renzo stefanel - 03-12-2006 |
Te lo dico io cosa penso dell'integrazione. Penso che andrebbe valutata caso per caso, in base al tipo di handycap e di situazione familiare da cui proviene l'alunno. Ho visto più di un caso in cui l'alunno non pensa/sa di essere disabile, visto che neppure i genitori accettano questa realtà. So benissimo che è una reazione umana, questa dei genitori. Ma in questi casi ho visto generarsi una progressiva depressione dello studente disabile, che giorno dopo giorno si accorge di essere "speciale" in senso negativo rispetto al resto della classe, visto che ha bisogno dell'insegnante di sostegno, visto che nonostante la legge lo vieti spesso è necessario che l'insegnante di sostegno porti con sé il ragazzo fuori dalla classe per cercare di spiegargli nozioni che è difficile che apprenda in classe. Penso che l'integrazione degli studenti disabili abbia un nobilissimo fine umanitario, ma così com'è fatta causa dolori ai suddetti anche quando la classe li accetta, se gli alunni portatori di handycap hanno un handycap mentale o fisico di tipo tale che ne limita l'apprendimento (penso ai sordi, ad es.). Spesso questo ragazzi cominciano a rifiutare con rabbia il sostegno, perché è la loro "stella di David", non solo e non tanto verso i compagni, ma soprattutto verso se stessi. Penso che l'integrazione non tiene conto della realtà didattica, che da un lato rimarca l'handycap, dall'altro condiziona lo svolgimento dei programmi e l'apprendimento, andando ad aggiungesi ai mille fattori che nella scuola italiana livellano verso il basso (certo, ci fosse solo quello... ma intanto è uno di più). Penso che i docenti che dicono "ci vorrebbero più insegnanti di sostegno" hanno pienamente ragione, perché un docente non di sostegno deve badare a 20, 25, 30 ragazzi contemporaneamente, e - a meno che non sia in possesso del dono dell'ubiquità - non è in grado di svileger eun insegnamento personalizzato, checché ne dicano le leggi, che posson dire quel che vogliono, ma non posson far crescere le barbe sui gomiti. Penso che l'integrazione così come è realizzata in Italia, che pur di essa si fa vanto, non sia altro che un atteggiamento pietistico dale radici clericali e parrocchiali, che rimarca le differenze invece di attenuarle. E la prova sta negli atti di bullismo contro i disabili. Penso che l'integrazione così come è realizzata in Italia sia molto simile all'elemosina che si fa ai poveri, che non cambia la loro condizione e la loro considerazione da parte del resto della società, instilla nel "benefattore" un sentimento morale di superiorità proprio in virtù dell'atto che compie, instaura un rapporto di dipendenza morale - oltre che pratica - tra beneficato e benefattore, e perciò autorizza psicologicamente quest'ultimo a sentirsi padrone del primo. Da qui la deriva bullistica. Penso che quindi l'integrazione andrebbe ripensata integralmente, agendo caso per caso, ripristinando in certi casi le classi differenziali e demandando per essi l'integrazione ad altre realtà che non siano la scuola e dove detta integrazione possa svolgersi più proficuamente. |