Appunti per una pedagogia interculturale di Maria Teresa Tarallo
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dw-intercultura: dallo  STORICO   della  lista





Da:: Marino Bocchi
Data:: Sab Apr 8, 2000  8:34 pm
Oggetto:: Appunti per una pedagogia interculturale


Posto in questa lista, su richiesta dell'autrice, un messaggio apparso
anche sulla lista Scuola di Peacelink. Si tratta di un testo di grande
valore culturale e che fornisce alcune interessanti linee operative. Maria
Teresa si e' iscritta alla lista. Un importante contributo in piu'. Saluti.
Marino.

Appunti per una pedagogia interculturale
di Maria Teresa Tarallo

Nella nostra parte di mondo vive ancora una concezione etnocentrica della
cultura.
Nella storia sono innumerevoli gli esempi di integralismi perpetuati nei
confronti di culture "inferiori", che valorizzavano aspetti di civilta'
ritenuti meno validi di quelli dell'uomo bianco.
Ben evidenziato e' questo aspetto dal pedagogista Paulo Freire, come
riportato nel libro di Leandro Rossi, dal titolo "Paulo Freire profeta di
liberazione" (edizioni Qualevita).
La cultura libresca, stumento di oppressione da parte del potere, non da'
importanza alle culture che sono frutto dell'esperienza dell'uomo con il
mondo e con la natura.
Liberarci da schemi mentali consolidati da secoli di pregiudizi e' un
compito difficile, ma nello stesso tempo accattivante, per gli educatori
che vogliono rimettere in discussione se stessi.
Questa capacita' di liberarsi da pregiudizi, piu' difficile nell'adulto,
risulta molto facile quanto prima venga attuata. Dice Andrea Canevaro
nell'introduzione al libro dell'Aifo "I voli di Paffi'": "Crescere alla
liberta' vuol dire avere curiosita', essere interessati all'altro, e essere
disponibili a che l'altro abbia curiosita' per noi stessi. Certo non
possiamo trasformare la curiosita' in intrusione. Abbiamo bisogno di punti
di incontro... che permettono all'interesse e alla curiosita' di diventare
crescita di liberta'...E la conoscenza e' riconoscimento, di originalita' e
reciprocita', continuamente riaperta...".
In parole povere, si puo' vivere il rapporto con l'altro non come la
relazione con un nemico da cui difendersi, anche con l'uso di luoghi comuni
(gli zingari o i neri sono i cattivi, perche' sporchi, ladri e
bugiardi...), ma come una risorsa di cui usufruire, perche' alla fine
scopro che i miei bisogni, le mie aspirazioni, possono essere comuni ad
uomini che vivono ad altre latitudini.
Diceva don Milani: ''Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani
e stranieri allora vi diro' che, nel vostro senso, io non ho patria''
(Lettera ai cappellani militari). L'uomo libero da stereotipi non ha
patria, perche' tutti gli uomini sono uniti dalle stesse necessita', hanno
tutti gli stessi desideri. Cosi' e' anche per i bambini.
Partire da cio' che accomuna i bambini nelle esperienze ( famiglia, casa,
giochi...) puo' essere l'aggancio per scoprire cio' che unisce, pur nelle
diversita' di vita.
I bambini si pongono tante domande sul mondo e sulle differenze, o perche'
le vivono in classe, o perche' in molte citta' si vivono le presenze di
stranieri con curiosita' e, talvolta, con diffidenza.
Rispondere alle loro domande, stimolarli con i racconti, i dialoghi, far
capire che nel mondo ci sono cose che ci accomunano e che ci distinguono,
serve a far superare le paure delle differenze.
Dice Graziella Favaro nell'introduzione al libro dell'Aifo "Gege' e la
nonna alla scoperta del mondo": "Le differenze che sono intorno a noi,
vicino o dentro i nostri confini, sono per lo piu' negate, ignorate, oppure
considerate inquietanti e minacciose". In pochi casi esse sono considerate
un tratto arricchente della realta', un cambiamento dinamico che stimola
confronti, cambiamenti e arricchimenti reciproci... Ma tutto questo va
comunicato con parole che arrivino alla testa e al cuore dei bambini...''.
L'intercultura comincia dove c'e' dialogo, inteso come umilta' e capacita'
di ascolto. Dice Freire che il vero educatore e' colui che pratica
l'umilta' nel suo rapporto con l'educando. Cosi' anche un altro grande
"profeta nonviolento'', Danilo Dolci, anche lui come Freire scomparso da
poco, dava grande rilevanza, nel rapporto educativo, all'aspetto
comunicativo inteso come dialogo, non come mera trasmissione di saperi
depositati da una coscienza all'altra, perpetuanti schemi di potere
oppressivo e totalizzante.
Cio' puo' avvenire in un'ottica di psicologia dell'eta' evolutiva che tenga
conto di alcune conoscenze ormai acquisite in questo campo. E' risaputo che
non ha senso educare alla pace se non vi e' continuita' comportamentale tra
i rapporti sociali vicini a noi e quelli distanti nello spazio.
Educare alla pace, secondo Daniele Novara, non vuol dire essere
acquiescenti, passivi e disinteressati a cio' che accade intorno a noi per
"quieto vivere". Invece vuol dire incanalare l'aggressivita', biologica e
naturale, in un atteggiamento positivo e costruttivo, senza soffocare i
bisogni della persona. Una persona valorizzata per cio' che e', attraverso
la cooperazione e la negoziazione, anziche' la competizione, la
prevaricazione, sara' elemento di una societa' pacifica e solidale.
Il modello educativo piu' adatto non e' ne' quello autoritario, ne' quello
permissivo, bensi' quello autorevole. Vale a dire: non evitare le punizioni
(atteggiamento permissivo), agire sui comportamenti e non contro i bambini,
operare per un clima sereno di fiducia e sicurezza.
Il pregiudizio etnico si basa su una deumanizzazione dell'altro dovuta a
scarso senso di identita' con l'altro, identita' derivante dalla sicurezza
primaria (Laing) che genera fiducia in se' e negli altri e si costruisce
precocemente
L' inibizione della soppressione dell'altro, innata della nostra specie e
negli animali, e' stata eliminata dal "progresso". Il mancato senso di
identificazione provoca il mancato riconoscimento dell'altro come nostro
simile (empatia) che diventa un nemico (di fede, di razza, di politica, di
cultura ecc.).
L'empatia consiste nella capacita' di riconoscere l'altro come simile a
se', attraverso lo scambio di emozioni e sentimenti che ci accomunano. Ed
essa diventa anche la capacita' di comprendere che l'altro ha comunque un
patrimonio personale di esperienze diverso dal proprio, per cui ha un suo
modo di essere diverso da altri. La negazione dell'altro come simile
comporta un coinvolgimento del campo affettivo, cognitivo, esperienziale:
ecco perche' in una situazione conflittuale trovare una soluzione
cooperativa richiede una ristrutturazione del campo cognitivo ed un
distacco emotivo dalla situazione frustrante che non e' semplice da
realizzare. Ecco quindi l'importanza della simbolizzazione, in particolare
del linguaggio.
Far esprimere ai bambini le loro emozioni e sentimenti e l'aggressivita',
serve a superare le difficolta' ed avvia all'acquisizione di quel distacco
emotivo necessario alla collaborazione.
Naturalmente anche il gioco, la recitazione di ruoli, possono diventare
strumenti per facilitare un distacco emotivo e poter quindi cercare
strategie risolutive nonviolente. Il gruppo di lavoro diventa parametro di
confronto tra idee diverse, a condizione che ogni bambino abbia una buona
capacita' di simbolizzazione e possegga senso di identita' personale e
sicurezza.


http://it.groups.yahoo.com/group/dw-intercultura/message/33



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