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Magrezza vuol dire bruttezza
Alberto Giovanni Biuso - 23-11-2006
Per il corpo, contro l'anoressia


I canoni della bellezza femminile, si sa, variano con i secoli e con le società. Le statuette delle Veneri preistoriche hanno fianchi pronunciati, a garanzia di fecondità. Molto più recenti sono le donne dipinte da Rubens, tonde e prosperose. Il dominio culturale dei sarti - detti, di solito, «stilisti»- ha portato all'apice un modello di femminilità del tutto disincarnato, inducendo molte ragazze e donne a cadere in comportamenti anoressici e cioè nella devastazione più concreta e di lungo periodo che un corpo possa subire.

Anche quando non si arriva a questi estremi patologici, la magrezza viene preferita a un corpo in carne. Si tratta di un atteggiamento del tutto artificioso sia dal punto di vista biologico che antropologico. Esso rappresenta infatti la negazione della corporeità. Quanto più un individuo, una società, una civiltà disprezzano il corpo, tanto più - in realtà - ne sono ossessionati. In nessun altro momento il corpo emerge nella sua potenza come quando diventa assenza, ferita, morte. Ci sarà invece vita, felicità e pienezza finché un corpo umano e animale pulserà del desiderio di nutrirsi e di accoppiarsi.

La ricerca della magrezza a tutti i costi significa l'autodistruzione del corpo che divora se stesso invece che rimanere forma suprema del piacere. Le più importanti religioni attuano un incessante e feroce tentativo di neutralizzare e cancellare il corpo -nell'ebraismo una stessa parola indica il cadavere e la carne; il cristianesimo nutre un vero orrore per il godimento; il velo islamico fa di ogni bellezza un tradimento; per il progetto passivo del buddismo zen l'obiettivo è difendersi dalle emozioni e dalle necessità corporali. Nel paganesimo, invece, il corpo costituisce l'unità profonda della persona. Un corpo che è nello stesso tempo bisogno e desiderio.

I bisogni e i piaceri pulsano, infatti, nei medesimi luoghi, e cioè negli orifizi da cui entra ed esce la materia che il corpo metabolizza e nei quali il soggetto sperimenta la potenza degli orgasmi. Per questo è molto difficile vivere con serenità i bisogni naturali se si rifiuta la naturalità del piacere. Ed è qui che la corporeità umana mostra per intero la sua identità non soltanto organica. Qui, nel luogo supremo dei desideri, i quali possono essere vissuti con trasporto e armonia oppure come vergogna e colpa, tutto in relazione al significato che la persona dà ai propri organi, al loro valore, alla materia vivente che si è.

Il significato di quegli scheletri senza sorriso e dallo sguardo meccanico che sfilano per le passerelle dell'alta moda - scheletri che diventano il modello per tante donne - quel significato è uno solo: la rinuncia al piacere, il trionfo della Morte.


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 renzo stefanel    - 26-11-2006
Perfettamente d'accordo, sul sul ruolo mortuario e antivitale delle religioni - tutte. Però ricordiamoci che l'obesità è un problema altrettanto grave. No all'anoressia, ma no anche alla ciccia, detta in soldoni e con un sorriso sdrammatizzante.