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Io ritengo che la giustizia altro non sia che l'interesse del più forte»
La morte di Saddam Hussein al-Majid al-Takriti è per George W. Bush «un esempio di quella giustizia che negò alle vittime del suo brutale regime».
Morte scaturita da ciò che il giurista Antonio Cassese ha definito «un processo farsa», perché il modo in cui si è svolto - sotto il totale controllo della potenza occupante - rivela «quanto è fallace l'affermazione della Casa Bianca secondo cui l'impiccagione dell'ex dittatore dimostrerebbe che oggi la "rule of law", e cioè lo stato di diritto, è subentrato alla tirannide ("rule of a tyrant"). In realtà le gravi irregolarità del processo, la violazione dei diritti della difesa e l'irrogazione della pena capitale (vietata da tutti i tribunali penali internazionali) provano che ciò non è vero».
Morte che Vittorio Zucconi ha ben situato nel suo contesto e significato come l'ultima di una serie di «pantomime organizzate per dare una parvenza di legittimità giudiziaria alla vendetta finale del vincitore contro il vinto, soprattutto contro l'uomo che aveva "tentato di uccidere il mio papà". Nella guerra insieme globale e privata che da quasi sedici anni, dalla Tempesta nel Deserto, vede in campo Stati Uniti e Iraq ma senza che mai l'Iraq abbia aggredito gli Stati Uniti, alla fine il clan texano dei Bush ha saldato il conto con il clan sunnita dei Takriti. (...) George W. Bush ha avuto la "pietra miliare" che ha comperato con la vita di 2.992 soldati uccisi, 42 mila feriti e 600 miliardi di dollari, ma anche questa somiglia tristemente soltanto a un'altra pietra tombale».
Ma il commento più consono e attuale è quello che Platone fa pronunciare al sofista Trasimaco: «Ogni governo pone delle leggi in vista del proprio vantaggio: la democrazia porrà leggi democratiche, la tirannia tiranniche, e così via. E una volta istituite, essi dispongono che il proprio utile diventi per i sudditi ciò che è giusto, sicché il trasgressore viene perseguito come nemico della legge e della giustizia. Ecco qui, ottimo amico, quello che in ogni forma di governo io sostengo esser il giusto; in fondo è sempre la stessa cosa: ciò che serve al potere costituito. Questo, infatti, ha dalla sua la forza, e, quindi, chi sa ben ragionare non può non convenire che, in ogni caso, la giustizia si identifica con il vantaggio del più forte» (Repubblica, 338 E - 339 A).
Quanto sta accadendo in Irak e nel Vicino Oriente è l'ennesima conseguenza della guerra totale, inventata dalla potenza marittima e calvinista inglese, imposta al mondo prima dall'Impero britannico e poi da quello statunitense, sempre comunque alleati. Come le analisi di Carl Schmitt hanno argomentato, la potenza dell'elemento marino - il Leviatano - ha contribuito allo sviluppo dell'aviazione e del fuoco che distrugge dall'alto. I due nuovi elementi - l'aria e il fuoco - delineano un'ulteriore trasformazione tesa alla sconfitta e al controllo dell'antico elemento terrestre. Nella prima metà del Novecento è nato così, attraverso scontri e distruzioni immani, un nuovo Nomos della Terra, quello che dal 1945 al tempo presente ha controllato il pianeta, sottomettendo l'Europa continentale, lanciando un fuoco immane e distruttore sul Giappone, imponendo ovunque la globalizzazione dei suoi modelli di vita e della sua economia. L'intera umanità è carne da macello asservita agli interessi finanziari e petroliferi degli USA e del suo cane da guardia israeliano nel Vicino Oriente. Nulla a che vedere con democrazia, pace, libertà, parole buone per le masse e per i loro imbonitori, alleati dell'Impero.
Il finto processo contro il dittatore iracheno è la clamorosa conferma del fatto che anche "i diritti dell'uomo" rappresentano una delle forme mediante le quali nei conflitti contemporanei il nemico viene criminalizzato e privato della sua dignità di uomo. Chi non rispetta i diritti umani, o viene accusato di non rispettarli, diventa per ciò stesso un mostro, contro il quale nessun'arma è illegittima. Il nemico, in realtà, andrebbe ucciso sul campo - questo impone l'onore- e non strangolato in catene quando non può più difendersi. Da Norimberga a Baghdad corre il filo rosso dell'infamia anglosassone, della sua profonda viltà, tipica di gente per la quale il danaro - solo il danaro - è tutto.
L'uccisione di Saddam Hussein è un omicidio politico perpetrato in nome della democrazia, una pena di morte comminata in nome dei diritti umani - clamoroso ma significativo ossimoro! - e soprattutto è un avvertimento a tutti i tiranni del mondo non perché rinuncino alla loro tirannide ma perché la impongano sempre con il controllo, l'alleanza, il beneplacito degli Stati Uniti d'America, come ben sapeva Saddam Hussein fino a quando i suoi massacri furono compiuti col sostegno attivo e amichevole dei Bush e dei loro amici. E come sanno ancora i suoi colleghi, feroci quanto lui ma di lui più fortunati, che hanno dominato o dominano tuttora i loro popoli col sostegno della potenza statunitense: da Pinochet e Videla in America Latina ai dittatori dell'Arabia Saudita e del Pakistan in Asia e agli spietati tirannelli africani ai quali gli USA continuano a fornire armi, sostegno, giustificazione. Ma per i petrolieri texani padroni del mondo «giustizia è fatta». Ancora una volta Trasimaco ha ragione.
Da Girodivite
da Peacereporter - 31-12-2006
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I barbari
L'esecuzione di Saddam Hussein è un passo indietro sulla strada della democrazia
Che cosa ci sta succedendo? Da quando le televisioni di tutto il mondo hanno mandato in onda l'impiccagione di Saddam Hussein, questa mattina, quelle immagini non ci hanno lasciato un momento. Sono il monumento alla barbarie.
Mi aspettavo di vedere il boia in una pubblica piazza e invece: in cinque con i passamontagna e i giubotti antiproiettili dentro il bunker all'interno di uno dei centri utilizzati dal deposto regime per torturare i dissidenti. Il sesto boia oscurato perchè con il viso scoperto. "L'odiato" Saddam, impaurito sembrava il più umano di tutti. Ha rifiutato il cappuccio nero e le ultime parole sono state quelle di un leader. Rivolgendosi al popolo iracheno ha detto loro di "restare uniti", e ha denunciato la "coalizione iraniana": "Spero che siate uniti e vi esorto a non credere a un'alleanza con l'Iran, perchè gli iraniani sono pericolosi. Io non ho paura di nessuno".
Saranno contenti ora gli americani! Si sono vendicati. Ma di cosa? Non certo dell'11 settembre. L'ex dittatore sunnita non aveva nulla a che fare con Osama bin Laden. La tanto invocata democratizzazione del Medio Oriente è ostaggio del bagno di sangue provocato dalla guerra americana in Iraq e in Afghanistan. La morte di Saddam rischia così di far aumentare la tensione in tutta l'area. Egli può divenire una figura di martire: può essere la miccia per ulteriori tragedie. Questo 2006 non poteva che finire nel peggiore dei modi. Con un ex dittatore impiccato perchè nemico degli Stati Uniti d'America e un altro, Augusto Pinochet, impunito perchè amico degli americani. Anche noi non abbiamo mai amato Saddam Hussein ma siamo scandalizzati dalla sua condanna a morte e dalle decine di migliaia di morti incolpevoli di una guerra che non doveva essere combattuta.
Vorremmo che la giustizia fosse uguale per tutti. Saddam aveva commesso crimini orrendi e perchè questo avrebbe dovuto subire un giusto processo. Ma vorremo vedere sul banco degli imputati di un tribunale internazionale anche George W. Bush per i crimini di guerra. E' chiedere troppo? Il presidente degli Stati Uniti d'America ha definito la morte di Saddam "una tappa importante" nella strada dell'Iraq verso la democrazia. No, rappresenta un passo indietro: la vittoria dei barbari.
Sandro Ruotolo
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Anna Pizzuti - 31-12-2006
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C'è un film - Dead Man Walking- che, a suo tempo, mi aveva scosso e fatto discutere a lungo con i miei alunni. Il condannato a morte per la cui salvezza si batteva Sister Hellen non era innocente, vittima di un errore giudiziario, ma era colpevole e di un delitto orrendo.
Un vero film contro la pena di morte, in assoluto, ed è per questo che mi è tornato in mente nel momento in cui la televisione - fungendo da pubblica piazza medioevale - ci ha fatto assistere all'esecuzione di Saddam Hussein.
Il messaggio che quelle immagini hanno "mediato" è, a mio avviso, uno dei più pericolosi ed uno dei più ambigui, tra i tanti pericolosi ed ambigui che ci vengono somministrati quotidianamente.
Un messaggio pericoloso perché - di fatto - avvalora la pena di morte come pena giustificabile e giusta - il tiranno ha avuto la sua punizione - assimilabile ed assimilata nei tinelli delle case delle persone per bene.
A conferma di ciò, un episodio che mi è stato raccontato questa mattina da una mia amica. Disgustata dalla ripetitività ossessiva con la quale le immagini dell'esecuzione venivano trasmesse, ha telefonato alla Rai per protestare ed ha avuto questa risposta: "Ma lei non sarebbe contenta se anche i pedofili venissero impiccati? "
Un messaggio ambiguo perché penso sarebbe il caso, osservandole, di chiedersi chi - effettivamente - abbia emesso la sentenza, chi, cioè, volesse liberarsi al più presto di Saddam Hussein.
"La morte di qualche cittadino divien dunque necessaria quando la nazione ricupera o perde la sua libertà, o nel tempo dell'anarchia, quando i disordini stessi tengon luogo di leggi".
Riportato all'attuale condizione dell'Iraq, il passaggio estratto da "Dei Delitti e delle pene" assume quasi un significato ironico, come a dire che è quell'inferno che ormai il solo Bush - si spera - continua a chiamare "libertà" o "democrazia" ha reso "necessaria" l'esecuzione di Saddam.
Che "necessaria", invece, può esserlo stata solo perché utile a liberarsi di qualcuno prima che diventasse un testimone scomodo. Del resto non si spiega altrimenti il fatto che sia stata eseguita al termine del primo dei numerosi processi previsti.
"Non è l'intensione della pena che fa il maggior effetto sull'animo umano, ma l'estensione di essa; perché la nostra sensibilità è piú facilmente e stabilmente mossa da minime ma replicate impressioni che da un forte ma passeggiero movimento. " scriveva ancora Cesare Beccarla.
Nel caso di Saddam Hussein , ma anche in quelli di tanti altri - e sto pensando, ad esempio, ai responsabili delle pulizie etniche in Bosnia - quello che farebbe maggior effetto, ritengo, sarebbe un bene prezioso e rarissimo oggi: la possibilità che, tenendoli in vita, si potesse arrivare alla verità, di cui, invece, l'attuale "nostra sensibilità" sembra aver perso il bisogno.
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