breve di cronaca
Università, Prc: Mussi ha ragione
Aprile online - 25-10-2006
Le preoccupazioni espresse in queste ore dal ministro Mussi sono anche nostre. Certamente la finanziaria è un documento di compromesso che presenta luci e ombre. Nonostante che una campagna di stampa interessata la presenti come frutto di un governo Prodi tenuto in ostaggio dalla sinistra radicale, noi sappiamo bene quanto impegno ci sia costato e quanta vigilanza sia ancora necessaria perché le tendenze che spingono verso una politica di puro rigore sia corretta da elementi ancora solo parziali che vanno in direzione dell'equità sociale.

E' una partita ampiamente aperta anche se assolutamente necessaria per la credibilità stessa dell'Unione di fronte a quel popolo di sinistra che pure è stato determinante per il risultato delle elezioni. I problemi del paese non possono essere affrontati solo con una logica ragionieristica, o solo guardando alle direttive di un'Europa ancora dominata da perdenti politiche neoliberali. Sottolineo la parola perdenti, perché di tutt'altro il paese ha bisogno per emergere dal ristagno e dalla subalternità a cui lo condannano l'eredità pesante del centro destra ma anche le insufficienze di un riformismo senza vere riforme.

E' venuta forse l'ora di uscire dall'equivoco semantico per cui a invocare "riforme" sono dei poteri forti, ma incapaci ormai di rischiare in proprio. In questo lessico, "riforme" significa incidere sui diritti e sulla condizione di vita dei lavoratori per garantire margini di sopravvivenza alle imprese, senza toccare i tanti privilegi che diffusi nell'attuale sgangherata organizzazione gerarchica della società italiana e del sua struttura economica e produttiva. Invece non ci sono vere riforme senza capacità di ridistribuire poteri e ricchezze, senza capacità di incidere su parassitismi e rendite di posizione (a cominciare da quelle del ceto politico), senza incidere a livello strutturale nel senso di indurre processi che rendano più dinamica e più giusta l'organizzazione sociale, riconoscendo capacità e talenti, promuovendo eguale dignità e opportunità di crescita civile in modo diffuso.

Questo profilo autenticamente riformatore e progressivo in cui si potevano riconoscere le varie anime della sinistra e le forze di democrazia avanzata che sono presenti nella coalizione di governo era presente in molte pagine del programma dell'Unione: tra le quali certamente quelle su scuola, università e ricerca, frutto di un reale confronto e di una sia pure embrionale contaminazione feconda fra culture diverse, ma convergenti per un progetto che metteva al primo posto il bene comune e la conoscenza come bene comune. Rilanciare formazione, università e ricerca è una condizione necessaria per risalire la china come paese. E per costruire una società democratica degna di questo nome e al livello dell'Europa e del mondo del XXI secolo. Diritto allo studio a tutti i livelli, innalzamento a 16 anni dell'obbligo slegato dalla formazione professionale che è altra cosa, destino credibile della ricerca scientifica nel nostro paese, oltre la mera sopravvivenza, e destino dei giovani ricercatori, oggi abbandonati al precariato, sono nodi tutti decisivi.

Concordiamo perciò con le critiche e le richieste dei sindacati, che hanno proclamato uno sciopero durante questa nuova fase politica, con le critiche dei rettori, delle varie componenti della comunità scientifica e dei movimenti giovanili. Ci siamo espressi più volte, come partito, con proposte ragionevoli e del tutto praticabili, poi trasformate in emendamenti: su quaranta miliardi basterebbero alcune centinaia di milioni per dare un segnale di inversione di tendenza. Sarebbe un grave atto di insipienza politica non dare questo segnale. Sarebbe saggezza invece partire da qui - formazione, università, ricerca - per rilanciare il profilo effettivamente riformatore, innovativo e alternativo dell'alleanza e del governo.


Domenico Jervolino
Responsabile nazionale Università e Ricerca del Prc



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