breve di cronaca
Il nostro presente
il Manifesto - 18-11-2006
L'università non è il nostro futuro, come la retorica dell'impotenza non smette di ripetere posponendone nel tempo all'infinito la malattia e la terapia. L'università è il nostro presente, ed è oggi, non domani o dopodomani, che deve saltare il tappo della frustrazione e della depressione. E' il presente di un paese che ha ereditato un immenso patrimonio culturale, ma che oggi considera la cultura niente di più che un giacimento turistico da sfruttare e non si preoccupa di produrla, sprovincializzarla, valorizzarla. E' il presente di una generazione di studenti che non avrà un altro tempo per formarsi, che non può rimandare a domani le sue domande o mettere in stand-by la sua intelligenza, che oggi e non domani passa più tempo a contare moduli e crediti per risolvere l'equazione 3+2+x = 0 che a costruirsi una mappa cognitiva, che appena esce dalla seduta di laurea cerca su Internet un dottorato oltre confine, che sperimenta anticipatamente nella sua vita quotidiana la precarietà in cui si troverà immersa una volta varcata la soglia del mondo del lavoro. E' il presente di più generazioni di docenti che oscillano fra salde strategie di potere e inesorabile burocratizzazione e aziendalizzazione del lavoro, e che a frotte non vedono l'ora di pronunciare la lectio magistralis di fine carriera. E' il presente, dilatato oltre ogni misura, di più generazioni di precari che erogano tempo, didattica e ricerca in cambio di nulla, se non dell'attesa. Un presente bloccato, sintomo eclatante di un paese bloccato e di una politica bloccata. Se c'era unsegnale da dare per uscire dall'era berlusconiana, era proprio un segnale di cura nei confronti di questa popolazione che abita l'università e la ricerca e che incarna le possibilità di rilancio di una scommessa collettiva. Il centrosinistra - lo stesso che a Lisbona 2000 giurò sulla "società della conoscenza - non lo ha dato: ha infilato il problema e la popolazione nel balletto dei tagli e dei rammendi della finanziaria, mentre sulla società della conoscenza il mondo si prepara a investire entro pochi anni 850 miliardi di dollari e strategie articolate di competizione e di governance. Quello che oggi sfila e protesta non è un pezzo del paese impazzito, come lo chiama Prodi. E' una cerniera cruciale per passare dal presente bloccato italiano a un presente più largo, che al sapere e alla ricerca affida la produzione di ricchezza e, quel che più conta, di beni comuni: lo scambio fra civiltà come antidoto allo scontro di civiltà. Nello spazio e nel tempo in cui tutti i confini saltano, il sapere è quello che più facilmente ne approfitta, li scavalca, ne prescinde, trova le strade e le lingue per procedere. Non assecondare questo movimento attrezzandosi adeguatamente non significa bloccarlo o restarne ai margini: significa subirlo e restarne travolti. Versando lacrime di coccodrillo per i cervelli che fuggono dall'Italia invece di preoccuparsi per quelli che in Italia non ci arrivano,non trovandoci altro che le grandi rovine di un passato remoto.

Ida Dominijanni

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