breve di cronaca
Figli violentatori, il giudice sequestra i beni dei genitori
Corsera - 20-11-2006
Il Tribunale di Milano: dovevano dare un'educazione sentimentale e insegnare il "rispetto verso l'altro sesso

MILANO -Tra gli obblighi di cura dei propri figli, i genitori devono farsi carico di una "strategia dell'attenzione" che comprenda anche un' "educazione sentimentale" degli adolescenti, favorendo "la crescita sociale dei ragazzi" nell'insegnare loro "le modalità relazionali anche con l'altro sesso": se dunque i figli quindicenni/sedicenni hanno tormentato sessualmente per 14 mesi una compagna di giochi di 11 anni, e i loro padri e madri non solo non offrono alcun risarcimento ma anzi "tendono a negare la gravità dei fatti commessi dai figli" sino persino a "individuarne la causa nel comportamento della ragazzina", proprio i genitori possono essere chiamati, sotto questo profilo e in sede cautelare di garanzia, a risarcire la vittima e i suoi parenti.
Con questa motivazione il Tribunale civile di Milano ha autorizzato la famiglia della ragazzina angariata a porre sotto sequestro conservativo, in vista dell'esito della causa civile tuttora in corso per il vero e proprio risarcimento dei danni, le case o qualunque altro bene dei genitori dei figli sotto processo per le violenze alla bambina. Fino a un valore di 220 mila euro: 150 mila a favore della ragazza oggi 17enne, che non è più riuscita ad andare a scuola ed è in psicoterapia; e 70 mila a favore dei suoi genitori, padre portiere di condominio e madre collaboratrice domestica. Un sequestro conservativo ordinato, peraltro, dopo che almeno una delle famiglie dei ragazzi aveva "proceduto all'alienazione di un immobile di sua proprietà".
Sul versante penale, invece, questa inchiesta è una delle pochissime sfociate nel parziale fallimento delle chance offerte agli indagati dell'istituto giuridico (peculiare della giustizia minorile) della "messa alla prova": cioè la sospensione del processo penale, per un lasso di tempo nel quale il minorenne viene osservato dai servizi sociali in un programma volto a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione con la persona offesa dal suo reato, che in caso positivo viene dichiarato estinto dal giudice.
Dei 5 ragazzi processati (quattro all'inizio dell'inchiesta dei carabinieri nel gennaio 2003 furono anche arrestati, uno obbligato a restare in casa, il sesto era talmente piccolo che per la legge non era imputabile), soltanto due hanno infatti superato la "messa alla prova" con esito positivo. Per altri tre il Tribunale dei minorenni non ha ravvisato segni di consapevolezza e ravvedimento, e ha perciò rimesso in moto il procedimento penale, conclusosi in primo grado il 23 ottobre scorso con la condanna dei giovanissimi per violenza sessuale a 2 anni e dieci mesi, a 2 anni e otto mesi, e a 2 anni e un mese: pene già mitigate (oltre che dalle attenuanti generiche giudicate prevalenti sulle aggravanti) dallo sconto di un terzo connesso alla scelta del rito abbreviato da parte degli imputati, e comunque sospese dalla condizionale per cinque anni.
Impressionanti le condotte descritte nel capo d'imputazione, che tra il dicembre 2001 e il gennaio 2003 individua almeno sette episodi di pesanti e plurime violenze sessuali commesse dai ragazzi nella cantina della casa di uno di loro, nell'automobile elettrica di un altro, e persino in una giostra dei giardini vicini alla scuola frequentata da vittima e aggressori in pieno centro a Milano. Il tutto con lo squallido e ormai inflazionato corollario, da parte dei violenti imberbi, di un supplemento di vessazioni (le foto delle loro "imprese" scattate con il telefonino), intimidazioni (la minaccia di divulgare le foto se la ragazzina avesse denunciato le sevizie), e umiliazioni (l'affermazione, al processo, secondo la quale sarebbe stata l'11enne a cercarsela, e comunque tutto sarebbe avvenuto con il suo consenso).
Una prospettazione, quest'ultima, sbriciolata dall'esito di una drammatica "audizione protetta" resa, davanti al giudice e in contraddittorio con i suoi aggressori (alla fine rei confessi rispetto alla materialità delle condotte), dalla ragazzina assistita dall'avvocato di parte civile Alessandra Merenda insieme ai colleghi Alaimo (nel penale) e Boneschi e Sommaruga (nel civile). "Sono rimasto esterrefatto - riflette Alaimo - per l'atteggiamento, privo di resipiscenza e compassione, dei ragazzi e del loro entourage familiare, quasi che fare e organizzare certe cose sia una cosa virtuale come giocare alla playstation". Smarrimento che riecheggia nei verbali della ragazzina su quei lunghissimi 14 mesi di sopraffazioni: "Io mi agitavo, mi muovevo e urlavo e nessuno mi sentiva (...) Poi, ritornando casa, sono rimasta chiusa in bagno per un po', mi sono messa a piangere, non sapevo a chi aggrapparmi... ".

Luigi Ferrarella

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 Anna Pizzuti    - 20-11-2006
Quello che più colpisce del dibattito suscitato dall'emergere dei comportamenti violenti nelle scuole - e non sempre per denunce delle vittime o degli insegnati, ma per vanagloria telematica degli autori - è la sua ripetitività, o meglio, la sua standardizzazione. Ciascuno sembra interpretare un copione secondo il quale chi parla da sinistra dà la colpa alla società, chi parla da destra la dà alla scuola di massa ed alla fine dell'autorità/autoritarismo. Questo per quanto riguarda gli esperti. Dibattiti, non discussioni, con, per unico scopo, la comunicazione e non la conoscenza.
Di voci di insegnati, almeno pubblicamente, ne ho ascoltate poche e disperate: "Non c'è solo la scuola, c'è la famiglia, la televisione, i modelli sociali deviati e devianti " come se la responsabilità attenga ad uno solo dei soggetti in questione, ciascuno ridotto a monade incomunicante.
La sentenza dei giudici di Milano sembra arrivare in soccorso degli insegnati, ma è anch'essa - a mio avviso - parziale, "monadistica ".
E comunque, triste un mondo in cui sono i giudici ad essere chiamati a stabilire cosa e come debbano essere scuola e famiglia.