Redattore Sociale - ADHD, "disturbo da deficit dell'attenzione sottostimato tra gli adulti"

BOLOGNA. Impulsività, inattenzione, condotte a rischio, bassa autostima, tendenza all’isolamento sociale, vulnerabilità psicopatologica, difficoltà di organizzarsi nel lavoro e nello studio, essere iper-controllanti, logorroici, incapaci di stare seduti, con una tendenza all’obesità. Sono solo alcuni dei campanelli d’allarme che possono portare a una diagnosi di ADHD, il Deficit dell’attenzione con iperattività, nell’età adulta. Si stima che ne soffra tra il 4,5 e il 5,9 per cento della popolazione adulta (soprattutto maschile) ma, nonostante ciò, solo una minima parte di essi riceve diagnosi e trattamento. Di questo si è parlato questa mattina a Bologna in occasione del convegno regionale “Il disturbo da Deficit dell’attenzione con iperattività nell’età adulta”. 

L’ADHD affonda sempre le radici nell’età infantile: con gli anni e la crescita può recedere spontaneamente ma anche persistere, come si stima avvenga nel 58/70 per cento dei casi. “Il disturbo si manifesta in maniera diversa in bambini e adulti – spiega Rita Di Sarro dell’Ausl di Bologna –. Crescendo, diminuisce l’iperattività ma aumenta l’inattenzione e la disorganizzazione. Va poi tenuto conto delle variazioni ambientali e delle psicopatologie associate. Questo perché i pazienti, crescendo, possono ‘migliorare’, ‘adattarsi’. In età adulta l’ADHD si associa ad altre patologie: depressione, ansia, disturbi della personalità, uso e abuso di alcol e/o sostanza stupefacenti, gioco d’azzardo”. Di Sarro ripercorre i cosiddetti sintomi ‘sentinella’: disorganizzazione, incapacità di ricordare le scadenze, tendenza a procrastinare, problemi di gestione del tempo, impulsività, instabilità nel lavoro e nelle relazioni, disturbi nel sonno e/o alimentari. 

Il quadro, insomma, è sempre molto complesso e la difficoltà diagnostica in età adulta è evidente. È necessario, allora, cercare di ricostruire nella maniera più accurata possibile l’eziologia multifattoriale: per questo serve conoscere i fattori biologici pre-peri-natali, quelli genetici e quelli ambientali e familiari. La ricostruzione dei sintomi sentinella con i familiari e le persone più vicine al paziente è uno strumento imprescindibile, per cercare di tratteggiare un contesto preciso. Dall’altro lato, è fondamentale che i professionisti della salute mentale siano formati sul tema, per quanto sino a oggi decisamente sottostimato. “Un altro rischio – in età adulta come in età infantile – è quello di sovradiagnosticare o sotto-diagnosticare il disturbo – conferma Simona Chiodo, neuropsichiatra infantile dell’Ausl di Bologna –. Per questo serve la massima conoscenza e una decisa fluidità di comunicazione”. Fluidità di comunicazione a cui si appella anche Corrado Cappa dell’Ausl di Piacenza, responsabile del team che a Piacenza si occupa di ADHD negli adulti: “Noi ci occupavamo di autismo in età adulta e ci siamo ritrovati a lavorare anche sull’ADHD – ammette –. Per ora ce ne siamo occupati in maniera sommersa. Gli studi sono riguardo sono giovani, ma serve una strutturazione e un continuum con il lavoro fatto dalla neuropsichiatria in età infantile. Tanti casi che seguiamo sono pazienti che ci vengono inviati proprio dalla neuropsichiatria: lavorare in continuità va a vantaggio di tutti. Molti altri casi, però, arrivano ex novo dall’esterno. Questo comporta difficoltà maggiori, perché del paziente non si sa nulla”. 

Ma come si procede per la diagnosi di un caso di ADHD nell’età adulta in Emilia-Romagna? “Si parte da un colloquio e dall’osservazione clinica – spiega Riccardo Sabatelli dell’Ausl della Romagna –. Vengono poi utilizzati gli strumenti diagnostici, anche testistici per la diagnosi differenziale. Infine si esegue una valutazione neuropsicologica”. Secondo le linee di indirizzo regionali, il trattamento farmacologico è la prima scelta a meno di una differenze decisione da parte del paziente: “Il tutto avviene con il monitoraggio di uno psichiatra o di un altro specialista competente nella diagnosi e nel trattamento dell’ADHD. Questo perché il trattamento farmacologico non è che una parte di un programma integrato che tiene insieme gli aspetti psicologici e i bisogni comportamentali, educativi e professionali del paziente”. La presa in carico è in capo ai Csm (Centri di salute mentale) o ai SerT nei casi di dipendenza. Se necessario, si procede all’invio a uno dei 3 centri ADHD adulti individuati in Emilia-Romagna: Area Emilia Centrale, seguito da Rita Di Sarro; Area Romagna, seguito da Riccardo Sabatelli; Area Emilia Nord, seguito, come anticipato, da Corrado Cappa. 

Una diagnosi in età adulta di ADHD può portare al riconoscimento dell’invalidità civile: fino a ora, è sempre stata accompagnata da una serie di altre patologie (autismo, bipolarismo, disturbi comportamentali) che contribuiscono a dimostrare la portata del caso. “Quando ci si reca davanti alla commissione per vedersi riconosciuta l’invalidità anche per ADHD, è sempre meglio essere accompagnati dai medici di riferimento – spiegano i responsabili delle Ausl regionali –, questo perché spesso chi è chiamato a giudicare ignora questo disturbo”. 

di Ambra Notari
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