela ha parlato dei suoi due grossi traumi: il fatto di avere il nome di uno zio, fratello della madre, mai conosciuto, ucciso in un conflitto con i palestinesi, evento percepito come un peso che le ha condizionato la vita, e la tragica perdita, dopo quattro anni di matrimonio, del marito, un pilota dell'esercito israeliano ucciso in azione da un pilota egiziano, che l'ha lasciata sola con due bambini piccoli. Ella ha fatto la scelta di non insegnare l'odio e la vendetta ai suoi figli: per questo si è unita alla "Parents' Circle" che comprende circa 500 membri, "l'unico gruppo che non vorrebbe mai nuovi iscritti. E' importante incontrarsi - ha affermato Manuela - poiché se conosci l'altro, capisci che è un essere umano e quindi non lo uccidi". Le sue parole, i suoi occhi ed i suoi gesti tirati mostravano un disperato tentativo di dare un senso al dolore.

Ali Abu Awwad, palestinese, invece, è stato nelle prigioni israeliane ed ha perso un fratello, ucciso durante gli scontri con i soldati israeliani. Era pieno d'odio, ma poi ha conosciuto Yitzhak Frankenthal, il fondatore del "Parents' Circle" che ha avuto un figlio ucciso da Hamas e lo ha convinto a far in modo che il proprio dolore possa portare alla pace. Egli ha affermato che "troppo spesso i politici hanno usato il nostro dolore per apparire come eroi. Non voglio che qualcuno prenda in ostaggio il mio dolore per farsi esplodere. Ho milioni di diritti per credere nella violenza, ma questo mi fa apparire come un criminale: abbiamo una causa giusta, ma abbiamo cattivi avvocati. Con gli israeliani dobbiamo convivere, non c'è altra via".

Dall'incontro è emersa una forte necessità di educazione alla pace, all'incontro ed alla convivenza, ma anche e soprattutto alla realtà storica dei fatti che, se viene ignorata, crea più odio di qualsiasi altra cosa. La serata è stata conclusa dalla recitazione di due preghiere che chiedono al Signore la pace, in ebraico ed in arabo.

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