Hibakusha, i sopravvissuti alla bomba
60 anni dopo
Hibakusha è il termine che in giapponese indica i sopravvissuti alle bombe di Hiroshima e Nagasaki. Parola terribile, nel suo significato carico di strazio e dolore, che abbiamo imparato a conoscere da quando il movimento degli Hibakusha ha cominciato a rendere al mondo la sua tremenda testimonianza.
Sono passati 60 anni da quando, il 6 ed il 9 agosto del 1945, i bombardieri Usa sganciarono le bombe atomiche sulle due città giapponesi.
Il bombardamento fu senza preavviso. Una luce folgorante, una vampata di calore pari a quella di mille soli, un vento violentissimo e nel giro di pochi secondi l’inferno nucleare si abbatté sugli esseri umani e le loro cose, uccidendo e devastando, strappando i vestiti e la pelle, bruciando profondamente le carni, schizzando gli occhi fuori dalle orbite, squarciando i ventri, penetrando fin nel midollo delle ossa.
Nelle ore e nei giorni seguenti, nel deserto di macerie e cenere che restava delle due città, si aggirarono fantasmi di esseri umani che invocavano acqua e aiuto, raspavano nei cumuli di pietre alla ricerca di figli, fratelli, parenti, amici rimasti sepolti, o andavano vagando senza meta e senza più ragione. Erano gli Hibakusha, i sopravvissuti.
Furono 150mila quelli che morirono subito, colpiti dall’esplosione, o schiacciati sotto gli edifici crollati, o bruciati nell’incendio che seguì. Per altri 200mila i sintomi della terribile malattia atomica - debolezza, nausea, vomito, febbre alta, diarrea, perdita di sangue, caduta dei capelli - annunciarono la morte che sarebbe sopravvenuta entro pochi mesi.
Per quelli che sopravvissero, fu invece l’inizio di un lungo calvario che non è ancora finito.
Molti, dopo aver visto le parti del loro corpo colpite dai raggi termici imputridire infestate dai vermi, le videro coprirsi di ripugnanti cheloidi.
Altri dovettero affrontare la leucemia, il cancro ed altre malattie complesse, provocate dalle radiazioni primarie, secondarie e residue. Tanti morirono nel corso degli anni.
Ma le sofferenze degli Hibakusha non erano soltanto fisiche: molti dovettero assistere al riprodursi degli effetti della bomba in figli e nipoti; altri vissero nella paura e rinunciarono a sposarsi e a fare figli; altri vissero a lungo tormentati dal rimorso di avere abbandonato parenti ed amici nell’incendio o sotto le macerie.
Molti altri ancora, rimasti soli al mondo, mutilati ed inabili al lavoro, vissero il resto della loro esistenza nella miseria e nell’abbandono.
Per molto tempo, in Giappone, il termine Hibakusha è stato anche sinonimo di “negletto, emarginato”. Agli occhi di chi, direttamente o indirettamente, fu responsabile di quell’immane tragedia, essi erano colpevoli di essere sopravvissuti.
Ancora oggi il movimento degli Hibakusha continua a battersi, in Giappone e nel mondo, perché l’agonia che vissero Hiroshima e Nagasaki non debba più ripetersi. Si continua ad indagare le responsabilità, a denunciare colpe ed omissioni.
Perché gli Stati Uniti usarono la bomba atomica? Quando Truman prese la terribile decisione, la seconda guerra mondiale stava per finire. Nella primavera del ‘45 il Giappone aveva visto quasi interamente debellata la sua potenza navale ed aerea ed aveva appena di che continuare la guerra con le forze di terra.
Secondo gli accordi degli Alleati a Yalta, l’Unione Soviatica sarebbe dovuta entrare in guerra contro il Giappone all’inizio di agosto, tre mesi dopo la capitolazione della Germania nazista.
Gli Stati Uniti usarono la bomba non per “abbreviare l’agonia della guerra e salvare migliaia e migliaia di vite”, come dichiarò il presidente Truman, bensì per “guadagnare un vantaggio politico nela quadro della strategia post-bellica contro l’Unione Sovietica”, come ammise il Ministro della guerra Stimson.
Ma ci fu anche un altro scopo recondito: verificare la potenza della bomba nella prospettiva di un suo uso futuro. Per questo Hiroshima e Nagasaki furono scelte come bersaglio, col cinico intento di fare esperimenti sugli esseri umani.
Non si spiega altrimenti perché gli Stati Uniti, che occuparono subito le due città devastate, nascosero le conseguenze del bombardamento sotto l’etichetta del “segreto militare” e negarono alla Croce rossa internazionale il permesso di soccorrere gli Hibakusha.
Portarono invece con la forza molti Hibakusha nei loro ospedali militari, prelevarono campioni di sangue e di tessuti colpiti dalle radiazioni per studiare le patologie conseguenti alla bomba, trattando le vittime come cavie, senza fornire tutta la necessaria assistenza medica.
Sono queste le terribili, inequivocabili accuse mosse dagli stessi Hibakusha.
Quando, nel ‘54, gli Stati Uniti sperimentarono la bomba all’idrogeno sull’atollo di Bikini, un peschereccio giapponese che navigava nel Pacifico fu colpito da radiazioni mortali e un’ondata d’indignazione si levò in tutto il Giappone, crebbe un grande movimento contro gli esperimenti nucleari, furono raccolte trentadue milioni di firme per l’interdizione delle bombe A e H.
Un anno dopo ad Hiroshima si tenne la prima Conferenza mondiale contro la bomba atomica e nel ‘56 gli Hibakusha fondarono la Nihon Hidankyo, la confederazione che riunisce le associazioni delle vittime atomiche, proclamando la verità di cui furono testimoni e denunciando il carattere criminale dei bombardamenti atomici.
''Considerare inevitabile il sacrificio di Hiroshima e Nagasaki equivarrebbe a giustificare la guerra nucleare'', dicono.
Essi hanno fatto della lotta per la messa al bando delle armi nucleari la propria ragione di vita. “Vincete la repulsione e non abbiate paura di fissare i vostri occhi sulle orribili immagini di Hirishima e Nagasaki - è il loro messaggio - esse servono a ricordarvi che, finché esisteranno sulla Terra armi nucleari, ci sarà sempre per ciascuno di voi il pericolo di diventare un Hibakusha, un sopravvissuto!